Ecco una dichiarazione d’amore di un ragazzo di 24 anni, fatta quattro mesi prima di morire. Sa di avere un tumore e di non avere scampo. E’ stupito dall’amore di Marta, del quale tutto lo incanta, ma soprattutto la fedeltà nella «cattiva sorte». Flavio trova che quella fedeltà sia «divina», cioè simile a quella di Dio e applica ad essa la lode che il salmista tributa alla fedeltà del Signore.
«Intanto la mia mente ha viaggiato purtroppo senza fermare sulle pagine ciò che è stato.
«Tutto si è concentrato nei dialoghi con il mio dolce amore.
«Senza di lei sarebbe tutto un deserto; ma la sua “divina” fedeltà riempie di vita, di oggetti, di piante, di acque, di vita tutto ciò che mi circonda.
«A volte diventa gradevole persino questa stanza.
«La scarsa mobilità mi estranea dalla vita di tutti i giorni.
«Per Marta ripeto: “la sua fedeltà è stabile come le montagne: eterna è la sua misericordia”.
«Ma voi tutti siete il sorriso di Dio e mi piace vedere sui vostri volti la trasfigurazione del mio volto di sofferenza».
(Da una lettera del 3 novembre 1987)
Flavio Chemello nasce a Verona nel 1963. Si è iscritto da poco all’Università quando scopre – nel 1983 – un tumore allo stomaco. Si sposa con Marta Benciolini il 24 gennaio 1988. Muore il 25 marzo 1988.
Ecco un amore «forte come la morte», come dice il Cantico dei cantici. Quando decidono di sposarsi, Flavio e Marta scrivono a penna il cartoncino degli inviti. Marta con la sua grafia nitida scrive: «Ci sposiamo domenica 24 gennaio alle ore 16 nella cripta di San Nicolò a Verona». Flavio copia dal salmo 125 queste parole, che – stante la situazione – acquistano il valore di una confessione di fede nella risurrezione: «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. Nell’andare se ne va e piange, portando la semente da gettare. Ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni».
Flavio era impegnato in parrocchia, dove aiutava il parroco don Rino Breoni nella catechesi agli adolescenti. A don Rino – che è anche il suo direttore spirituale – scrive una trentina di lettere negli ultimi sei anni della sua vita. Don Rino ha pubblicato un volumetto intitolato «Flavio» con quelle lettere, il biglietto della «partecipazione del matrimonio», le poche pagine di «riflessioni-memorie» che il ragazzo aveva scritto su sua richiesta nell’ultimo anno e mezzo, tre tracce di riflessioni per la catechesi ai ragazzi più giovani, una lettera del 7 marzo 1987 a don Carlo Vinco.
Ecco un brano della lettera a don Carlo:
Io mi sento tremendamente adulto e singolarmente bambino; mi sento sicuro e incapace; felice e ferito a morte.
Al mattino devo combattere con la tentazione di desistere e ogni giorno la spunto con più difficoltà.
E Dio solo sa quanto amo la vita… dal contatto con gli amici, al dono della natura, del cibo, della musica, al conforto delle abitudini e della mamma, alla bellezza esuberante della donna, al gioco dell’intelligenza con tutta la complessa materia su cui si esercita, al mondo della preghiera, di ciò che non si comprende, al piacere della scoperta, alla palese presenza di Dio in tutte le cose.
Flavio, mi racconta don Rino, era un ragazzo esuberante. La gioia di vivere lo dominava. Raggiunto dalla terribile malattia ha sviluppato una sapienza più grande della sua età. Nelle «riflessioni» che scrive su richiesta di don Rino troviamo questo brano in cui ringrazia per la malattia: «E’ stata l’esperienza più importante della mia vita, non vorrei tuttavia che si pensasse al mio pensiero attuale come a un pensiero malato, un pensiero debole di un uomo rassegnato, piegato. Tutt’altro, non mi sono mai sentito così coraggioso, così maturo, così “vecchio”, così forte e solido, così gioioso e giocondo».
Ed ecco l’addio al prete che l’ha accompagnato, addio che Flavio – ormai incapace di scrivere – detta alla sposa, alla vigilia della morte:
«Da queste ore di ozio ti giunga l’ultimo saluto, quello dell’amico che resta, non di quello che parte.
«Salirò in cielo e sarò, per quanto ne sono capace, stella sul vostro cammino.
«Tutto il buono, il bello, tutto il vero, il giusto lo porto con me.
«Ora chiedo al Signore che mi lasci andare, e chiedo anche una benedizione per te e la comunità.
«Tu, marinaio capace, mi troverai sempre nel cielo notturno.
«Me ne vado con la stessa pace nel cuore di Simeone.
«Quando leggi il cantico a compieta, ricordami. Un abbraccio. Flavio tuo». (25 marzo 1988)
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel gennaio 1999]