Sacerdote missionario della diocesi di Faenza, 35 anni, viene ucciso da rapinatori il 16 marzo 1997 a San Luis: un paese sperduto delle Ande del Perù, a oltre tremila metri di altezza. Stava tornando in jeep da un villaggio della missione, con sei ragazzi tra i quali alcuni volontari italiani, quando viene sequestrato e ucciso. Legato – dall’età di quindici anni – all’Operazione Mato Grosso, aveva fatto il servizio civile con la Caritas presso una parrocchia faentina eppoi era stato in missione per due anni a Chacas, sulla sierra andina peruviana. Tornato in Italia era entrato nel seminario regionale di Bologna ed era stato ordinato nel 1991, ripartendo subito per il Perù.
Il suo motto, con cui motivava i giovani all’impegno cristiano: “Tu devi essere la prova di Dio con la tua vita”. Aveva modi diretti di rapportarsi con loro: “Vi supplico di lasciarvi sempre commuovere dai poveri”. E ancora: “Imparate a guardare in faccia alla morte, solo così capirete quale direzione dare alla vostra vita” (Famiglia Cristiana, 15/1997, p. 48).
La scelta dei poveri era al centro della sua vita. Racconta chi era lì con lui: “Li amava profondamente e per loro era disposto ad affrontare grandi sacrifici, cominciando dalle lunghe ore di cammino per raggiungere i villaggi più sperduti”. Così la ricapitolava in una lettera del 2 novembre 1992: “Provo tanta pena a vederli così abbandonati a se stessi (…) A volte mi fanno anche rabbia, ma che senso ha arrabbiarsi quando io, in casa mia, posso vivere tranquillamente senza pericoli, mentre loro sono sempre i primi a pagare? Essere parroco qui vuol dire fare la carità così come la vuole Gesù”. Padre Daniele era molto amato, i giovani che lo hanno conosciuto lo ricordano come “una persona allegra, che sapeva contagiare gli altri”. Scriveva anche canzoni, ma di lui ricordano “soprattutto la grande fede: riusciva a guidare incontri di catechesi con 200-300 ragazzi, insegnando loro a pregare con infinita pazienza” (Avvenire, 20 giugno 1997, p. 17).
Una lettera sul combattimento per la fede del 18 giugno 1996 indirizzata al rettore del seminario regionale di Bologna è considerata il suo testamento. Eccone qualche passaggio: “I nostri ragazzi, ai quali chiediamo di fare la carità, prima o poi arrivano al problema di Dio, non c’è nulla di umano che spieghi il perché della carità. Oggi più che mai sento che la vita si gioca o a favore di Dio o contro di Lui. E siamo noi cristiani con la nostra vita che dobbiamo sa¬per morire per ‘salvare Dio’ (…). Non ho nulla da difendere di mio. Vorrei so¬lo imparare a morire, staccandomi da ogni desiderio umano. Che fatica, glielo assicuro, ma non ho altro. La necessità del Signore nasce in me dal ritrovarmi senza nulla, e subito avverto la bugia, le parole stonate. Quando mia zia malata mi disse ‘Daniele aiutami ad andare in Paradiso’ mi misi a piangere, non potevo dirle nulla, ogni parola mi appariva falsa. Stavo solo lì in silenzio, e l’unica prova che ho da darle per sperare il Paradiso, è sperarlo anch’io con lei, fidandomi qui sulla terra più del¬la Parola del Signore che di quella degli uomini. Ecco perché sento che noi cristiani siamo chiamati a essere santi, tocca a noi dare speranza di Dio, che vale più Lui di ogni altra cosa, con la nostra vita. E’ un’avventura dolorosissima ma bellissima, unica, che non oserei mai cambiare per tutto l’oro del mondo” (Avvenire, 23 marzo 1997, p. 19) .
Giulio Donati, Padre Daniele Badiali. Cuore, mani e piedi sul sentiero di Dio. Lettere e testimonianze, Faenza 1997. AAVV, Ogni giorno partirò. Pensieri e testimonianze su padre Daniele Badiali nel decimo anniversario della morte, Edizioni Tempo al Libro, 2007. Sempre nel decimo anniversario con le sue canzoni viene realizzato un doppio CD Un raggio splenderà. Viene costituita una Cooperativa Padre Daniele Badiali che opera in progetti di solidarietà sociale. In youtube digitando “Dove sei – Padre Daniele” trovi una sua canzone. La diocesi di Faenza-Modigliana nel marzo 2010 avvia la causa di canonizzazione.
[Settembre 2011]