Così li ho ritrovati a Vicenza a fine novembre
Quattro cristiani mi sono venuti al cuore tutti insieme, a me noti ma anche nuovi: Colla, Rodano, Mazzolari, Barsotti. E’ avvenuto il 27 novembre a Vicenza: qui dico come fu e con quale mio sconquasso.
Sono stato alla scuola di Franco Rodano (1920-1983) negli anni 1970-1971. Nel 1973-1974 ho avuto tra le mani le carte di don Primo Mazzolari (1890-1959), aiutando io il padre Bergamaschi a mettere insieme il Diario 1905-1929 [EDB 1974] del parroco di Bozzolo. A partire dalla fine degli anni ‘80 ho frequentato Rienzo Colla (1921-2009) che nel 1996 pubblicò nella Locusta un mio libretto intitolato Cento preghiere italiane di fine millennio. Di Barsotti sono da sempre lettore. Avevo dunque un’amicizia di decenni con i quattro, eppure è stato un vivo sole ascoltare loro parole nuove nella giornata vicentina [Rienzo Colla editore per conto di Dio, organizzata dalla Biblioteca Bertoliana e dalla Caritas quali esecutrici testamentarie dell’editore] e in particolare una lettera di Colla a Mazzolari su Rodano colpito da “interdetto” per l’adesione al Pci dopo lo scioglimento della Sinistra Cristiana (1945):
“Parla con disagio
dell’interdetto”
«Vedo talora Franco Rodano il quale si trova in particolare sofferenza […]. Egli dice che non vuol sottomettersi perché convinto – in coscienza – di rendere così un più utile servizio alla fede cattolica. Insiste nel dire che vuole andare fino in fondo, non tanto per dimostrare ai cattolici che si può essere cattolici e comunisti, quanto per dire ai comunisti che un cattolico può esser comunista. Con me parla liberamente e non nasconde le sue critiche nei riguardi del Pci ciononostante pensa che di fronte alla scristianizzazione della base del partito e al risorgere in seno al medesimo dei gruppi anticristiani, il suo dovere sia di restare […]. Che cosa si deve fare? A me pare ancora un buon cattolico… Parla con disagio dell’interdetto, soprattutto perché sente la mancanza dei sacramenti: prega però molto […]. Prega con lui anche tu. Egli ti ricorda con simpatia anche se non condivide in pieno – e si capisce – il tuo orientamento attuale… Ti vorrebbe forse più… eretico».
Questa lettera è del 24 maggio 1949 ed è conservata nell’Archivio Mazzolari di Bozzolo. E’ stata proposta nella giornata vicentina da Giorgio Vecchio, che sta riordinando quell’archivio e che ha offerto ai convegnisti alcune primizie, ricordando anche la risposta di Mazzolari a Colla che già conoscevamo dal volumetto della Locusta Lettere a un amico (1976):
«T’assicuro che prego molto per lui [Rodano], come per quanti soffrono in esilio […]. Forse anche il buon Rodano ha troppa fretta. Chi crede non ha fretta. E ricordagli, se puoi, che solo rimanendo nella Casa, si fa camminare la Casa».
“Nel periodo clandestino
ero anch’io del movimento”
La vicenda dell’interdetto è documentata da Marcello Mustè in Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità (Il Mulino 1993): il 10 dicembre 1947 un decreto della Congregazione del Concilio dichiara che Rodano sarà interdetto se non ritratterà il contenuto di un articolo pubblicato su Rinascita (“Le condizioni economiche del clero”, settembre 1947). Rodano risponde il 1° gennaio 1948 che in coscienza non gli è possibile ritrattare. Il 17-18 gennaio 1949 l’Osservatore Romano rende nota la pena. Si trattò di un interdetto personale (canone 2275 del Codice del 1917) che impedì a Rodano la fruizione dei sacramenti per un decennio e dal quale sarà liberato da Giovanni XXIII.
Giovanni Tassani – che conobbe Rodano e Colla e che ha curato per La Locusta il volumetto di Rodano Lettere dalla Valnerina (1986) – mi ha fatto conoscere un altro inedito di Colla su Rodano interdetto: una lettera del 3 giugno 1949 al gesuita Giuliano Prosperini, già educatore di Franco nella Congregazione Mariana, conservata nell’Archivio Rodano: “Purtroppo non posso darle buone notizie del nostro amico. Io lo conosco dal periodo clandestino (allora ero anch’io del movimento…) e l’ho rivisto spesso anche dopo l’entrata ufficiale nel Pci: oggi mi pare lontanissimo da una sottomissione […]. Bisognerebbe essergli tanto vicino con tatto e intelligenza. Perché a me nonostante tutto – ma forse è la mia debolezza – sembra ancora un cattolico”.
La riservatezza di Rienzo è proverbiale tra chi lo conobbe e le sue vicende fino a oggi sono conosciute solo per squarci ma la giornata vicentina ha lasciato intendere che presto ne sapremo di più. I curatori del suo archivio, da lui affidato alla Biblioteca Bertoliana, stanno riordinando il vastissimo carteggio dal quale apprenderemo molto, in particolare dalle lettere dei corrispondenti che Rienzo conservava, mentre non teneva – se non in casi eccezionali – la minuta delle sue lettere, che ci si propone di rintracciare negli archivi di quelli che gli scrivevano. Nell’archivio mazzolariano di Bozzolo, ma anche in quello della rivista “Il Gallo” e in quello di don Divo Barsotti – dei quali si è parlato nella giornata vicentina – e chissà in quanti altri.
“Per sopportare lo schianto
della mia vocazione”
Dal carteggio con Mazzolari e Barsotti veniamo a conoscere meglio la tribolata vicenda dell’aspirazione di Rienzo a farsi prete, che ha coltivato almeno per un quindicennio: dal 1945 al 1959. Dall’anno in cui stabilisce un rapporto serrato con Mazzolari all’anno della morte di Mazzolari. Forse era pensando a Mazzolari che Colla aspirava a fare il prete.
I curatori dell’archivio di Colla hanno rintracciato la minuta di due lettere di Rienzo al vescovo di Vicenza Carlo Zinato riguardanti la sua “ordinazione”. La prima e di più contenuto è del 2 ottobre 1955, motivata dalla comunicazione che non sarà ordinato prete: “Prima di intrattenermi sui motivi del vostro apprezzamento sulla mia vocazione, mi permetto di fare a V.E. la breve storia di essa. Quando ne avvertii il primo richiamo, avevo venticinque anni, possedevo la laurea in lettere, e un’occupazione che oltre il pane mi assicurava l’avvenire. Se il Signore mi ha dato la forza di rinunciare ad ogni cosa per chiedere di poter servire Dio e la Chiesa, nessun motivo umano può aver suggerito e guidato la mia decisione […]. Consapevole della mia estrema povertà spirituale, m’inchino al vostro giudizio […], ma ho bisogno di chiarire personalmente qualche particolare, onde rendere ancora più chiara la vostra decisione e più sopportabile per me stesso lo schianto della mia vocazione”. Il vescovo non riteneva affidabile un aspirante prete che gli aveva procurato noie con la Curia romana pubblicando testi di Mazzolari.
Paolo Marangon – che ha avuto una buona consuetudine con l’ultimo Rienzo Colla – ha riferito nella giornata vicentina un paio di confidenze dell’amico editore relative al conflitto con il vescovo Zinato: “Mi ha detto più volte che in definitiva era stato un bene per lui non diventare prete, altrimenti forse non avrebbe potuto essere se stesso. Mi ha detto anche che quando il vescovo si offrì di rifondergli la spesa del libro di Mazzolari che aveva fatto bloccare [La parola che non passa, 1954] egli – Rienzo – l’interruppe dicendo: quei soldi li tenga lei perché sono soldi dei poveri”.
Poco dopo il no del vescovo all’ordinazione, Rienzo entra in contatto con don Divo Barsotti (1914-2006) che si trova a Firenze, prima a Monte Senario e poi a Settignano. Sino a ieri si sapeva poco del legame tra i due che fu forte, ebbe il carattere di un sodalizio spirituale, con periodi di presenza di Rienzo negli “eremi” barsottiani negli anni 1956-1957; e durò fino alla morte di Barsotti: avevamo i nove volumetti di con Divo pubblicati dalla Locusta tra il 1958 e il 1998 (è l’autore più presente nel catalogo dell’editrice dopo Mazzolari) e le dieci lettere che Rienzo aveva pubblicato nel volumetto Lettere alla Locusta (1992) insieme a quelle degli altri suoi autori e amici. Nella giornata vicentina Agostino Ziino, direttore dell’Archivio Barsotti, ha dato una vasta informazione sui soggiorni di Colla a Settignano e sul loro carteggio: 156 testi di don Divo e 6 di Colla.
“E’ necessario marcire sotterra?”
chiedeva don Divo
Il sostegno tra don Divo e Rienzo è reciproco, trovandosi ambedue tribolati dalle autorità della Chiesa. Don Divo – quando il Sant’Ufficio fa ritirare dal commercio i suoi due volumi “Il Dio di Abramo” e “Loquere Domine” – scrive a Rienzo: “Sono anch’io in una grande tribolazione. Ti prego di non parlare. Meno si parla e meglio è – non solo per te e per me ma per coloro che ci amano e ci seguono – dobbiamo evitare di parlare sia in bene che in male con tutti” (lettera del 9 gennaio 1958). Sei mesi più tardi temendo una nuova censura don Divo, sempre scrivendo a Rienzo che sta pubblicando il suo volumetto Pellegrino in Terra Santa, così prega e protesta: “È necessario proprio morire, marcire sotterra? Ho paura. Dimmi qualcosa e prega anche tu per me” (lettera del 20 giugno 1958).
E’ un gran fatto per me la sofferenza di questi quattro cristiani per la libertà che pochi anni dopo ci sarebbe venuta dal Vaticano II. Libertà per Rodano di stare nel Pci, libertà per Mazzolari e Barsotti di predicare per intero il Vangelo, libertà per Colla di pubblicare Mazzolari e Barsotti. Dirà Paolo VI a un gruppo di bozzolesi il 1° maggio 1970: “Mazzolari aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti”. Lo stesso avrebbe potuto dire di Barsotti: ambedue, Barsotti e Mazzolari, l’arcivescovo Montini li aveva chiamati a predicare la Missione di Milano nel 1957. Con loro aveva chiamato Balducci, Fabbretti, Turoldo, Vivarelli e tutti già erano o sarebbero divenuti autori della Locusta, che è cibo dei profeti.
Luigi Accattoli
Da “Il Regno” 22/2014