Stavolta parliamo del cristiano Carlo Alberto dalla Chiesa. Tutti sappiamo che fu un valoroso carabiniere, un geniale comandante dell’Arma nella sfida al terrorismo, un martire della lotta alla mafia. Ma poco sapevamo di che tempra fosse la sua fede fino a quando il figlio Nando non ha pubblicato, in un volume intitolato In nome del popolo italiano (Rizzoli 1997), una parte del suo diario, dove sono contenute diverse pagine che ci raccontano la sua struggente preghiera nei mesi e negli anni seguiti alla morte improvvisa, per infarto, di Dora, la sua prima moglie.
Altre due pagine del diario del padre, Nando dalla Chiesa le ha poi affidate ad Avvenire, che le ha pubblicate insieme a un’intervista apparsa il 14 dicembre 1997: «Il segreto del generale. Dai diari emerge la spiritualità di Carlo Alberto dalla Chiesa, il “prefetto di ferro” ucciso dalla mafia nel 1982».
Ecco un brano di diario in data 19 febbraio 1979 che ho preso dal servizio di Avvenire. In esso Carlo Alberto si rivolge alla moglie Dora, nel primo anniversario della morte di lei:
Poi siamo andati alla parrocchia di Santa Barbara e c’era tanta tanta gente, c’erano le tue amiche più care e le altre e, là, in prima fila, c’era la cara Emilia, la piccola signora dalla Chiesa, con il suo Nando e poi Magda e Rita. Io, tesoro, mi sono trattenuto nella penombra di quella colonna in fondo, ove in silenzio ti guardavo pregare sul tuo rosario, implorando da Dio la grazia per i tuoi cari; mi sono trattenuto con le mie lacrime mentre il parroco aveva per te le espressioni più belle e ti voleva nella comunione dei santi e vicina alla gloria di Dio, lassù amore, in Paradiso! Ho tanto bisogno, invece, di averti con me, qui, con il tuo sorriso, con quel “ciao” che non mi hai detto prima di lasciarmi, amore, con quel “vai piano” che certamente mi avresti detto, se lo avessi potuto, nel lasciarmi per sempre. Sì, amore bello, voglio credere, voglio sperare come diceva il Sacerdote oggi, ma ho bisogno che tu mi aiuti.
Il diario il generale lo scrive per la sposa che l’ha lasciato. A lei racconta gli avvenimenti di ogni giorno. Si confida. Chiede consiglio. Le parla dei figli. La invoca, la ama, la prega. E le chiede di aiutarlo ad avere fede.
Ovviamente un profilo adeguato del generale come credente dovrebbe basarsi su una più ampia ricerca. E dovrebbe guardare soprattutto alla dedizione con cui quest’uomo compì la sua opera «nella fedeltà a Dio e ai fratelli italiani fino alla morte», come dice la «preghiera del carabiniere» – cheil generale tanto amava – dedicata alla «Virgo fidelis», patrona dell’Arma.
Qui basti dire che quella dedizione fu totale e lo portò al martirio. Egli era consapevole dei rischi, volle correrli presentandosi senza scorta alla gente di Palermo, per infondere fiducia mostrando e dando fiducia. Di quella fiducia è morto.
Ma sul tremore della sua fede e sul calore della sua preghiera qualcosa possiamo dire subito, basandoci sui testi pubblicati dal figlio.
«Sì. Credo in Dio, nell’Immenso. Anche se, su questa terra, forse perchè siamo piccini piccini, qualche volta diventa difficile»: così rispondeva a Enzo Biagi, che gli chiedeva se era «religioso», in un’intervista del 7 marzo 1978 per «Telemond» (allora tv della Mondadori).
In quella stessa intervista, alla domanda se fosse «praticante» risponde così: «Anche. Nei limiti che posso». Lo era con regolarità, ci racconta il figlio. Quando comandava la Legione di Palermo fece riaprire la «Cappella normanna», monumento nazionale che si trova nei locali dell’Arma, per «la messa domenicale, alla quale egli stesso presenziava regolarmente». Al momento della morte gli trovano nel portafogli un’immagine della Madonna che teneva sempre con sè.
La morte della sposa mette alla prova la sua fede. La preghiera a Dio e alla sposa si fondono in una sola: per essere aiutato a credere. Scrive nel diario, alla data 31 marzo-1 aprile 1978: «Sono sempre stato un credente (…) Oggi voglio avere quella fede; voglio avere più fede! (…) Vorrei tanto poter reagire, vorrei tanto tornare alla pienezza di un “Credo”, di quel Credo che è stata per me una cara, dolce costante».
Infine riporto due brani che sono come due lettere d’amore alla sposa irrimediabilmente lontana. E con esse termino questo mio invito a leggere il libro del figlio, prezioso per la storia del generale e ancora più prezioso perchè finalmente ci fa conoscere il cristiano dalla Chiesa.
«Oggi attendo, giorno dopo giorno, che tu mi compaia almeno in sogno (…) Attendo, amore, attendo (…) Ma tu, amore, tu, Dora mia, mi senti? mi vedi? mi tieni per mano? Io continuo a crederlo anche quando mi dispero, non fosse che per chiederti di portarmi con te, ovunque tu mi voglia. In una bella crociera nel cielo!»
«Oggi ti cerco, ti cerco, ti voglio» (29 marzo 1982).
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel febbraio 1998]