In memoria di don Andrea Santoro e degli altri, tra i quali sei sacerdoti francescani
Continuano a fiorire i martiri sull’albero della Chiesa: l’uccisione di don Andrea Santoro a Tabson, in Turchia, avvenuta domenica 5 febbraio e quella di don Michael Gajere a Maiduguri, in Nigeria, domenica 19 febbraio, ci provocano a fare memoria dei martiri d’ogni generazione e in particolare di quelli caduti in terra d’Islam, come testimoni disarmati della fede.
Il pensiero e il cuore vanno commossi a Charles de Foucauld, ucciso a Tamrasset, nel Sahara algerino, nel 1914 durante una scorreria di Tuareg e ad Annalena Tonelli, la volontaria italiana uccisa il 5 ottobre 2003 a Borama, nel nord della Somalia. Don Andrea e Annalena avevano fatto propria la scelta di Charles de Foucauld, che il papa ha proclamato beato il novembre scorso: essere testimone silenzioso di Cristo nel mondo musulmano, facendosi fratelli dei più poveri.
Tornerò a loro, che spontaneamente sento come fratelli e grandi santi. Ma prima vorrei ricordare la intensità e la frequenza, lungo l’ultimo secolo, del martirio cristiano in terra d’Islam. Il primo posto, in questa memoria, tocca alla piccola Chiesa d’Algeria, quasi dispersa in quel mare musulmano: tra il 1994 e il 1996 essa ha avuto ben 19 martiri: religiosi, religiose, i 7 monaci di Tibhirine e un vescovo, quello di Orano, Pierre Claverie.
Un altro teatro di martirio è stata in anni recenti l’isola di Timor, nella fase (alla fine degli anni ’90) di distacco dall’Indonesia musulmana. Laggiù la Chiesa italiana ha avuto una martire nella suora canossiana Erminia Cazzaniga, originaria di Lecco, uccisa con altre persone nel massacro di Los Palos il 25 settembre del 1999. In quell’occasione le milizie anti-indipendentiste uccisero anche tre sacerdoti, un’altra suora missionaria canossiana e tre volontari della locale parrocchia.
Forse il più gran numero di martiri cristiani in terra d’Islam lo scopriremo un giorno tra i fratelli del Sudan e della Nigeria: si sta facendosi via via più violento il confronto tra Islam e Cristianesimo nei paesi africani dove il mondo arabo, a dominante musulmana, confina e si mescola con quello tradizionale africano in gran parte convertito al cristianesimo.
Ma ora vorrei gettare un’occhiata ai martiri italiani in terra musulmana che hanno versato il sangue lungo il secolo XX. Nel corso di una mia indagine (Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, San Paolo editore 2000) ne ho contati otto, che sono stati uccisi tra il 1908 e il 1992, in sei paesi diversi: dalla Libia alla Turchia, dalla Siria alla Palestina, dalla Somalia alle Filippine. Sei di loro sono francescani e mi pare bello ricordarli su una rivista francescana.
Il primo di questi martiri in ordine di tempo è Giustino Pacini, sacerdote francescano, superiore della missione di Derna, in Tripolitania (oggi Libia), ucciso a pugnalate – da sconosciuti – il 21 marzo 1908. Era in conflitto con le autorità della comunità musulmana locale, avendo fatto ricorso alle autorità consolari per la difesa della sua attività missionaria e avendo provocato un contro-ricorso a Costantinopoli da parte del governatore di Derna.
Altri due sacerdoti francescani dell’Ordine dei Frati Minori vengono uccisi a Muginkderesi, Turchia, il 23 gennaio 1920: sono Francesco De Vittorio, nato a Rutigliano (Bari), 37 anni e Salvatore Sabatini, nato a Pizzoli (L’Aquila), 25 anni. Vengono aggrediti in casa di un musulmano dal quale erano stati invitati a pranzo insieme a un gruppo di “orfanelli”. L’uccisione è seguita dal massacro dei bambini e di altri cristiani.
Alberto Nazzareno Amarisse, anche lui sacerdote dei Frati minori, nato a Cave (Roma), viene ucciso in chiesa con un gruppo di fedeli da nazionalisti musulmani, a Jenigekalè, in Turchia, probabilmente il 23 gennaio 1920.
Leopardo Bellocci sacerdote dei Frati minori, nato a Osimo (Ancona), 38 anni, missionario in Terrasanta, il 20 agosto 1920 prende il treno ad Aleppo per Gerusalemme e viene aggredito e ucciso – insieme ad altri viaggiatori cristiani – da manifestanti musulmani alla stazione di Khirbert Ghazale.
Mario Rosin sacerdote salesiano, ucciso da banditi a Beitgemal (Palestina), il 23 giugno 1938. Passa quasi tutta la sua vita (46 anni) in Palestina, dove arriva a 23 anni, ancora chierico e dove gestisce scuole, orfanatrofi e dispensari a Nazareth, Betlemme e Beitgemal.
Pietro Colombo vescovo francescano, milanese di Carate Brianza, 67 anni ucciso a Mogadiscio, Somalia, il 9 luglio 1989: viene colpito di notte, nel cortile tra l’abitazione e la cattedrale, con un colpo d’arma da fuoco, non si sa da chi nè perché. La polizia somala attribuisce il delitto agli ambienti del fondamentalismo islamico.
Salvatore Carzedda sacerdote del Pime, ucciso a Zamboanga (Mindanao), Filippine, il 20 maggio 1992: è una splendida figura di martire del dialogo con l’Islam. Il Gesù del Corano alla luce del Vangelo è il titolo di una sua pubblicazione a sostegno di quel dialogo. Viene ucciso con colpi d’arma da fuoco mentre rientra a casa, avendo appena inaugurato un corso estivo di dialogo islamico-cristiano.
In conclusione vorrei tornare sul martirio di don Andrea Santoro e di Annalena Tonelli, ambedue discepoli spirituali di Charles de Foucauld, che come lui sono stati uccisi da musulmani di cui si erano fatti “fratelli”.
Annalena si considerava un’allieva di Charles de Foucauld “che aveva infiammato la mia vita”. A sua volta, la vita di Charles de Foucauld era restata abbagliata dall’incontro con l’Islam: “Il contatto con questa fede e con degli spiriti che vivevano sempre alla presenza di Dio mi aiutò a capire che c’è qualcosa di più grande e di più reale dei piaceri di questo mondo” (Per una fraternità universale. Scritti scelti, Queriniana 2001, p. 14).
Don Andrea voleva farsi “piccolo fratello” per seguire l’esempio di Charles de Foucauld. Ne fu dissuaso da don Giuseppe Dossetti, che lo convinse ad andare in terra d’Islam a nome della diocesi di Roma, nella quale era “incardinato” come sacerdote.
La memoria di questi martiri può aiutarci a vincere la paura dell’Islam violento e ad apprezzare l’Islam che prega, da cui tutti e tre erano restati impressionati.
Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 4/2006