Rosario Livatino: “Il rendere giustizia è dedizione di sé a Dio”

Rosario Livatino è forse la più bella figura cristiana tra le vittime della mafia siciliana: magistrato ad Agrigento, viene ucciso mentre dalla sua casa di Canicattì, la mattina del 21 settembre 1990 è in viaggio per raggiungere il Tribunale di Agrigento. Ha 38 anni, è senza scorta e senza macchina blindata: non le ha mai volute. Si sapeva che era un magistrato coraggioso e si scopre che era un cristiano serio. Sarà in riferimento a lui che il Papa, il 9 maggio 1993, dopo aver incontrato ad Agrigento i suoi genitori, dirà degli uccisi dalla mafia: “Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede”. Il 9 maggio 2021 è stato beatificato con il titolo di martire.
Nel vallone accanto alla superstrada, dov’era precipitato agonizzante per sfuggire ai killers, fu trovata accanto a lui la sua agenda di lavoro. Su di essa, nella prima pagina spiccava la sigla “STD”: “Sub tutela Dei”. Quella sigla si trova in tutte le sue agende e ricorda – ha spiegato il professore Giovanni Tranchina, che di Livatino fu docente universitario – “le invocazioni con le quali, in età medievale, si impetrava la divina assistenza nell’adempimento di certi uffici pubblici”.
Nella messa di commiato, il suo vescovo lo descrisse come “impegnato nell’Azione cattolica, assiduo all’Eucarestia domenicale, discepolo fedele del Crocifisso”. E’ attestato il suo impegno affinché‚ nell’aula delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso. Ogni mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe. Ma tutto questo nella massima discrezione. Alla messa domenicale andava con i genitori. Lo stesso parroco della chiesa di San Giuseppe ignorava chi fosse “quel giovane profondamente raccolto” che vedeva da anni. Pochi in città sapevano che era un giudice di prima linea e quasi nessuno che era un cristiano militante.
Più puntuale su Livatino come figura cristiana è la testimonianza del parroco Pietro Li Calzi. Decisiva è la documentazione che ci viene dagli appunti lasciati nelle agende. Splendida è l’attestazione delle due conferenze inedite e stampate dopo la morte: “Il ruolo del giudice in una società che cambia” (tenuta nel 1984 al Rotary Club di Canicattì) e “Fede e diritto” (sempre a Canicattì, nell’aprile del 1986, a un gruppo culturale cristiano).
Il parroco lo descrive come “fulgido esempio di cristiano maturo” e racconta della sua frequenza anonima alla catechesi – lungo il 1988 – per ricevere la cresima che non aveva avuto da ragazzo.
Nell’agenda del 1978 c’è questa invocazione sulla sua professione di magistrato, in data 18 luglio, che suona come consacrazione di una vita: “Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”.
Nelle agende dal 1984 al 1986 ci sono accenni drammatici a una crisi di coscienza, dovuta – pare – a minacce e condizionamenti: “Vedo nero nel mio futuro. Che Dio mi perdoni” (19 giugno 1984); “Qualcosa si è spezzato. Dio avrà pietà di me e la via mostrerà?” (31 dicembre 1984). Fino a una soluzione di fede e di accettazione della prospettiva del martirio: “Oggi, dopo due anni, mi sono comunicato. Che il Signore mi protegga ed eviti che qualcosa di male venga da me ai miei genitori” (27 maggio 1986).
Dalla conferenza sul ruolo del giudice basterà riportare queste parole, che acquistano grandezza e fuoco dal suo sangue: “Il giudice di ogni tempo deve essere ed apparire indipendente, e tanto può esserlo ed apparire ove egli stesso lo voglia, e deve volerlo per essere degno della sua funzione e non tradire il suo mandato”. Morirà appunto per la decisione di portare avanti un’inchiesta di mafia sottraendosi a ogni condizionamento dall’ambiente mafioso in cui era costretto a muoversi e che radicalmente rifiutava.
Dalla conferenza su fede e diritto riporto un passo di straordinaria profondità – degna di giuristi credenti alla Capogrossi, o alla Jemolo – che descrive il rendere giustizia come atto di preghiera:
“Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”.
Quella conferenza termina con una pagina che afferma la coincidenza finale, per il cristiano, di giustizia e carità:
“I non cristiani credono nel primato assoluto della giustizia come fatto assorbente di tutta la problematica della normativa dei rapporti interpersonali, mentre i cristiani possono accettare questo postulato a condizione che si accolga il principio del superamento della giustizia attraverso la carità”.
Fossimo nei primi secoli della Chiesa, Rosario Livatino sarebbe già venerato come martire e dottore.

Ida Abate, Il piccolo giudice. Profilo di Rosario Livatino, Palermo 1992, pp.190.
Nando Dalla Chiesa, Il giudice ragazzino, Torino 1992.
Il giudice ragazzino, film prodotto dalla Rai e dalla Rcs, di Alessandro di Robillant, con Giulio Scarpati e Sabrina Ferilli. Alfredo Mantovano – Domenico Airoma – Mauro Ronco, Un giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, la toga e il martirio, edizioni Il Timone 2021, pp. 112, euro 14.00.

Il 21 settembre 2011 è stata introdotta ad Agrigento la causa di canonizzazione. La cerimonia di beatificazione si è svolta, sempre ad Agrigento, il 9 maggio 2021.

[Settembre 2011 con aggiornamento al maggio 2021]

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