Quanto voglio bene al padre Bartolomeo Sorge e non solo perché ha fatto ottant’anni e io lo conosco da quaranta. Né solo perché ora ha scritto La traversata. La Chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi (Mondadori 2010, pp. 212, euro 18, 50) e io ero sulla barca dall’inizio. Né perché condivida le sue opinioni: la più parte sì, ma alcune no e sempre con una qualche diversità di tono.
Gli voglio bene come uomo e sono contento di dirglielo in pubblico, finalmente, senza le stretture delle interviste o delle cronache con cui ho parlato di lui le cento volte sulla Repubblica e sul Corriere della Sera. Seguendolo nei congressi delle ACLI e nei convegni dei Cristiani per il socialismo, in quelli della CEI e a Puebla nel 1979, nelle Congregazioni generali dei gesuiti, nei travagli della rifondazione della DC e della “ricomposizione dell’area cattolica”, nell’avventura siciliana e di nuovo in quella milanese e missionaria.
Baschetto ben calzato
e spiritaccio a lunga tenuta
Lo amo come uomo per lo spiritaccio a lunga tenuta che ancora l’assiste, per la passione con cui sempre ha cercato il “rinnovamento” che è la sua parola preferita. Perché c’è pure da tener dietro a qualcuno che ha detto “faccio nuove tutte le cose”. Per quel copricapo feriale ma ben calzato che fa dire a mia moglie: “Hai visto il padre Sorge? Sempre col suo baschetto vispo?”
Mi è stato vicino in un momento grave e se ne ricorda fino a oggi. Non ha mai protestato per quello che ho scritto di lui. Ha sempre risposto alle mie domane e mi ha ricevuto anche alla vigilia dei conclavi e nelle pause dei convegni ecclesiali di Acireale, quando era sotto scorta.
Nel cristiano Bartolomeo apprezzo la capacità di parola che non l’ha abbandonato quando gli furono tolti i microfoni. L’umiltà di non credersi indispensabile che gli ha permesso di restare in pista due volte con tenuta e fantasia: è passato dalla direzione della Civiltà cattolica a quella del Centro Padre Arrupe di Palermo nel 1985 come fosse la cosa più naturale; e da Palermo a Milano, al Centro San Fedele, nel 1996 con la stessa elasticità.
E’ uno che non si monta e non si spaventa. E non la fa pesare. La Traversata è sobriamente autobiografica e dice qualcosa di utile a ogni pagina ma sempre un poco meno di quello che poteva squadernare un tal navigatore. Il lettore non viene sopraffatto. Una seconda dote del libro è la fiducia nell’uomo e in Dio con cui è condotto. Si conclude con l’invito a “proseguire con coraggio la traversata seguendo la rotta tracciata dal Concilio” (p. 185).
Creativa è la metafora della “traversata” per i cinquant’anni che ci separano dall’avvio della stagione conciliare. E nel libro c’è la “rotta”, ci sono i “traghettatori”, il “giro di boa”, le “conversioni a u”, il “timone della barca” e c’è persino uno “svincolo di autostrada”. Insomma ci si muove. La traversata compiuta fin qui – sostiene il nostro marinaio – è stato “un tragitto piuttosto lento e non sempre lineare”, ma ha avuto il merito di “portare la Chiesa in mare aperto” e di farle “prendere il largo” (11) e dunque non resta che portarlo avanti “senza ripensamenti o nostalgie per il passato, senza rimettere in discussione scelte già fatte” (188).
Nell’ultima pagina la prosa dell’argonauta prende il vento come una vela: “La Chiesa ha bisogno di una nuova generazione di traghettatori che l’aiutino a rispondere con generosità all’invito insistente dello Spirito: Duc in altum! Esci dal tempio, prendi il largo, affronta il mare aperto”.
Con la libertà
di chi lascia gli incarichi
Uscire dal tempio. Intervista autobiografica era il titolo di un libro pubblicato dal padre Bartolomeo con l’aiuto di Paolo Giuntella nel 1989: lo segnalai sul Corsera come “il più bel libro del padre Sorge”. Ma ora dico che il più bello è questa Traversata. Qui non c’è la creatività del caro Giuntella a fare leggero il racconto del nostromo ma esso lievita da solo, aiutato dalla libertà di chi ha lasciato gli incarichi.
Questa Traversata si può leggere in due chiavi: come referenza su mezzo secolo di storia della Chiesa, o come testimonianza del cristiano Bartolomeo. Io preferisco la seconda chiave, ma segnalo che elementi informativi inediti si colgono quantomeno nei capitoli intitolati a Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Pedro Arrupe, Helder Camara, Enrico Bartoletti.
I ritratti degli undici “traghettatori” sono la parte più viva del volume. Oltre ai nominati, troviamo Oscar Arnulfo Romero, Giuseppe Lazzati, Salvatore Pappalardo, Pino Puglisi, Carlo Maria Martini. Martini è l’unico vivente: “Senza di lui sarebbe mancato un anello importante alla mia ricostruzione, così ho deciso di fare un’eccezione”.
Già dai nomi si coglie l’inclinazione data al timone dai “traghettatori”, anzi dal loro aiuto di cabina. Bada lettore mio che non sto metaforeggiando: la prima parte del volume è intitolata La rotta e la traversata, la seconda I traghettatori. “Non c’è Dossetti” gli è stato osservato dal collega del Corsera Marco Garzonio il 28 aprile al San Fedele di Milano e lo skipper Bartolomeo: “Non ho camminato con lui. Ho narrato le persone che sono state più importanti per me tra quelle che ho incontrato”. Penso che lo stesso direbbe a chi l’interrogasse su papa Ratzinger.
Se vi sia identificazione
tra Chiesa italiana e CEI
Mi ha colpito un fatto: che il padre Bartolomeo non rinnega nulla di quello che ha fatto e detto, anzi ricorda anche quanto potrebbe tralasciare, tanto è datato e oggi ignoto ai più. A p. 64 rispunta quella “scelta di classe cristiana come dovere evangelico” avanzata nel 1971 ed entrata nella lettera Camminare insieme del cardinale Michele Pellegrino. A p. 147 ritroviamo l’idea di una “pastorale organica dell’antimafia” formulata nel 1989 a un convegno delle Chiese di Sicilia.
Non poteva tralasciare – e non tralascia – l’inascoltata proposta di dar vita a un “organismo nazionale permanente di partecipazione dei laici alla vita della Chiesa”, fatta al Convegno del 1976 Evangelizzazione e promozione umana (32). Nonché la sollecitazione – ritornante nei decenni e sempre inascoltata – a cercare “nuove modalità per l’impegno politico dei cattolici”. Di quell’inascolto si rammarica, il tenace rematore, nel capitolo La traversata della Chiesa italiana che è il più critico dell’ufficialità.
Qui parla della “fase di normalizzazione” venuta dopo gli anni del rinnovamento cercato da Enrico Bartoletti (30). Illaziona che i convegni della Chiesa italiana seguiti a quello di Roma 1976 (cioè Loreto 1985, Palermo 1995, Verona 2006) “siano stati concepiti più come un’occasione offerta alla gerarchia per orientare il cammino del popolo di Dio che come l’occasione data alle diverse componenti della comunità per far udire la propria voce” (34). Denuncia la “identificazione tra Chiesa italiana e Conferenza episcopale” (35) e lamenta che non sia stato mai “approfondito” il “problema dell’autonomia responsabile dei fedeli laici” (37).
Una vita che è tutta un inno
alla “divina fantasia”
In questo io sto con Sorge. Il mio sentire è meno politico e sono meno propenso a mettere in dubbio la legittimità di una scelta di destra per un cristiano e non condivido il duro bilancio del ventennio ruiniano (23), ma sul laicato il padre Bartolomeo ha ragione. Fa bene a segnalare come “nuova tappa” per il domani “quel salto di qualità del laicato nella vita ecclesiale e civile che il Concilio invoca ormai da cinquant’anni” (40). Né dimentica la questione nella conclusione del volume, dove grida dalla coffa tre priorità per il prosieguo della “traversata”: una fede adulta, una Chiesa profetica, un laicato maturo.
Nei ritratti di chi ha conosciuto il padre Bartolomeo dà il meglio. Paolo VI: “Soffriva di far soffrire gli altri ed era felice di vederli felici” (66). Papa Luciani: “Era timido ma vivace, severo ma arguto, sorridente ma pensoso” (74).
La migliore invenzione linguistica è quella con cui invita a rimettersi alle sorprese della Provvidenza, narrando le svolte della propria vita decise dai superiori: “Nacque da qui la mia devozione alla ‘divina fantasia’ , che vado diffondendo intorno a me” (44).
Troviamo informazioni inedite sulle vicende della Compagnia di Gesù e un poco su tutto. Si narrano – come negli articoli dei vaticanisti, ma qui ex auditu – telefonate riservatissime di Monduzzi (84), Benelli (106), Bartoletti (126). Si riferiscono colloqui dei papi con il nostro scriba di bordo. A p. 85 c’è questa battuta che gli fu rivolta da Papa Wojtyla all’alba del pontificato: “Lo sa che papa Luciani voleva mandare lei a Venezia?”
Una “purificazione”
che giova alla Chiesa
Con l’istinto giornalistico che gli conosciamo – ha diretto La Civiltà cattolica, Popoli e Aggiornamenti sociali – il padre Bartolomeo inserisce in questo diario di bordo una pagina pensosa sullo scandalo dei preti pedofili (43) e subito dopo un’altra – molto bella: e con essa chiudo la mia amichevole requisitoria – sul “momento di purificazione che la Chiesa sta vivendo”: “ Come a ogni svolta significativa della storia, lo Spirito Santo, che la guida, interviene a liberarla dalle scorie e dalla polvere che ineluttabilmente si depositano su persone e istituzioni, la riporta alla purezza delle origini, la rinnova e la fa crescere. Ebbene, la nostra epoca è una di queste svolte, in cui tornano i ‘tempi apostolici’: la Chiesa si ritrova in minoranza e povera, gli ‘operai’ diminuiscono mentre la messe cresce, si diffondono nel mondo nuove forme di paganesimo e torna ad aumentare il numero dei martiri. Tutte queste prove, però, non fiaccano la Chiesa, ma la rafforzano, la rinvigoriscono e la fanno crescere: la fede si fa più matura, nascono nuove forme di annunzio e di testimonianza, si riscopre l’importanza della preghiera e della parola di Dio, germogliano nuovi carismi” (44).
Luigi Accattoli
Da Il Regno 12/2010