Centallo – mercoledì 5 novembre 2014
Considero Maria Isoardo una martire della dignità della donna. Uso la parola “martire” nel senso largo con cui Giovanni Paolo II ha parlato di “nuovi martiri” per indicare – in occasione del Grande Giubileo – i “testimoni della fede” nel nostro tempo. E uso l’espressione “dignità della donna” nel senso forte con cui quello stesso Papa l’ha posta a titolo del suo inno al genio femminile: la Mulieris dignitatem. Combino infine i due concetti seguendo l’intuizione con cui quel Pontefice in altra occasione ha parlato delle vittime della resistenza al nazismo come di “martiri della dignità dell’uomo” (messaggio Urbi et orbi della Pasqua 1985).
Una prima parte della conversazione la dedico a spiegare l’appellativo di “martire della dignità della donna” che è di mia invenzione. Una seconda parte la dedicherò alle figure simili a Maria e in particolare a quelle il cui martirio è stato riconosciuto dalla Chiesa: sono sei e le vedremo nominalmente. Infine la conclusione con un breve ritorno sulla vostra Maria.
In vista del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II propose un aggiornamento ecumenico del martirologio e diede incarico a una Commissione di condurre un censimento dei “testimoni della fede nel ventesimo secolo” in vista di una commemorazione che poi si fece il 7 maggio 2.000 al Colosseo. In vista di quell’appuntamento condussi un’indagine giornalistica sul martirio cristiano nell’Italia di oggi e trovai 393 personaggi definibili come “martiri” secondo i criteri dettati dalla Commissione giubilare: da quell’indagine venne il volume edito dalla San Paolo all’inizio del 2000, intitolato “Nuovi martiri. 395 storie cristiane nell’Italia di oggi”.
Nell’insieme del mondo la Commissione per i “Nuovi martiri” raccolse 12.692 schede riguardanti altrettanti “testimoni”: 8.670 europei, 1706 asiatici, 1.111 dell’ex Unione sovietica (che è in parte europea e in parte asiatica), 746 dell’Africa, 333 delle Americhe, 126 dell’Oceania.
Tornando all’Italia, divisi i “testimoni” da me individuati in sette capitoli che intitolai con appellativi martiriali in parte già in uso e in parte da me proposti per la prima volta:
“Martiri della missione” (146 nomi): si tratta dei missionari che sono morti di morte violenta nei paesi di missione. E’ il groppo più numeroso.
“Martiri dell’aiuto agli ebrei”: chi ha dato la vita per salvare gli ebrei dallo sterminio nazista (25 casi: tra essi il piemontese Giuseppe Girotti beatificato quest’anno).
“Martiri delle stragi di popolo”, con riferimento nelle stragi operate dall’occupante nazista (64 nomi: per primi vengono due preti di Boves).
“Martiri della dignità della persona umana” (100 nomi: da Salvo d’Acquisto a Teresio Olivelli): chi si ribellò alle dittature e a ogni sopruso.
“Martiri della carità”, 58 nomi: sono quelli che sacrificano la propria vita andando in soccorso al prossimo. Il caso maestro è quello del francescano polacco Maximilian Kolbe, che ad Auschwistz si offrì al posto di un padre di famiglia selezionato per una decimazione: Paolo VI lo proclamò beato nel 1970 con il titolo di “confessore” (cioè: confessore della fede), ma Giovanni Paolo II nel 1982 lo proclamò santo con il titolo di “martire”.
“Martiri della giustizia”: sono 14 nomi, l’appellativo lo presi da Giovanni Paolo II che il 9 maggio 1993 l’aveva usato – durante un colloquio con i genitori di Rosario Livatino – per indicare le vittime della mafia che la mafia avevano combattuto.
Infine i “Martiri della dignità della donna”: dove per prima, in ordine di tempo e per l’importanza del riconoscimento canonico, va posta Maria Goretti e dove dovrebbe trovare posto la vostra Maria: ma io allora non la conoscevo ed è così che il suo nome non figura tra le cinque donne che elencai e rapidamente descrissi.
Ci sono sempre state – e ci sono oggi, in Italia e dappertutto – donne che resistono alla violenza sessuale fino a morirne: la tradizione cristiana le considera “martiri”. Questa tradizione è stata ripresa con forza, nel nostro secolo, dalle comunità che hanno spontaneamente venerato alcune di tali martiri e dai Papi Pio XII e Giovanni Paolo II che quel martirio hanno riconosciuto, in sei distinti atti di beatificazione e in uno di canonizzazione.
Maria Goretti fu uccisa nel 1902, beatificata con il titolo di martire da Pio XII nel 1947 e canonizzata dallo stesso Pontefice nel 1950.
Antonia Mesina (Nuoro), viene uccisa nel 1935 e beatificata da Giovanni Paolo II nel 1987.
Teresa Bracco (Savona), viene uccisa nel 1944 – lo stesso anno di Maria Isoardo – e viene beatificata da Giovanni Paolo II nel 1998.
Pierina Morosini viene uccisa nel 1957 e viene beatificata da Giovanni Paolo II nel 1987.
Oltre a queste quattro italiane (una santa e tre beate), sono state beatificate da Giovanni Paolo II altre due donne uccise in circostanze analoghe: Carolina Kozka, polacca, uccisa nel 1924, beatificata nel 1987; Anaurite Nengapeta, congolese, uccisa nel 1965, beatificata nel 1985.
Vi sono attualmente 15 donne morte per difendere la loro dignità che sono dette “serve di Dio”, in quanto è stata introdotta per loro la causa di beatificazione: sono tre messicane, due brasiliane due italiane, due lituane, una colombiana, una portoghese, una romena, una slovacca, una spagnola, una ungherese.
Per la grande maggioranza dei casi, ovviamente, non v’è il processo, com’è appunto per Maria Isoardo. Secondo una mia stima giornalistica, che si basa soprattutto su un elenco contenuto nel sito ufficiale di Maria Goretti, alla pagina “Come Maria Goretti”, le martiri della dignità della donna lungo il secolo ventesimo potrebbero essere state – nell’insieme della cattolicità – una cinquantina: intendo quelle della cui vicenda si è conservata una qualche memoria che sia andata oltre l’ambiente in cui vissero.
Propongo di chiamare queste sorelle “martiri della dignità della donna” con riferimento – come accennavo – alla Mulieris dignitatem, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II (1988), nella quale si legge che c’è “un’eredità del peccato” che tende a condizionare in negativo il rapporto tra l’uomo e la donna: “In tutti i casi nei quali l’uomo è responsabile di quanto offende la dignità personale e la vocazione della donna, egli agisce contro la propria dignità personale e la propria vocazione”.
Sarà ovviamente con tutta la vita che una donna cristiana difenderà la propria dignità di persona. Ma può capitare, capita, che debba difenderla anche – in modo deciso e decisivo – di fronte un corteggiamento ossessivo, o a una violenza sessuale. Maria ha vissuto la seconda di queste due esperienze. Il mistero dell’iniquità continua a manifestarsi, anche ai nostri giorni, con l’aggressione violenta nei confronti delle giovani donne.
È difficile parlare di questo argomento nella città mondiale, che non conosce il rispetto delle anime e dei corpi. Ma è necessario provarci. È a tal fine che mi sono azzardato a proporre una piccola innovazione di linguaggio: un giornalista può ben svolgere la funzione di chi sperimenta parole nuove, lasciando a chi sa di più il compito di valutare la bontà della proposta.
Una locuzione tradizionale come “martiri del pudore”, o “della purezza”, credo che oggi non venga intesa, non dico dal mondo dei media, ma neanche dai nostri figli che frequentano le parrocchie. Ritengo inoltre che quell’espressione – che mira alla salvaguardia del proprio pudore – non valga più, nella cultura di oggi, a rendere giustizia alle storie di queste donne forti, che sanno benissimo di essere chiamate a resistere a quanto offende – insieme al pudore personale – la dignità e la vocazione di ogni donna e quindi di tutte le donne.
Che si tratti di donne forti e non di semplici vittime della durezza della vita, la tradizione della Chiesa l’aveva sempre inteso, come attesta l’omelia di Pio XII per la beatificazione di Maria Goretti (28 aprile 1947), che paragona Maria alla vergine romana Agnese – “martire della fede e del pudore” – e così continua: “La loro virtù caratteristica è la fortezza. Fortezza della vergine, fortezza della martire, che la giovinezza mette in una luce più viva e radiosa”.
La storia di Maria Isoardo – come di quelle sorelle che l’hanno preceduta e seguita in questa avventura testimoniale – può aiutare a vincere il pregiudizio più diffuso su queste figure: che si tratti di vittime inconsapevoli della sessuofobia cattolica e contadina. Possiamo trovare in lei tutti i segni della corale battaglia delle ragazze d’oggi a difesa della loro dignità, contro la violenza maschile.
A differenza della bambina Maria Goretti, che al momento della morte non aveva compiuto dodici anni, Maria è adulta e maestra, sa che cos’è la vita e la sessualità. Ma dimostra la stessa gelosia di “Marietta” – e delle altre – per il mistero del corpo e dell’amore, che ogni cristiano avverte come fondamentale per l’autentico riscatto – anche futuro – della dignità della donna e dell’uomo.
Luigi Accattoli