Rivista “Villa Nazareth” – 28 giugno 1988
L’arcivescovo Silvestrini è stato a capo della diplomazia pontificia in un decennio per essa straordinario: caratterizzato dalla novità di Papa Wojtyla, essendo stata appena assimilata la novità conciliare. La nomina dell’arcivescovo Casaroli a segretario di Stato nell’aprile del 1979 – contemporanea a quella di Silvestrini a segretario del Consiglio per gli Affari pubblici, che arriva il mese seguente – accompagna il manifestarsi della novità wojtyliana, rendendola meno clamorosa sul piano dei rapporti internazionali. Ma essa con il passare degli anni risulterà ugualmente evidente e comporterà una più decisa presa di distacco dai blocchi in cui si divide il mondo, un tendenziale spostamento del baricentro della Chiesa Cattolica a Oriente e verso il Sud del pianeta, un crescente protagonismo degli episcopati – e della Santa Sede a loro sostegno – nella lotta per i diritti umani, compresi quelli politici.
Continua naturalmente, lungo il decennio che ci interessa (1979-1988), l’evoluzione del servizio diplomatico della Santa Sede secondo le premesse poste dal rinnovamento conciliare e dalla decolonizzazione. Il Concilio comporta una più chiara finalizzazione ecclesiale ed ecumenica di quel servizio. La nascita di numerose nazioni indipendenti nel Sud del mondo stimola a un ampliamento delle relazioni diplomatiche, anche con paesi a bassa percentuale di presenza cattolica. Il prestigio acquistato dalla Chiesa Cattolica con l’azione per la pace e i diritti umani e l’accresciuta iniziativa del Pontificato, facilitano l’apertura di relazioni diplomatiche con paesi tradizionalmente diffidenti, come quelli scandinavi dove il luteranesimo è Chiesa di Stato, la Gran Bretagna anglicana, la Grecia Ortodossa e gli USA che professano una rigorosa separazione tra la Chiesa e lo Stato. In totale sono 26 i paesi che accreditano un ambasciatore presso il Papa durante il primo decennio di Papa Wojtyla.
Tutto ciò vi sarebbe stato – forse a un ritmo più lento – anche senza Giovanni Paolo II. Ma più numerose, almeno nell’elencazione, sono le novità del decennio rispetto alle continuità. Il Papa che viaggia suscita problemi dove non ce n’erano, o non apparivano e moltiplica quelli esistenti. O anche li supera di colpo: ma ciò si vedrà solo a cose fatte. Ed ecco Silvestrini che deve correre in Polonia nel maggio del 1983 e nell’aprile del 1987, in vista del secondo e terzo viaggio del Pontefice in patria. Nel giugno del 1982 si deve precipitare in Argentina, perché il Pontefice – essendoci la guerra delle Falkland-Malvinas – ha deciso che non può «lasciare soli i due popoli in guerra» e intende visitare l’Argentina subito dopo la già prevista visita in Gran Bretagna. Nel febbraio del 1982 deve andare in Nicaragua e in El Salvador, dove il Papa andrà in marzo e dove ci sono enormi problemi – specie in Nicaragua – sul programma della visita papale che l’episcopato e il nunzio non riescono a dominare.
Non sono invece una novità le missioni che Silvestrini compie a Malta, negli anni del contenzioso più aspro tra l’episcopato e dom Mintoff (1983-1986); l’ultima delle quali, il 14 novembre 1986, è occasione per un raro contatto con il governo libico: il vice-ministro degli Esteri e dignitario islamico Ahmed Shahati accompagna a Malta e «consegna a Silvestrini il vescovo Giovanni Martinelli e tre padri francescani, ai quali era stato tolto il passaporto sette mesi prima, in circostanze e per ragioni mai chiarite. E non è nuova neanche la missione in Libano e Siria dell’8-14 marzo 1986, per favorire una ripresa del dialogo all’interno della comunità cattolica libanese, tra questa e le componenti islamiche e tra l’intero Libano e la Siria, in vista di un superamento diplomatico del cosiddetto “accordo” del 28 dicembre 1985, che Gemayel considera inaccettabile, in quanto renderebbe il Libano “vassallo” della Siria. Del tutto tradizionali sono gli incontri che ha a Roma con missioni speciali e personalità internazionali, anche quando tali incontri – per le circostanze in cui avvengono – fanno notizia, come – per citare gli ultimi due casi – quando riceve Faruk Kaddumi, ministro degli Esteri dell’OLP, il 4 febbraio 1988 e due giorni dopo il palestinese Hanna Siniora, direttore del quotidiano di Gerusalemme «Al Fajr».
Nuovissima è invece l’attività che il Consiglio per gli Affari Pubblici e il suo capo sono chiamati a svolgere a supporto di iniziative nuove del Pontefice: tipo la giornata di preghiera per la pace, che porta ad Assisi, il 27 ottobre 1986, delegazioni di tutte le Chiese cristiane e di tutte le religioni. L’iniziativa è affidata a tre organismi vaticani: i Segretariati per l’unione dei cristiani e per le religioni non cristiane, la Commissione «Justitia et Pax». Ma essendovi in più luoghi – specie nei paesi islamici – risvolti statuali dell’invito ai leaders religiosi ed essendosi aggiunto al programma della giornata l’appello del Papa a una tregua dei combattimenti e degli attentati, ecco che il Consiglio ha il suo campo d’intervento. Quasi nulla si conosce di simili attività riservate: ma per Assisi è noto che Silvestrini invita personalmente il libico Ahmet Shahati, al quale chiede – proprio nel giorno di Assisi – la restituzione del passaporto al vescovo Martinelli, che poi viene concessa nel modo che ho ricordato.
Se il lavoro per Assisi è del tutto nuovo, quello per il Concordato italiano è del tutto tradizionale. Silvestrini è presente, con l’arcivescovo Martinez Somalo, accanto al cardinale Casaroli il 18 febbraio 1984, a Villa Madama, per la firma dell’accordo che si intitola «Modificazioni consensuali del Concordato lateranense». Cinque giorni dopo co-presiede, con il vice-presidente del Consiglio Forlani, all’insediamento a Palazzo Chigi della Commissione mista che entro sei mesi dovrà formulare la nuova disciplina degli enti ecclesiastici e del sostentamento del clero: è questa la parte più nuova dell’impresa e Silvestrini è l’autorità cui fa riferimento il vescovo Attilio Nicora, responsabile della delegazione della Chiesa. Si era occupato del Concordato già da sottosegretario agli Affari pubblici, essendo membro della commissione vaticana per il negoziato di revisione, avendo come capo-commissione l’arcivescovo Casaroli e come interlocutori Gonella e Jemolo. Da segretario agli Affari Pubblici guida lui la commissione. Il 13 gennaio 1984 tocca a lui – in vista della firma dell’accordo – esporre al Consiglio permanente della CEI gli ultimi orientamenti concordati con il presidente del Consiglio Craxi. Sarà di nuovo opera sua la «nota» con cui la Santa Sede il 28 settembre 1987 informa il governo italiano di condividere “le preoccupazioni e il pensiero della CEI” in merito al dibattito parlamentare sull’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e gli chiede che «se ne tenga dovutamente conto».
Durante il primo decennio di Papa Wojtyla sono una quindicina gli accordi internazionali stipulati dalla Santa Sede con i singoli Stati: tutti ovviamente negoziati con la supervisionee del Consiglio per gli Affari pubblici. Come per il Concordato italiano, vi è in essi qualche novità di contenuto, ma il metodo negoziale e la forma diplomatica dell’accordo restano quelli di sempre, pur cercando la Santa Sede di coinvolgere nella procedura gli episcopati nazionali. Il “protocollo di intesa con Haiti” (è l’ultimo paese che rinuncia al diritto di “presentazione” per la nomina dei vescovi) Silvestrini lo va a firmare a Port au Prince, l’8 agosto 1984.
Qualche novità di contenuto nella continuità formale è anche la caratteristica della partecipazione della Santa Sede a conferenze e forum internazionali, specie per la continuazione di Helsinki e per le trattative sul disarmo a Ginevra. Silvestrini interviene personalmente a Madrid nel novembre del 1980, e nel settembre del 1983, a Stoccolma e a Ginevra nel gennaio e nel marzo del 1984, a Vienna nel novembre del 1986. Le maggiori novità nella posizione della Santa Sede si registrano in materia di diritti umani e di libertà religiosa: per quest’ultima si propongono dieci (Vienna) e sei (Budapest) punti per verificarne «l’esercizio effettivo», si sollecitano informazioni puntuali sulle violazioni, si propongono modalità per l’applicazione fattuale del deliberato di Helsinki (Madrid, Ottawa), si sollecita l’approvazione di una convenzione internazionale.
Ho cercato di distinguere imprese vecchie e nuove che toccano a un collaboratore di Papa Wojtyla. Ma può capitare anche che l’impresa sia tutta tradizionale e tutta nuova a un tempo, come la missione compiuta da Silvestrini in Cecoslovacchia nel novembre del 1987: presiedeva la delegazione inviata ai funerali del vescovo di Trnava, Julius Gabris, la cui morte aveva fatto salire a 9 su 13 le diocesi vacanti; incontrò a Praga il 19 il vice-ministro degli Esteri Jaromir Johannes e ottenne un impegno per la ripresa del negoziato sulla nomina dei vescovi (a tre nomine si arriverà poi in aprile). Nulla di più tradizionale che trattare nomine episcopali. Ma nulla di più nuovo che condurre trattative con un governo dopo la pubblica denuncia da parte del Papa, che il 1° ottobre 1987 – ricevendo il cardinale Tomasek e inaugurando le sedute del Sinodo – aveva definito la situazione cecoslovacca come «priva di confronti», per gravità, rispetto a tutti i paesi a tradizione cristiana.
Anche il tradizionale con Papa Wojtyla si colora di nuovo. Il segretario per gli Affari pubblici incontra spesso il Papa, da solo o insieme al sostituto, o al segretario di Stato. Fu sempre cosi. Ma questo lavoro di consulenza immediata si è modificato con questo Papa, crescendo di quantità: gli incontri sono spesso improvvisi, di frequente a tavola, qualche volta Wojtyla vuole che parlino tra loro – in sua presenza – i sostenitori delle diverse soluzioni. Un metodo di lavoro nuovo, più creativo e più collegiale rispetto ai costumi della Curia tradizionale. Silvestrini il 29 ottobre 1985 ne parlò ai giornalisti e approfitto dell’occasione per sostenere che l’accesso diretto al Papa da parte del segretario agli Affari pubblici sarebbe dovuto restare, quale che fosse il reinquadramento da dargli nella revisione della “Regimini”, cioè della costituzione apostolica con cui Paolo VI aveva riformato la Curia nel 1967: «In ogni momento il Papa deve avere la possibilità di consultare rapidamente questo ufficio, in vista di una decisione che si imponga improvvisamente, o in seguito a un imprevisto».