Dire quello che mi aspettavo da papa Francesco e quello che mi ha sorpreso: è un esercizio che svolgo da un pezzo e qui provo a raccontarlo. Mi aspettavo qualche passo verso la collegialità, una considerazione buona e quieta del Concilio, l’idea di fare un migliore spazio ai laici e alle donne nei momenti decisionali. Dove non ne hanno nessuno.
Aspettavo una riduzione delle vesti e del protocollo, una lingua comprensibile, una disponibilità vera al dialogo con i non credenti. Più attenzione al governo curiale. Uno sfebbramento dell’insistenza sui valori non negoziabili allo scopo di riportare al centro l’annuncio del Vangelo. Il ritorno al primato dell’evangelizzazione, come lo chiamava Enrico Bartoletti segretario della CEI (1916-1976).
Se il cristiano è legalista
Non mi aspettavo l’affermazione che “l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile”, che dare la precedenza alle indicazioni morali rispetto al primo annuncio sia ideologia, che l’insistenza sulle proposte dottrinali invece che sul primo annuncio costituisca una “molestia spirituale”. Tutto questo lo pensavo e affermavo, magari con altre parole, ma non immaginavo che stesse per dirlo un papa.
Non mi aspettavo che abbandonasse l’appartamento pontificio, che facesse omelie quotidiane, che disertasse i concerti e Castel Gandolfo. Che fosse così deciso nel predicare la povertà della Chiesa e dei figli della Chiesa. Ahimè anche la mia, che non l’ho ancora imparata e sono vecchio.
In questa puntata provo a dire la più viva delle sorprese: quella riguardante l’ideologia. Nella prossima dirò qualcosa dell’altra che riguarda il “no” all’ingerenza spirituale.
Francesco persegue un distacco della Chiesa dalla politica più netto di come non l’abbiano inteso fino a oggi i nostri vescovi, sia nella stagione del collateralismo durata fino al 1994, sia in quella del “Progetto culturale” ruiniano che forse è ancora in corso. Ma più nuovo, per la scena italiana, suona il distacco che egli chiede da ogni ideologia: non solo quelle direttamente politiche, ma anche quelle indirette, culturali e antropologiche. Anche quelle che si presentano come cristiane e cattoliche. Ohibò.
Ecco una formulazione di quella richiesta, che continuamente ripropone: «Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla ‘sicurezza’ dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa un’ideologia tra le tante» (intervista alle riviste dei Gesuiti, 19 settembre).
Di che ideologia si tratta qui? Di quali ideologie? Pare di capire che il papa ce l’abbia con quanti subordinano l’appartenenza cristiana a un’idea tradizionale della religione, legata a regole e precetti e linguaggi del tempo che fu, senza disponibilità ad accettare nell’ovile gli irregolari. Chiamiamola – provvisoriamente – ideologia della religione costituita. E affrontiamo altri testi bergogliani dell’anti-idelogia. Ecco due omelie al Santa Marta dedicate ampiamente a questo tema.
Il discepolo dell’ideologia ha perso la fede
Omelia del 19 aprile 2013 secondo il resoconto dell’Osservatore Romano: “Quando entra l’ideologia nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza, del Vangelo non si capisce nulla». Così tutto viene interpretato nel senso del dovere piuttosto che nel senso di quella conversione alla quale «ci invita Gesù». E quanti seguono la strada del dovere, «caricano tutto sulle spalle dei fedeli». «Gli ideologi falsificano il Vangelo: ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga, da una parte o dall’altra è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi finiscono per essere intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. Invece la strada dell’amore, la strada del Vangelo è semplice: è quella strada che hanno capito i santi! Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, ci porta».
Omelia del 17 ottobre 2013 secondo il resoconto della Radio Vaticana: “La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica. La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente”.
Primo punto: l’ideologia è caratterizzata dalla legge del dovere invece che dalla dinamica della conversione attivata dal “semplice Vangelo”. Secondo punto: l’ideologia spaventa e non converte.
Ogni ermeneutica del Vangelo che venga dal di fuori di esso
Francesco non definisce mai – che io sappia – il concetto di ideologia che usa con tanta forza. Credo che una sola volta il cardinale Bergoglio abbia usato un’immagine descrittiva che è di grande sobrietà ma che segnala comunque un’elaborazione impegnativa, seppure sottaciuta: “Il mistero della Croce lo comprendono solo quelli che rinunciano a ogni altra ermeneutica di vita e sanno che bisogna lasciare che i morti seppelliscano i loro morti” (In Lui solo la speranza, Jaca Book-Lev 2013, p. 92s). Tenendo conto dell’intero contesto della citazione potremmo dedurne questa descrizione del concetto di ideologia secondo Bergoglio: ogni ermeneutica di vita che prescinda dalla Croce.
Quell’immagine papa Francesco l’ha ripresa una volta, parlando il 28 luglio a Rio de Janeiro ai responsabili del Celam: “La ideologizzazione del messaggio evangelico è una tentazione che si ebbe nella Chiesa fin dal principio: cercare un’ermeneutica di interpretazione evangelica al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo e al di fuori della Chiesa”.
In un’altra occasione il cardinale Bergoglio aveva dato un’illuminazione indiretta del proprio concetto di ideologia, evocandolo durante la presentazione di un libro di Enrique Bianchi, Poveri in questo mondo, ricchi nella fede. La fede dei poveri dell’America Latina secondo Rafael Tello, che si fece alla Facoltà di teologia dell’Università Cattolica di Buenos Aires il 10 maggio 2012: Bergoglio in quell’occasione parlò del teologo Tello – uno degli autori della Teologia del popolo, propria dell’Argentina – come di un “regalo dello Spirito alla nostra Chiesa”, avendo avuto la tenacia e il genio di “cercare fedelmente dei cammini per la liberazione integrale del nostro popolo, portando fino in fondo la novità evangelica senza cadere nel riduzionismo delle ideologie” (Avvenire del 17 aprile 2013).
Depurare l’aspetto religioso da quello politico
Da questo testo su Tello s’intuisce un cammino: il gesuita e cardinale Bergoglio deve aver maturato la sua avversione alle ideologie in riferimento dapprima alle correnti marxiste della Teologia della liberazione, estendendola poi a ogni altro uso dominante di categorie secolari che possono inquinare o snaturare l’ascolto del Vangelo. Per esempio nel capitolo “Sulla povertà” del volume Il cielo e la terra (Mondadori 2013, pp. 151-159) si parla dei “preti delle baraccopoli” di Buenos Aires che lui proteggeva ma dai quali aveva esigito che “depurassero l’aspetto religioso da quello politico, poiché a volte erano uniti in maniera non adeguata”. In un altro testo, ricordando i martiri della Chiesa argentina che morirono nella denuncia dell’oppressione dei poveri, li qualifica come “uomini e donne liberi da preconcetti, senza compromessi, senza ambizioni, senza ideologie, uomini e donne del Vangelo” (Jorge Mario Bergoglio, Solo l’amore ci può salvare, Lev 2013, p. 55s).
L’allergia di Francesco all’ideologia è così tenace da indurlo a individuare un’ideologia della povertà persino nei Vangeli, dove la scopre incarnata da Giuda: Gesù ci dice [nella liturgia di] oggi una parola forte: nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita. Ma la liturgia odierna ci mostra anche un’altra persona: Giuda, che aveva proprio l’atteggiamento contrario […] e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’ Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi” (omelia del 14 maggio 2013 al Santa Marta).
E’ più sacro un ragazzo che un problema legislativo
Con lo stesso criterio, della ricerca delle persone invece che delle idee, il cardinale Bergoglio ebbe a opporsi – in un’occasione particolare – alla partecipazione dei ragazzi delle scuole cattoliche a una manifestazione contro la legge sulla “salute riproduttiva”, ritenendo che non fosse giusto strumentalizzarli in funzione di una battaglia parlamentare: “Per me è più sacro un ragazzo che un problema legislativo” (Il nuovo Papa si racconta, Mondadori 2013, p. 86).
Nel gran daffare che mi ha dato – da marzo a oggi – l’inaspettato arrivo di papa Francesco, mi sono chiesto più volte se lo capivo davvero o se la mia adesione spontanea nascondesse un qualche equivoco. Da qui le domande che mi pongo e che sono anche un invito a riflettere: chi è d’accordo con Francesco “a prescindere” non deve dare per scontato d’averlo capito. Specie quando le parole e i gesti ci arrivano inattesi com’è per me in questo caso dell’ideologia. Alla prossima.
Luigi Accattoli
Regno attualità 20/13