L’affidamento allo Spirito secondo il padre Lombardi
Federico Lombardi, 72 anni, dal 2006 portavoce vaticano, è persona straordinaria in un ruolo ordinario. La vita mi dice che queste persone non sono rare ma che è rara la loro giusta comprensione. Per coglierle oltre l’ordinario che ferma la vista è necessaria una vicinanza che nel caso del padre Lombardi mi è data dalla professione.
In Federico vedo il dono per nulla ordinario di un affidamento che somiglia – forse a motivo della comune appartenenza alla famiglia del padre Ignazio – a quello di Papa Francesco. Descrivo dunque il suo dono aiutandomi con le parole con cui egli racconta l’affidarsi del papa.
A tredici anni
in bicicletta per l’Europa
“Quello di Francesco – ha detto Lombardi alla rivista “Popoli” del dicembre 2014, ultimo numero della testata missionaria dei gesuiti italiani: torno più avanti sulla sfida del “ripiegamento” – non è un disegno organico alternativo, è piuttosto un mettere in moto una realtà complessa come la Chiesa. È una Chiesa in cammino. Lui non impone la sua visione e il suo modo di agire. Chiede e ascolta i diversi pareri. Non sa dove si andrà: si affida allo Spirito Santo”.
Attenzione: non sono parole abituali. Lombardi sta dicendo che il papa argentino sprona la Chiesa a camminare e lo fa con decisione, pur non sapendo “dove si andrà”, perché pone a criterio l’affidamento. Sono anche parole coraggiose perché gli oppositori accusano Francesco – per l’appunto – di non avere una veduta coerente della missione papale e di mettere la Chiesa a rischio con la sua smania di muovere le cose.
Il padre Lombardi non cerca una versione accomodante del verbo papale, che lo metta al riparo dalle accuse. Cerca piuttosto di esprimerlo nella sua interezza, perché possa essere inteso e amato.
Ho conosciuto Federico nel 1977, nei mesi della sua nomina a vicedirettore di “Civiltà Cattolica”, essendo direttore il padre Sorge. Io era il vaticanista della “Repubblica” nascente e lui voleva portare un gruppo di scout a visitare il giornale. Mi chiamò poi a tenere incontri con il gruppo dell’Agesci di cui era animatore.
Per intendere il padre Lombardi occorre avvertire il gesuita e il prete dietro l’uomo di Curia che non è. Egli è uomo di lunghe fedeltà: è stato scout da ragazzo, poi assistente di un gruppo scout romano e infine assistente nazionale del Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), fino al 2008.
Di ritorno da una visita di Benedetto XVI in Spagna l’ho sentito parlare così alla “Radio Vaticana”, il 12 dicembre 2010: «Quando avevo 13 anni, con gli scout dell’Oratorio dei Salesiani ho fatto il mio primo viaggio in bicicletta per l’Europa, da Torino a Barcellona. Arrivati a Barcellona, vedemmo quattro guglie molto alte e ci dicemmo ‘andiamo là’: erano le guglie della Sagrada Familia, dove il papa ha recitato l’angelus domenica. Ho potuto misurare, a 55 anni di distanza, come era cresciuto questo edificio e ho anche pensato alla mia vita, a come si è sviluppata nel servizio della Chiesa».
Federico è anche animatore di una Equipe Notre Dame. Uno dell’Equipe mi dice che “con noi fa il prete semplicemente: prega, celebra, si interessa ai figli e ai nipoti, ha pazienza, ascolta; è sereno e dà serenità; non fa prediche, cerca con te”. Le sue omelie in occasione di eventi familiari di amici e dipendenti toccano cuori e teste.
Qui c’è gente
che guarda solo al deficit
Ricordo una messa in morte di Orazio Petrosillo, vaticanista del “Messaggero”, la cui notizia ci colse in trasferta, il l’11 maggio del 2007, ad Aparecida. Alle 06,15 ci trovammo nella stanza 189 dell’Hotel Club Dos 500. Celebrò il padre Federico osservando che il collega – come tutti noi giornalisti, d’altra parte – aveva collaborato in qualche maniera con il papa, contribuendo alla diffusione del suo messaggio. Segnalò la passione di Orazio per il lavoro. Poi disse del grande amore tra lui e Claudia, quale si è manifestato “nella salute e nella malattia”. Concluse che noi non stavamo pregando per Orazio, ma con lui e lui con noi, come avevamo fatto tante volte in altre camere di altri alberghi.
Il padre Lombardi lo seguo per amicizia e lavoro da quasi quarant’anni. Prima alla “Civiltà Cattolica”, dove fu dal 1973 al 1984, poi alla Radio Vaticana (nel 1990 diviene direttore dei programmi e tutt’ora ne è il direttore generale) e al Centro televisivo vaticano (che dirige dal 2001 al 2013). Io gli chiedevo colloqui, lui qualche volta mi ha chiesto collaborazioni, specie al CTV. Io gli racconto i guai dei giornalisti costretti a occuparsi di gossip, lui quelli degli amministratori di testate vaticane tormentati dai bilanci: “Qui c’è gente che guarda solo al deficit”.
Il suo periodo di maggiore prova, nella gestione delle strutture, è stato quello dei primi mesi del 2001, segnati dalla polemica sull’elettrosmog causato dalle trasmissioni della Radio Vaticana in partenza dal Centro di Santa Maria di Galeria. “Essere accusati di uccidere i bambini non è piacevole”, ha detto nella lectio magistralis Venticinque anni al servizio delle comunicazioni sociali con tre papi che ha svolto il 15 novembre 2014 all’Ateneo Salesiano in occasione al dottorato d’onore che gli fu attribuito.
La volontà di Dio
al di là del ripiegamento
L’unico periodo in cui l’ho quasi perso di vista fu quello intensissimo e forse più suo di superiore della Provincia italiana dei gesuiti (1984-1990). Quell’esperienza l’aveva provato e maturato visibilmente, tant’è ch’io ne trassi la convinzione che ormai l’attendesse il generalato della Compagnia. Ricordo di quel periodo qualche incontro casuale, uno alla stazione di Firenze, tra un treno e l’altro. Mi parlava della dismissione di case e attività in cui era impegnato: un travaglio ben noto al gesuita Bergoglio che lo visse essendo più giovane, in Argentina, nel periodo del suo mandato di provinciale tra il 1973 e il 1979. “Occorre vedere la volontà di Dio al di là del ripiegamento” scrisse il padre Bergoglio nel saggio Chi sono i gesuiti che è di quella stagione (vedi la citazione a pagina 81 del volumetto tradotto dalla EMI).
Anche per essere passati ambedue in questo crogiuolo, uno immaginerebbe che il papa gesuita ami consultarsi con il gesuita suo portavoce, cosa che invece non avviene. E credo che pochi altri casi siano indicativi della modalità solitaria con cui Francesco istruisce le sue decisioni.
Nell’intervista che ho citato all’inizio, così Lombardi parla del suo rapporto con il papa: “Ricordo di averlo conosciuto durante la 33ª Congregazione generale dei gesuiti nel 1983, ma non ebbi l’occasione di un incontro personale se non durante le Congregazioni di preparazione del Conclave del 2013. Il mattino dopo la sua elezione ci incontrammo in Santa Maria Maggiore dove mi vide e mi salutò con molta gentilezza e molta cordialità. Fu un breve colloquio, ma significativo […]. Se ho cose da chiedere mando una mail al segretario personale e la risposta mi arriva in tempi brevi. Io non telefono mai al papa, né chiedo colloqui”.
Una nuova
comunicativa istituzionale
Credo che il capolavoro del padre Lombardi consista nella creazione di una nuova comunicativa istituzionale vaticana che ha avuto il suo battesimo nelle giornate della Sede vacante 2013, anzi nel mese e mezzo che va dall’annuncio della rinuncia di Benedetto alla Pasqua del 2013. Una comunicativa didascalica e inclusiva, minuta, interpretativa. Un accompagnamento discreto e flessibile alla comprensione, capace di parlare sia all’operatore di area cattolica sia all’inviato occasionale. Aveva avuto – quella comunicativa – una lunga incubazione nei briefing dei viaggi papali e negli interventi alla Radio Vaticana, ma poi l’esperienza della Sede vacante l’ha completata e da allora si è estesa a ogni altro evento, compreso il Sinodo dell’ottobre 2014.
Portavoce vaticano Lombardi lo diventa nel luglio del 2006, cioè con papa Benedetto, prendendo il posto di un personaggio che aveva fortemente modellato quel ruolo, Joaquin Navarro-Valls. Dopo più di otto anni possiamo dire che il protagonismo creativo di Navarro-Valls ha aperto la strada al protagonismo di servizio del successore.
Nell’intervista a “Popoli” così Federico parla del nuovo rapporto tra papa e opinione pubblica: “C’è stato un grande impatto di Francesco, che ha aiutato tantissima gente a capire che centro del servizio della Chiesa è il messaggio cristiano sull’amore di Dio, la misericordia, il perdono, la salvezza per tutti. In precedenza, chi ha una visione riduttiva o negativa della Chiesa e del cristianesimo imperversava, facendo sempre sembrare che l’unica cosa di cui il papa si occupava era dire no agli omosessuali, no all’aborto, come se non esistesse nient’altro. Naturalmente non era vero, era una distorsione, ma di fatto il messaggio cristiano veniva ridotto così. Francesco è riuscito incredibilmente a ribaltare questa situazione e la Chiesa è diventata un punto di riferimento positivo per tantissime persone”.
Per comunicare
bisogna amare
Nonostante il gesuitico distacco dal papa gesuita, io avverto nella parola – e anche nello sguardo – del padre Lombardi il segno di una forte partecipazione all’avventura evangelica di papa Bergoglio. L’avverto per esempio nelle parole con le quali ha concluso il documentario di Rai 3 trasmesso il 26 dicembre [“Papa Francesco. La storia di Jorge Bergoglio”]: “Come Abramo, papa Francesco non sa verso dove è condotta la Chiesa, egli cammina affidandosi alla voce dello Spirito”.
Nella citata lectio dell’Ateneo Salesiano Lombardi afferma che “per capire e comunicare veramente il messaggio più profondo che una persona vuol darci bisogna amarla, amarla molto”. E’ chiaro che egli molto ama il confratello papa.
Luigi Accattoli
Da “Il Regno” 1/2015