Considero Santa Scorese una martire della dignità della donna. Uso la parola “martire” nel senso largo con cui Giovanni Paolo ha parlato di “nuovi martiri”, per indicare – in occasione del Grande Giubileo – i “testimoni della fede” nel nostro tempo. E uso l’espressione “dignità della donna” nel senso forte con cui il nostro Papa l’ha posta a titolo del suo inno al genio femminile: la Mulieris dignitatem. Combino infine i due concetti seguendo l’intuizione con cui il Pontefice – sempre lui – in altra occasione ha parlato delle vittime della resistenza al nazismo come di “martiri della dignità dell’uomo” (messaggio Urbi et orbi della Pasqua 1985).
Per chi sia memore della sua giovinezza, Santa è una figura affascinante. L’ho incontrata una prima volta, cinque anni dopo il suo martirio, mentre preparavo un’antologia di preghiere, dove riportai una pagina luminosa del suo Diario, quella della dichiarazione a Gesù: “Io sono contenta di stare innamorandomi di te”(Cento preghiere italiane di fine millennio, La Locusta, Vicenza 1996, p. 54).
Ho ritrovato Santa qualche anno più tardi, quando conducevo un’inchiesta sui “martiri” del Novecento e decisi di inserirla – come una sorella minore – nel novero delle “martiri della dignità della donna”, dopo Maria Goretti (beata nel 1947, santa nel 1950), Antonia Mesina (beata nel 1987), Pierina Morosini (beata nel 1989), Teresa Bracco (beata nel 1998), ponendola cioè come quinta dopo una santa e tre beate (Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, Editore San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, p. 257).
Ma Santa è affascinante anche per chi abbia figli ventenni: ed è stato leggendo questo profilo, abbozzato con occhio di padre da Giuseppe Micunco, che l’ho amata come si ama una figlia. Mi attirano – e sono sicuro che attireranno i lettori – la sua voglia di vivere, la sua ricerca di una strada nella vita, il suo desiderio di pienezza di vita.
Sogna “un uomo da amare”, con il quale dividere “tutta la vita”. Anche quando avverte con più forza l’attrattiva di Dio, questa è nel segno della pienezza e non della privazione: “Sarò giglio, vela, aquila, musica perché tu sei tutto questo”.
Infine Santa affascina chiunque abbia incontrato, nella vita, il mistero di Dio e sia potuto restare, anche solo per un breve momento, alla sua presenza. Lei mostra di vivere per intero, la sua breve avventura, davanti al mistero.
Avverte – si direbbe con pari immediatezza – l’amore di Dio e il silenzio di Dio. A poche pagine di distanza, chiede se valga la pena dedicare l’esistenza a un Dio che “continua a tacere” e parla con incantamento della storia che sta avendo con lui: “Questo Dio che si è innamorato di me senza sapere che si è andato a cercare un guaio”.
Ma noi non parleremmo di Santa, qui e ora, se Santa non avesse vissuto, prima che subìto, un suo martirio. Ci sono sempre state – e ci sono oggi, in Italia e dappertutto – donne che resistono alla violenza sessuale fino a morirne: la tradizione cristiana le considera “martiri”. Questa tradizione è stata ripresa con forza, nel nostro secolo, dalle comunità che hanno spontaneamente venerato alcune di tali martiri e dai Papi Pio XII e Giovanni Paolo II che quel martirio hanno riconosciuto, in cinque distinti atti di beatificazione (alle quattro italiane nominate sopra, va aggiunta la polacca Carolina Kozka, 1898-1914, beatificata nel 1987) e in uno di canonizzazione.
Propongo di chiamare queste sorelle “martiri della dignità della donna”, con riferimento – come accennavo – alla Mulieris dignitatem, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II (1988), nella quale si legge che c’è “un’eredità del peccato” che tende a condizionare in negativo il rapporto tra l’uomo e la donna: “una cattiva eredità” che ogni persona e ogni generazione devono di nuovo contrastare e superare. Questo superamento è da compiere sia da parte dell’uomo che della donna: “Infatti in tutti i casi nei quali l’uomo è responsabile di quanto offende la dignità personale e la vocazione della donna, egli agisce contro la propria dignità personale e la propria vocazione”.
Sarà ovviamente con tutta la vita che una donna cristiana difenderà la propria dignità di persona. Ma può capitare, capita, che debba difenderla anche – in modo deciso e decisivo – di fronte a un corteggiamento ossessivo, o a un tentativo di violenza sessuale. Santa ha vissuto ambedue queste esperienze. Il mistero dell’iniquità continua a manifestarsi, anche ai nostri giorni, con l’aggressione violenta nei confronti delle giovani donne.
È difficile parlare di questo argomento nella città mondiale, che non conosce il rispetto delle anime e dei corpi. Ma è necessario provarci. È a tal fine che mi azzardo a proporre una piccola innovazione di linguaggio: un giornalista può ben svolgere la funzione di chi sperimenta parole nuove, lasciando a chi sa di più il compito di valutare la bontà della proposta.
Una locuzione tradizionale come “martiri del pudore”, o “della purezza”, credo che oggi non venga intesa, non dico dal mondo dei media, ma neanche dai nostri figli che frequentano le parrocchie. Ritengo inoltre che quell’espressione – che mira alla salvaguardia del proprio pudore – non valga più, nella cultura di oggi, a rendere giustizia alle storie di queste donne forti, che sanno benissimo di essere chiamate a resistere a quanto offende – insieme al pudore personale – la dignità e la vocazione di ogni donna e quindi di tutte le donne. Una consapevolezza che è massima in Santa, com’era stata forte in Pierina Morosini (bergamasca, uccisa a 26 anni, nel 1957, da un corteggiatore respinto), quella che più le somiglia per età e cultura, tra le sorelle il cui martirio è stato già riconosciuto dalla Chiesa.
Che comunque si tratti di donne forti e non di semplici vittime della durezza della vita, la grande tradizione della Chiesa l’aveva sempre inteso, come attesta l’omelia di Pio XII per a beatificazione di Maria Goretti (28 aprile 1947), che paragona Maria alla vergine romana Agnese – “martire della fede e del pudore” – e così continua: “La loro virtù caratteristica è la fortezza. Fortezza della vergine, fortezza della martire, che la giovinezza mette in una luce più viva e radiosa. Fortezza che è ad un tempo tutela e frutto della verginità”.
Questa fortezza Santa deve cercare in sé e in Dio, per resistere al giovane che la perseguita per tre anni e infine l’uccide. In uno sfogo diaristico, dopo il primo tentativo di aggressione, arriva a chiamarlo “lurido individuo”. Racconta sì di essersi “spaventata”, ma anche “tanto arrabbiata” e come le pesa farsi accompagnare! Non ritroviamo in lei tutti i segni della corale battaglia delle ragazze d’oggi a difesa della loro dignità, contro la violenza maschile?
La storia di Santa – meglio di quelle delle sorelle che l’hanno preceduta in questa avventura testimoniale – può aiutare a vincere il pregiudizio più diffuso su queste figure: che si tratti di vittime inconsapevoli della sessuofobia cattolica e contadina. A differenza della bambina Maria Goretti, che aveva appena dodici anni, Santa è grande e bella, va all’università e tiene un diario, fa la volontaria della Croce Rossa, sa che cos’è la vita e la sessualità. Ma dimostra la stessa gelosia di Marietta – e delle altre, sue coetanee, o poco più grandi – per il mistero del corpo e dell’amore, che ogni cristiano avverte come fondamentale per l’autentico riscatto – anche futuro – della dignità della donna e dell’uomo.
Luigi Accattoli
Prefazione al volume SANTA SCORESE, LE ZOLLE FIORITE. PREGHIERE DI UNA SERVA DI DIO, Stilo Editrice 2003
Scheda su Santa Scorese
[dal volume NUOVI MARTIRI di Luigi Accattoli, San Paolo 2000]:
Barese, uccisa il 15 marzo 1991, a ventitré anni, da un maniaco che la perseguitava. Per il comportamento ossessionante del giovane psicopatico, Santa si muoveva sempre in compagnia, soltanto una sera torna da sola da un incontro in parrocchia: lui l’aspetta nascosto, e, al suo ennesimo rifiuto, la pugnala a morte.
Santa lascia un diario ricchissimo di pagine di umanità e di fede, dalle quali traspare la scelta di Cristo come interlocutore privilegiato: “Oggi sono stata maltrattata, abbandonata da un amico e ho pensato subito soltanto al mio dolore.
(…) poi ho pensato a te, al tuo abbandono e a come avrai sofferto quando gli amici ti hanno abbandonato e hai sentito lontano anche il Padre.
Il mio dolore si è trasformato in amore! È vero, sono sicura che tu stai affondando le tue radici in me e io sono contenta di stare innamorandomi di te”.
L’arcivescovo di Bari il 5 aprile 1998 avvia l’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione.
Ho scelto te. Autobiografia individuale di Franca Scorese, a cura delle Missionarie dell’Immacolata – padre Kolbe.
Luigi Accattoli, Cento preghiere italiane di fine millennio, Vicenza, 1996.
Amelia Benfenati, “Ho voglia di essere Maria…”, su Milizia mariana, 3/1998, p. 22.