Don Pierluigi Di Piazza, prete di Udine e fondatore del “Centro Balducci” di Zugliano, che si occupa di accoglienza di immigrati e richiedenti asilo, traccia questo profilo di don Luigi Ciotti nel volume Compagni di strada. In cammino nella Chiesa della speranza (Laterza 2014, pp. 151, euro 12.00). Il brano è alle pagine 117-120. In dodici capitoli il volume parla di Margherita Hack, Pino Puglisi, Andrea Gallo, Peppino ed Eluana Englaro, Tonino Bello, don Milani, del Dalai Lama, dell’arcivescovo Romero e di Papa Francesco.
Don Luigi Ciotti è per me un compagno di viaggio ormai da tanti anni, anche se non ci frequentiamo spesso. L’ho conosciuto quand’ero giovane prete nella parrocchia di Paderno a Udine. Non si muoveva, allora, con la scorta. Ricordo che l’ho atteso sulla strada a Udine mentre usciva dalla sede della Provincia, per invitarlo a una iniziativa sulla dipendenza da sostanze. Ha accolto l’invito e per segnare l’appuntamento sulla sua agenda si è fermato, ha alzato una gamba e ne ha fatto un piano per poter scrivere. Da allora ha partecipato a numerose iniziative, prima della comunità parrocchiale di Zugliano e poi del Centro Balducci. Ricordo, in particolare, la conclusione del convegno del settembre 2009.
Dal Centro Balducci, a piedi, con don Ciotti e circa trecento persone, abbiamo raggiunto l’ex ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo che, a pieno regime, conteneva circa milleduecento persone. Siamo andati lì per riconoscere che la liberazione, grazie all’esperienza rivoluzionaria di Franco Basaglia, è avvenuta e sta avvenendo, anche se deve sempre essere vissuta con attenzione e cura nei confronti delle persone sofferenti nella psiche; e che l’aver riconsegnato alle relazioni umane, e non più a una istituzione totalmente degradante, la sofferenza, è un percorso di umanizzazione indispensabile. E stato davvero un momento gioioso, con tante persone che ci aspettavano, con le bandierine colorate, gli aquiloni, i canti del gruppo corale “9 per caso” formato da pazienti, operatori e volontari.
Da lì siamo andati in carcere a Udine, dopo aver chiesto i permessi: duecentocinquanta persone nella palestra della casa circondariale, una novità incredibile! In quel luogo abbiamo voluto esprimere, attraverso le voci dei detenuti, degli operatori, dei magistrati di sorveglianza, del direttore, dei volontari e di don Ciotti il dolore per l’assenza a tutt’oggi di esperienze alternative a proposito di pena rieducativa: qualche minima esperienza si è fatta, ma è poca cosa di fronte alla situazione delle carceri italiane, veramente drammatica.
Don Luigi Ciotti è un uomo e un prete appassionato del Dio di Gesù e delle storie delle persone, soprattutto di quelle che fanno fatica a vivere (come i tossicodipendenti, ad esempio, che lui non chiamava così, definendoli invece “questi nostri amici che fanno più fatica a vivere”). Una vita spesa nelle relazioni, nella consapevolezza che la questione cruciale è quella della giustizia e della legalità, nell’impegno per contrastare culture, pratiche e organizzazioni mafiose e criminali. Don Ciotti è un punto di riferimento in Italia dell’impegno per la giustizia, contro le mafie, la corruzione e l’evasione. Mi capita spesso negli incontri pubblici e nelle scuole di rammentare ai presenti che “Libera” è uno dei “segni” più importanti in questo paese, come lo sono gli immobili e i terreni confiscati alle mafie sui quali lavorano cooperative di giovani.
Luigi è parco nei riferimenti a Dio, al Vangelo, alla Chiesa; quando ne parla lo fa quasi con pudore, non perché non siano pienamente dentro alla sua vita, ma – io penso – per timore di parlarne in modo scontato, quasi fosse una garanzia al proprio agire. E invece è il contrario: solo la coerenza della vita rimanda a quel Dio che ne ispira e sostiene l’impegno. Proprio come nella parabola del Samaritano. Nel racconto non si parla di fede, né di Dio, ma di un uomo straniero che incontra sul ciglio della strada un uomo sconosciuto a lui, derubato, colpito, ferito e gemente. A differenza del sacerdote e del levita del tempio, che vanno oltre, il samaritano si china a soccorrerlo perché vive la compassione, si prende pienamente cura di lui. Come a dire che la fede si esprime e Dio è presente anche senza nominarli, quando un uomo si fa prossimo a un altro uomo. Don Ciotti attua la parabola del Samaritano cominciando con il denunciare chi sfrutta, colpisce, organizza il male.