Ho visto l’ultima volta il vescovo Tonino Bello il 4 aprile 1993, domenica delle Palme, due settimane prima della morte. Mi chiese di aiutarlo a preparare la sua ultima omelia, quella per la Messa crismale del Giovedì Santo. Per quell’omelia voleva che io, giornalista, l’aiutassi a indicare “segni di speranza” e fu a partire da quel colloquio che concepii il progetto di un’indagine sui “fatti di Vangelo” nell’Italia di oggi che mi occupa tutt’oggi. Lo ricordo come un vescovo raro, radicale e mite, semplice e profondo, innamorato della pace e della povertà. Ha detto molto ai giovani. Gli altri non l’hanno ascoltato, giudicandolo un ingenuo. Ma non lo era e chissà che ora – con il processo di canonizzazione e con Papa Francesco, che molto gli somiglia – non sia possibile un più ampio ascolto, proprio a partire dai suoi gesti e dalle sue parole estreme, con cui è entrato nella schiera dei sacerdoti e dei vescovi che hanno voluto celebrare comunitariamente la propria morte, richiamando tutti alla profezia del Regno.
Lo conoscevo da tempo, a motivo del mio lavoro di giornalista e perché aveva voluto partecipare da fratello ai miei lutti, in particolare alla morte di Michela, la mia prima sposa, che se ne era andata nel novembre del 1990 lasciandomi con quattro figli dai tre ai quindici anni. La mia nuova sposa invece non l’aveva mai incontrato ma lo conosceva meglio di me, avendo letto i suoi libri ed essendo abbonata – da Milano – a “Luce e vita”. È stata un’esperienza di tanti giovani in questi anni: quanto era scarso l’apprezzamento di don Tonino in Vaticano e alla CEI, tanta era la sua comunicazione amicale con un’intera generazione.
All’ingresso della residenza trovammo il fratello Marcello, ginecologo, che ci raccomandò di non farlo parlare troppo, ché si stancava. Ed eccoci da lui, seduto su una poltrona, accanto al letto, con una coperta sulle gambe. E io a parlare, perché lui potesse tacere. Dico: “Ecco la mia nuova sposa, che tu non conosci, ma lei ha letto tutti i tuoi libri”. E lui subito parla: “Che straordinario, essere cercati, essere amati da persone che non abbiamo mai visto. Chissà quante ne incontreremo in Cielo, che non avremmo mai sospettato”.
Mi chiede come mai zoppico, gli racconto che mi hanno scippato a Palermo in viaggio di nozze. Dice: “Anche qui da noi è arrivata la violenza e arriva ogni anno di più. Alla marcia del 31 dicembre era venuto un amico da Bolzano e gli hanno rubato l’automobile! Era una vergogna così grande, lui viene per la pace e noi l’accogliamo così, che abbiamo pensato di fare una colletta per ricomprargliela. Il ladro ha letto l’annuncio e ce l’ha fatta trovare intatta, con una telefonata”.
Isa gli racconta d’aver mandato da Milano qualcosa quando “Luce e vita” fece una colletta per comprare a lui, don Tonino, un’automobile nuova e gliela fecero trovare con dentro i bigliettini e le lettere di chi aveva partecipato alla raccolta. E lui: “Ma senti! Quanto mi aiuta quello che mi racconti”. Alla fine la benedirà e siccome lei è incinta dirà: “Benedico te e la creatura che porti: la buona Pasqua per te quest’anno sarà anche un buon Natale”.
Ricordiamo persone e fatti. “Tu sei marchigiano: porta sempre con te la carezza del focolare, che è il segno della tua terra. La tenerezza che viene dalle sue campagne coltivate, dalla bontà della gente, dalle cose buone che la sua terra e i suoi figli producono”.
Vengono in continuità visitatori. Gente che esce dalla messa delle Palme, si informa “come sta il vescovo” e salgono a dargli la buona Pasqua. Portano tante palme, la stanza si riempie. E portano anche rami d’olivo con le olive ancora appese: quelle verdi restano attaccate di suo, quelle nere devono essere protette perché non cadano nell’inverno. Ci spiegano che è un’usanza di Molfetta, questa di portare a benedire le palme d’olivo con i frutti appesi. Don Tonino è contento, lo dice con gli occhi. Viene una bambina ed è una festa vederlo ciarlare con la piccina, che gli dà un uovo: “L’hanno regalato a me e io lo do a te, così diventi forte e stai ancora con noi”.
Poi la sorpresa, un momento che non c’è nessuno: “Aiutatemi a preparare l’omelia del Giovedì Santo”. Racconta che ha sempre tenuto molto all’omelia della messa crismale e che non aveva mai il tempo di prepararla e si riduceva a scriverla la notte del mercoledì, in cappella. Ora non ce la farà, le forze gli mancano, deve pensarci per tempo: “Vorrei partire dall’immagine del torchio delle olive, che le schiaccia ed è tanta sofferenza, ma poi l’olio è un balsamo, un segno di guarigione, di salvezza. Allora c’è questo tormento, la Bosnia, la fame in Africa, il Medio Oriente, tutto questo disorientamento dei giovani qui da noi, ma poi dalla sofferenza, da questa sofferenza e per questa sofferenza viene l’olio della salvezza. Che ne dite, è una buona idea?”
Diciamo che sì, aggiungiamo qualche nostra riflessione e lui: “Ho bisogno di segni di speranza per questa omelia, perché viene la Pasqua e non dobbiamo aspettarla nell’abbattimento. Aiutatemi a cercare i segni di speranza, perché io li sento, li vedo, ma tanti mi dicono di no, che mi illudo, che non vedono speranze nel mondo e neanche nei giovani, nei quali pare che trovino solo indifferenza”.
Ne parliamo a lungo. Ci invita a pranzo, in modo che non abbiamo fretta di andare via e possiamo completare l’indagine. Lui non verrà a tavola, ma vorrà che mangiamo con Marcello e l’altro fratello Trifone e le due cognate, che si danno il cambio per assisterlo. I familiari si affacciano sulla porta ogni poco, preoccupati di quanto oggi parla don Tonino, ma lui pare che non senta la fatica. A Trifone ha detto, qualche notte prima, dopo ore che non riusciva a prendere sonno: “Questa carne non mi appartiene”.
Parliamo dunque. Gli tengo un braccio, chiedo se gli fa male. Dice no e mi interroga come giornalista sui segni dei tempi. Dico che la guerra è tornata in Europa e altrove non se n’è mai andata, che ci sarà ancora più violenza domani, chissà, ma è pure vero che cresce la consapevolezza del destino unico dell’umanità, da qui le nuove iniziative dell’ONU, la ricerca di un governo mondiale delle crisi e delle risorse…
Don Tonino quasi non può più scrivere. Fa tanta fatica a mettere una dedica sull’ultimo volume che ha pubblicato, “Maria donna dei nostri giorni” (Edizioni Paolone 1993), che Isa non ha ancora e che le regala. Scrive: “Isa, Maria ti sia amica di banco e ti accompagni per cammini scoscesi e pianeggianti, accanto al tuo Luigi. 4 aprile 1993 + don Tonino Bello”.
Chiede alla mia sposa di prendere qualche appunto e fa: “Segna ‘destino unico dell’umanità’, questo è importante”. E insiste: “I giovani? Dimmi dei giovani tu che sei padre”. “ Sono più che mai attratti dal denaro”, dico io: “dall’inganno della ricchezza e dall’etica del successo, soprattutto i maschi. Sono, o paiono, meno interessati di ieri al cambiamento del mondo, ma come genitori li vediamo crescere con una schiettezza d’animo, una trasparenza che in altre generazioni non c’era, una maggiore libertà da regole e convenzioni e tutto questo io lo vedo come attesa di una diversa umanità, ma quanto è difficile non deluderli in tale attesa”. Don Tonino fa a Isa: “Scrivi: trasparenza dei giovani, attesa di una diversa umanità”.
Chiede ancora: “La Chiesa, i cristiani?” Io temo di dire qualsiasi cosa della Chiesa a un vescovo che muore: come posso parlargli, io, della sua sposa? Mi appello al Papa, che dice di scorgere i segni di una grande primavera cristiana che il Signore prepara per la sua Chiesa in prossimità del terzo millennio e azzardo che questo sentimento del tempo che viene – in Papa Wojtyla – somiglia al coraggio di Giovanni XXIII, che negava ascolto ai profeti di sventura e sentiva l’umanità guidata verso “destini superiori e inattesi”. Don Tonino fa sì con la testa e dice: “Grazie, fate una buona Pasqua e salutatemi gli amici di Roma e di Bologna”.
L’omelia dell’ultimo Giovedì Santo di don Tonino sarà pubblicata dalla rivista Il Regno 10/1993 e Isa e io piangeremo nel leggerla a motivo della parte che avevamo avuto nella preparazione. La puoi leggere ora nel secondo volume dell’opera omnia (Mezzina 2005 – Molfetta), alle pagine 93ss, sotto il titolo: “Torchio e Spirito. Omelia per la Messa Crismale 1993”.
Il mio ultimo incontro con Tonino Bello l’avevo raccontato sul “Regno” 10/1993 insieme alla sua ultima omelia per la quale mi aveva chiesto aiuto. Don Ignazio Panzini già direttore del settimanale diocesano “Luce e Vita”, Guglielmo Minervini direttore delle Edizioni Meridiana (e poi sindaco di Molfetta e infine assessore regionale alla Cultura nella giunta Vendola) e don Mimmo Amato (poi vicario generale di Molfetta) mi hanno fornito nuova documentazione in occasione di incontri a Molfetta a un anno dalla morte di don Tonino, a dieci anni dalla morte e in occasione della pubblicazione dell’ultimo volume dell’Opera omnia (Scritti vari – interviste – aggiunte, Mezzina Editore, 26 gennaio 2009). Il 30 aprile 2010 si è tenuta la prima seduta pubblica della Causa di canonizzazione di Tonino Bello nella cattedrale di Molfetta.
[Maggio 2010]