Marina Mandara, milanese di Bresso, muore di tumore a 34 anni dando una straordinaria attestazione di maturità umana e di obbedienza nella fede: consapevole del tempo che si fa breve, nei diciotto mesi della malattia sposa l’uomo dal quale aveva avuto due figli, ne genera un altro sospendendo le cure per non danneggiarlo, prepara il battesimo dei tre e prende congedo dal marito, dai familiari e dalla comunità edificando tutti e confortando chi piangeva per lei.
Scopre il tumore a una vertebra nel maggio del 2006 e quella scoperta sembra affrettare un sorprendente risveglio spirituale. Racconterà di essersi guardata allo specchio, all’ospedale, e d’aver detto a se stessa: “Ciao, Marina, ci sei!”.
Aveva avuto un’esperienza di formazione in Comunione e Liberazione, che aveva abbandonato negli anni dell’Università. In seguito aveva lasciato anche la pratica cristiana, all’inizio della convivenza con Fabio, il futuro marito, e quando già s’annunciava l’arrivo del primo figlio, nel 1997. Diceva: “Dio, se c’è, non scappa”.
“Cercava l’autenticità – mi hanno raccontato i genitori Anna Laura e Ferdinando – e amava ricordare come Gesù nel Vangelo tuona solo contro gli ipocriti”. Nel ritorno alla fede è accompagnata da un gruppo del Rinnovamento nello Spirito che viene a conoscere tramite la mamma che era già attiva da un decennio nel Movimento carismatico.
Si sposa il 10 febbraio del 2007, vigilia della festa della Madonna di Lourdes, preparando lei i testi per la celebrazione, come poi preparerà quelli per il battesimo dei tre bambini che avverrà nell’anniversario del matrimonio, tre mesi dopo la sua morte, che arriva il 4 novembre del 2007.
La malattia incalza. Alla vigilia del matrimonio scopre una nuova localizzazione del tumore. La festa di nozze è sobria, allietata dalla presenza dei due bambini di 9 e 4 anni. Gli sposi chiedono un contributo per “andare a quel paese”: così indicano il progetto del viaggio di nozze, secondo l’umore creativo e ironico tipico di lei.
Al ritorno dal viaggio è sorpresa dalla terza gravidanza che decide di portare avanti interrompendo le cure palliative di radioterapia. A metà luglio va con grande fatica a Disneyland, per mantenere una promessa fatta al secondogenito. A fine luglio parte per Lourdes con un pellegrinaggio dell’Unitalsi. Dal 18 agosto non cammina più e viene ricoverata nell’attesa del parto.
All’inizio di settembre, raggiunta la ventinovesima settimana di gravidanza e superati i rischi maggiori per il bambino, nasce il terzogenito – sano – come lei diceva che sarebbe stato, ma che avrà bisogno di più di tre mesi di terapia nel reparto dei prematuri.
Nonostante la crescente debolezza, stando a letto continuava a creare con il découpage i piccoli oggetti da vendere alla mostra missionaria parrocchiale; accoglieva tutti quelli che andavano a trovarla e dedicava un gran tempo alla preghiera, riscoperta con gioia.
Comunicava con molte persone per lettera e sms, trasmettendo a tanti la sua gratitudine di credente. Un esempio è lo scambio via sms con un’amica della mamma, di nome Rosa, partecipe anche lei del Rinnovamento nello Spirito.
Ecco un primo messaggio inviato da Marina a Rosa il 24/8/2007: Carissima, vi ringrazio di tutto cuore per le vostre preghiere e vi assicuro che ne vediamo l’effetto; tutti vorrebbero un miracolo, ma io non ho più diritto di qualcun altro e non sono certo l’unica persona in difficoltà: a Gesù non è stata risparmiata la morte in croce, perciò l’ultima parola ad ogni nostra richiesta deve essere: “Sia fatta la tua volontà”, con la certezza che qualunque cosa accade è per il nostro bene, anche se noi non lo capiamo. Ti abbraccio. Marina.
Rosa così risponde: Ciao, Marina, grazie per il tuo sms. Tua mamma mi ha detto della tua serenità nell’affrontare quello che ti sta accadendo e dalle parole che mi hai scritto penso che se Gesù potesse, ti direbbe: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!” Ringraziamo Gesù per questo dono. Ti abbraccio. Rosa.
Risposta di Marina: Hai ragione, è davvero un dono, e non certo un merito: chi non ha fatto l’esperienza di questa presenza reale nella sua vita non potrebbe che disperarsi nelle mie condizioni, perciò mi considero davvero fortunata di questo. Grazie per avermelo fatto ricordare! Marina.
Il papà Ferdinando, rispondendo alle lettere ricevute dopo la morte di Marina, così rievocava la “stupefacente” vicenda umana e cristiana vissuta dalla figlia nei mesi della prova:
Conosciuta la diagnosi della sua malattia incurabile, all’improvviso – almeno apparentemente – si è accesa per lei la luce splendente della fede: in realtà aveva “bussato alla porta” tanto forte e tanto a lungo da sfondarla.
Si è sentita finalmente felice. E lo era realmente, perché avvertiva che il Signore voleva fare qualcosa di grande attraverso di lei.
Tante persone che le sono state vicine testimoniano di avere sperimentato qualcosa di grande: più ancora di noi genitori che siamo stati quasi storditi dall’intensità di questa esperienza. In particolare io, il papà, uomo di poca, pochissima fede.
E non è davvero qualcosa di grande e di umanamente incomprensibile che una giovane donna – che sa di dover lasciare i famigliari, tanti parenti e amici affezionati, soprattutto di doversi staccare dal marito, da due bambini ed infine da un neonato neanche conosciuto – per diciotto mesi di cure e di sofferenze fino alla paralisi alle gambe dell’ultimo periodo, ogni giorno trasmetta a tutti una testimonianza di gioia?
Speriamo che il suo invito alla gioia, vissuto soprattutto nei rapporti di amore e di amicizia con le persone, possa arrivare a ciascuno di voi.
Ci è stato suggerito di esprimerlo con queste parole del Salmo 33: “Guardate a Lui e sarete raggianti”.
Quelle parole della Scrittura “Guardate a Lui e sarete raggianti” erano state poste sulla sua bara e ora sono sulla lapide della tomba.
La storia di Marina mi è stata segnalata da una conoscente di Reggio Emilia, Maria Linda Gallo, visitatrice del mio blog, al corrente della ricerca di “fatti di Vangelo” che con esso conduco. Maria Linda mi ha messo in contatto con i genitori di Marina, Anna Laura Dillon e Ferdinando Mandara, che mi hanno fornito il loro racconto.