Montale in “Casa sul mare” (Ossi di seppia 1948) ha un endecasillabo che m’accompagna da cinquant’anni: “forse solo chi vuole s’infinita”. Il lungo ascolto m’ha convinto al minimo cambiamento che propongo nel titolo del post.
Solo chi vuole infine s’infinita
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Senza ‘forse’, solo ‘infine’.
“Ho compreso in una lunga vita
che solo chi vuole infine s’infinita”
Purtroppo ho commesso il grave errore di abbandonare la Letteratura Italiana al termine del Liceo diversi anni fa: cortesemente chi mi fa una bella spiegazione dell’endecasillabo?
Grazie mille. 😉
Fabricianus questa è la poesia completa:
ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
Il “viaggio” dell’incipit delle prime due strofe e il “cammino” della quarta sono metafore della vita. Infinitarsi, farsi infinito, sta per eternarsi, guadagnare l’eternità. L’eterno appare nell’ultimo verso della poesia.
L’eternità è promessa dalla fede cristiana e Montale quasi non osa evocarla. Dice “infinito”, come già aveva fatto Leopardi. Leopardi e Montale non sono cristiani ma sono nostalgici dell’eterno: “E mi sovvien l’eterno” (Leopardi), “Salpa già forse per l’eterno” (Montale).
Con il “tu” dell’apertura della terza strofa torna la figura femminile che in tutta l’opera di Montale allude alla possibilità della salvezza: e anche questa è nostalgia cristiana. Pensa alla Beatrice dantesca. Pensa come già Leopardi ebbe a proporre una figura femminile quale immagine di scampo alla finitudine nel canto “Alla sua donna”: “Di qua dove son gli anni infausti e brevi, / questo d’ignoto amante inno ricevi”. “Di là dal tempo” dice Montale nel verso che precede quello sul quale m’interroghi. “Di qua” dice Montale. Leopardi e Montale vanno letti insieme.
La donna chiede a Montale e a se stessa se vi è un altrove, uno scampo al compimento d’ogni destino terreno, o se tutto è in esso rinchiuso. E’ in risposta a questa domanda, che è già una reazione al “tutto [che] vanisce”, e che Montale da solo non saprebbe – non oserebbe – porre; è in risposta alla domanda di lei che il poeta risponde con il verso che io amo: “forse solo chi vuole s’infinita”. Credo stia a dire: forse la salvezza è possibile a chi la cerca, a chi ha il dono di crederla possibile, a chi la vuole in obbedienza a questo dono.
Fabricianus e Nico sono contento di aver camminato con voi stanotte e stamane. Buona giornata.
Buona giornata a te e a Fabri.
Grazie.
“Credo stia a dire: forse la salvezza è possibile a chi la cerca, a chi ha il dono di crederla possibile, a chi la vuole in obbedienza a questo dono.”
Infatti questo significa.
Cerco la salvezza,la desidero, la voglio, e proprio questa mia fiducia me la otterrà in dono. Sarà la ricompensa per averci creduto.
La fine del viaggio con l’approdo nel porto dell’infinito tanto sognato.
Ad ogni modo, la poesia è tutta pervasa da un’ombra di incertezza che immalinconisce. Fa intuire il disagio di un’anima che non è riuscita a trovare un punto fermo, così come avviene per gran parte degli uomini.
Tutti hanno la nostalgia dell’infinito, ma resta nostalgia senza certezze. Resta solo speranza; che per molti assume i contorni della fede (fiducia), per molti altri non ha ragion d’essere, e la allontanano.
Ps
Magnifica la spiegazione della poesia, Luigi. Sei molto bravo.
Grazie mille Luigi della spiegazione e grazie anche a nico e marilisa.
Buon pomeriggio.
“Dannazione”
Chiuso tra cose mortali
– anche il cielo stellato finirà –
perché bramo Dio?
(G. Ungaretti)
L’ho ritrovata, e mi piaceva farla risuonare qui.
Una persona a me molto cara un giorno alla mia domanda perché credesse in Dio rispose: “perché Lo desidero con tutte le mie forze.”
Una risposta a quel “perché bramo Dio?” di Ungaretti.
Oggi purtroppo le troppe delusioni della vita l’hanno allontanata da Dio, l’hanno resa indifferente.
Ma io prego per lei e spero che quel desiderio di Dio la riavvolga.
Marilisa credo che tu abbia inteso bene.
Ungaretti è cristiano e dunque brama Dio.
Montale non è cristiano: vorrebbe non turbare, magari incoraggiare la brama altrui [“Ti dono anche l’avara mia speranza”] ma è convinto che “per i più non sia salvezza” – e per lui tra loro.
Tempo fa lessi di un sentimento gnostico in Montale.
http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/000915.htm
Si nota soprattutto nella sensazione di spaesamento nei confronti del mondo e del dolore.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
“talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.”
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Da ragazza amavo molto meriggiare pallido e assorto. (in fondo sono gnostica anche io)
E il gelo del cuore si sfa…
Grazie per “I limoni”, Sara.