Filippo Gargliardi, ingegnere di trent’anni e fresco sposo in attesa di un bimbo, scopre un raro tumore allo stomaco e di esso muore in meno di un mese, vivendo con cuore libero l’ultimo combattimento e celebrando con piena avvertenza l’accostamento alla morte nel rapporto sponsale e amicale.
Filippo (1983-2013) nasce e vive a Intra, Verbania, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Infanzia felice, ragazzo leader a scuola e nel gioco, con spontanea decisione segue il padre negli studi al Politecnico di Milano e nella professione di ingegnere. Il turbamento per la separazione dei genitori (2005) lo provoca a una rapida maturazione.
Anna Bonisoli è la donna della sua giovane vita: figlia di amici di famiglia, ha 16 anni quando Filippo, che ne ha tre di più, le parla e la conquista. Lei l’aiuta a superare il trauma della separazione dei genitori. A conclusione della battaglia per riprendersi, Filippo con riferimento ad Anna dirà a don Fabrizio, l’amico sacerdote responsabile dell’oratorio dove ambedue sono educatori: “Con quello che abbiamo costruito insieme e con l’aiuto del Signore, ce la faremo”.
Don Fabrizio li stimola a un impegno progressivo nella Chiesa. Partecipano alle Giornate mondiali della Gioventù, compiono con un gruppo d’amici nel 2010 il cammino di Santiago di Compostela. Sono presenti nelle iniziative delle Sentinelle del mattino. Filippo prende parte attiva a un’esperienza di evangelizzazione a Verona.
Nel settembre 2012 Filippo sposa Anna, con la quale qualche mese più tardi svolgerà questa riflessione sul loro cammino di coppia: «Vedo questi undici anni insieme come un cammino, anche perché abbiamo compiuto tante scelte: l’università, il cambio di città, il lavoro… ma sempre tenendo presente che eravamo in due a farle, perché volevamo costruire un futuro insieme. Per camminare c’è anche bisogno di buone scarpe. Per noi queste scarpe sono state il nostro percorso di crescita personale in oratorio. Lì abbiamo ricevuto tanto da piccoli, poi ci siamo appassionati all’educazione dei giovani. E non abbiamo mai pensato di abbandonare questo percorso. Questa crescita ci ha fatto arrivare alla consapevolezza che volevamo impegnarci in qualcosa di più e che saremmo riusciti ad andare avanti se Dio ci avesse accompagnati».
Presto attendono un figlio maschio che decidono di chiamare Luca, ma Filippo non riuscirà a vederlo: nascerà un mese dopo la sua morte.
Il tumore lo scoprono il giorno di ferragosto del 2013. Dal letto dell’ospedale Castelli di Verbania per tre settimane abbondanti Filippo continuerà a essere l’educatore dei suoi ragazzi. Così parla all’amico prete: «Non sono arrabbiato. Ho tante domande, ma ho deciso di affidarmi al Signore».
«Come è andata la chiacchierata con il Capo?» gli chiede don Fabrizio con un sms in riferimento a un tempo di preghiera che Filippo si era dato. E questa è la risposta: «All’inizio volevo dirgliene quattro… poi ho capito che Lui “carica” la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno)… quindi gli ho affidato tutto: me, il piccolo e Anna».
Con Daniele, un amico stretto, si confida volentieri: “Mi diceva che sentiva che non sarebbe riuscito a vedere suo figlio. Gli sembrava strano. Ma non l’ho mai visto triste. Spiritualmente era pronto: era lui a darmi forza e a invitarmi ad affidarmi al Signore”.
«A un certo punto della malattia – racconta Anna — Filippo e io abbiamo iniziato a parlare solo delle cose essenziali. Oggi posso dire che non c’è niente che avrei voluto dirgli e non gli ho detto, nessun rimpianto o cosa in sospeso».
Gli sms si diradano, il 2 settembre Anna scrive a Filippo la terzina di un Salmo (23): «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me». Filippo risponderà dopo tre giorni, aggiungerà: «Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza».
Un pomeriggio il sussidio di preghiere della diocesi di Novara, che ha sempre sul comodino, gli propone il Vangelo che invita a «entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno». E Filippo a don Fabrizio: «Fabri, la porta si fa sempre più stretta e ho ancora offerto questo dolore per tutti voi».
«Fabri – confida ancora all’amico prete – sta iniziando l’ultimo combattimento della mia vita e voglio viverlo col cuore libero». Qualche giorno più tardi, è un canone della comunità di Taizè a fornirgli le parole da comunicare agli amici: “Il Signore è la mia forza e io spero in Lui, il Signore è il Salvatore, in Lui confido, non ho timor”.
All’oratorio si prega per lui. Una sera il suo cellulare riceve la foto della comunità in preghiera nella cappellina mariana e questa è la risposta di Filippo: «Il Signore ve ne renderà merito… state riempiendo quello “scrigno” a cui il Signore attinge… Vi abbraccio tutti! Grazie!». Lo scrigno cui Pippo si riferisce è l’oggetto di diversi colloqui avuti in passato con il don: «È una scatola in cui tu puoi mettere tutto quello che ti succede e regalarla al Signore».
Il 3 settembre, una settimana prima del passaggio all’altra riva, Filippo scrive a Papa Francesco: «Santità, innanzitutto mi presento: sono Filippo Gagliardi, 30 anni, sposato da poco meno di un anno con Anna Bonisoli. Siamo entrambi della parrocchia San Vittore in Intra, nella diocesi di Novara, in cui siamo sempre stati attenti alle problematiche giovanili. Tra poche settimane ci sarà fatto dono del nostro primogenito, Luca. Oggi Santità, purtroppo, mi è stato diagnosticato un carcinoma neuroendocrino… con la mia lettera sono a supplicare una Sua preghiera perché, qualunque cosa succederà a me, la mia famiglia possa sempre trovare in Gesù la roccia a cui ancorarsi per non essere spazzata dalle difficoltà della vita e perché Luca possa trovare in Gesù un amico fedele che mai lo abbandona!! La ringrazio per dedicarmi questi pochi istanti e per la Sua preghiera!». La riposta dalla Città del Vaticano porta la benedizione del Papa per Filippo, Anna, e il piccolo Luca.
Il 9 settembre Filippo pubblica un pensiero sulla sua pagina Facebook, prendendolo dal diario di Madeleine Delbrêl, “la mistica della strada” vissuta a Parigi ai primi del ‘900: “L’ubbidienza – scrive Filippo con la Delbrêl – è fame di stare nelle mani di Dio”.
Quello stesso giorno così saluta don Fabrizio: «Ti voglio bene, Pippo, e questo vale per sempre». «Anch’io Fabri… sempre!». L’ultima notte Filippo la trascorre con il papà Alberto. Arriva l’alba dell’11 settembre. Il papà sta per lasciare la stanza del figlio, gli darà il cambio la zia Cinzia. «Alberto…»: per la prima volta Filippo non lo chiama “papà”. Spira un paio d’ore più tardi, con un’accelerazione che nessuno aveva previsto. Anna corre al letto, si china sul marito e sussurra: «Amore, fa’ buon viaggio».
Per due giorni Intra veglia Filippo nella camera ardente in oratorio. La celebrazione della morte in Cristo, avviata dall’educatore, è prolungata dai ragazzi.
“Filippo Gagliardi. Prima la morte, poi la risurrezione e poi la vita”, di Roberta Leone e Francesco Occhetta (Editrice Velar 2015), è la fonte delle parole di Filippo riportate nel racconto. Ho consultato la biografia di Filippo scritta da Ilaria Nava, “Volevo dirgliene quattro…” (Edizioni San Paolo 2015) e il sito www.filippogagliardi.com. C’è anche una pagina Facebook FILIPPO GAGLIARDI ASSOCIAZIONE PIPPO C’E’. Mi ha fatto conoscere Filippo don Fabrizio Corno, che oggi è parroco a Castelletto Sopra Ticino, già coadiutore della parrocchia di San Vittore in Intra (Verbania), nel cui Oratorio Filippo è stato educatore e che ora è a lui dedicato.
[agosto 2017]