Giancarla Matteuzzi dice sì alla carrozzina elettrica e no ai gabinetti alla turca

 

Giancarla Matteuzzi, costretta alle stampelle e alla carrozzina dalla polio, racconta con divertimento la “svolta” che ha avuto la sua vita con l’arrivo in essa della carrozzina elettrica.

 

La carrozzina elettrica è arrivata al momento giusto, quando le stampelle non bastavano più e mi ha dato orizzonti di autonomia mai provati prima, diventando una entusiasmante compagna dei miei sessant’anni. La uso in strada principalmente: la guida risulta molto semplice, tanto più semplice in quanto ho sempre guidato l’automobile. Ha una buona stabilità, regge alle pendenze degli scivoli dei marciapiedi, sopporta il manto stradale dissestato delle vie del mio quartiere. Ha una batteria che dopo un certo numero di chilometri va messa in carica, ma la carica dura per molte ore di cammino. Ha cinque marce: quando sono in compagnia di qualche amica che passeggia con me a piedi, posso adattare la velocità al suo passo.

Ma la cosa per me entusiasmante è che giro per la città in autonomia e vado dove voglio anche solo per il gusto di passeggiare, di guardare le vetrine dei negozi, di girare fra le bancarelle dei mercatini, di sentire il sole e il vento che mi battono sul viso. Abituata a muovermi in automobile, per la prima volta faccio l’esperienza del pedone, delle relazioni “a passo d’uomo” e sperimento un modo nuovo di guardare la gente e di essere osservata. Mi vedo osservata con uno sguardo di simpatia: spesso qualcuno accenna a un sorriso. Qualcuno, timidamente, mi chiede come funziona, magari perché pensa a un familiare che potrebbe averne bisogno, e in questo caso rispondo apertamente, ricambiando la confidenza e faccio lunghe conversazioni con degli sconosciuti. Talvolta mi capita di incontrare altre persone con carrozzine simili alla mia: allora è spontaneo attaccare discorso, magari scambiarsi esperienze.

Se devo acquistare qualcosa in un negozio che ha anche solo una piccola barriera – i gradini, anche se bassi, non si possono proprio fare e sono pochi i negozi completamente accessibili – chiamo fuori il commesso e gli chiedo di portarmi lui l’oggetto che non posso raggiungere: di solito quella è l’occasione per fare conversazione sulle barriere architettoniche. Il mio giornalaio, appena mi vede, mi porta fuori il giornale già col resto pronto, prevedendo il mio pezzo da 2 euro, il tabaccaio sa già che voglio la carica del cellulare e viene con la scheda. Mi è successo di ricevere uno sconto notevole dal proprietario di una attività di abbigliamento perché non essendo potuta entrare, non avevo potuto provare la maglia, che intendevo comunque acquistare. E quando io ho garbatamente protestato, ha aggiunto: “Presto farò costruire uno scivolo, perché mi hanno diagnosticata una malattia che mi porterà in carrozzina, e allora vedere lei che se la cava così bene, mi tira su il morale”.

Gli amici più dichiarati della mia carrozzina sono i bambini: non si trattengono, mi credono, forse, su una giostra, c’è chi mi chiede dove l’ho comperata, chi manifesta una voglia matta di farci un giretto sopra e, se vedo i genitori accondiscendenti, prendo il bimbo sulle ginocchia e gli faccio muovere il comando col quale si guida, dandogli l’ebbrezza di essere lui che conduce una vettura particolarissima. Per essere più visibile dagli autobus e dai veicoli alti, ho fatto inserire un’asta lunga, con in cima una bandierina arancione e questo credo che per i bambini sia il segno inequivocabile che si tratta di un giocattolo eccezionale. Gli adulti che li accompagnano, all’inizio si sentono a disagio per gli interventi scatenati e senza censure dei piccoli, poi quando io mi manifesto orgogliosa di avere successo coi bambini, si rilassano e si scherza piacevolmente.

Vicino a casa c’è una struttura di accoglienza, tipo drop-in e, di conseguenza, un via vai di abitanti della strada, soprattutto giovani con certi looks caratteristici e con certi cani malconci al seguito che mi incutono un certo timore. Ma ciò che mi conquista è la relazione, tutta particolare, muta, fatta di gesti, che si è stabilita con alcuni di loro: senza dir niente, con fare apparentemente schivo quando mi vedono mi si avvicinano per farmi attraversare la strada, fermano le automobili sbracciandosi con gesti molto caricati e poi mi salutano con uno sguardo serio e compiaciuto, come dire: “sta’ tranquilla, ti proteggo io da questi pirati di una società prepotente”.

 

Con lo stesso humor Giancarla racconta il problema dei gabinetti alla turca per chi vi si deve affacciare in carrozzina:

 

Mi è sempre piaciuto viaggiare e ho avuto la fortuna di poter contare su amici, che mi hanno consentito di vedere un po’ di Africa (Tanzania), un po’ di Brasile (il viaggio più bello in assoluto!), Israele (varie volte), Marocco, Grecia – per citare solo quelli più impegnativi.

Quando ho cominciato a viaggiare, si trovavano spesso gabinetti alla turca che costituivano, per una persona con dei seri problemi di deambulazione come me, un problema insormontabile. Preparandomi al viaggio in Turchia pensavo con terrore: dove, se non in Turchia, i gabinetti saranno tutti alla turca?

Un professore, a cui eravamo molto legati, festeggiava quell’anno i 50 anni di insegnamento e con gli amici del gruppo ci si mise d’accordo per farlo venire con noi in Turchia, regalandogli il viaggio. Io ero incaricata di tenere i contatti e un giorno mi sentii dire: “Ma sai, a noi uomini-maschi, l’età avanzata porta l’inconveniente di andare in bagno spesso e non vorrei condizionare la comitiva, è meglio che io rinunci”.

 Allora a me venne una proposta geniale: “Lei ha bisogno del bagno spesso, io ho bisogno di un bagno decentemente comodo, che non sia alla turca: facciamo una alleanza-gabinetto. Ogni volta che ci fermiamo, lei cerca un bagno per sè e, al tempo stesso, controlla se il bagno è adatto per me e io scendo dal pullman solo quando lei mi dà l’ok”. L’alleanza-gabinetto funzionò, per lui e per me. Lui, con questo “incarico di fiducia”, non aveva imbarazzo a fare aspettare la comitiva durante le soste e io non ebbi mai il problema di dovermi adattare a un  gabinetto alla turca.

 

Il primo dei due testi è una mia abbreviazione di un “Elogio della carrozzina elettrica” che Giancarla Matteuzzi scrisse nel 2010 per il fascicolo 189 della rivista “Servitium” sul tema “Guidare”. Il secondo è un suo appunto per un gruppo di studio che qui viene pubblicato per la prima volta, anch’esso abbreviato. Giancarla è bolognese, intralciata nei movimenti dalla polio che la colpì nel 1949 quando aveva tre anni, ma assai dinamica. Laurea in filosofia (1969), baccellierato (1973) e licenza (1975) in teologia, ha insegnato Storia e Filosofia in vari licei di Bologna fino alla pensione. Dal 1977, per 20 anni, ha lavorato da volontaria nella conduzione di una Scuola di teologia per laici che poi, nel 1988, diventò Istituto Superiore di Scienze Religiose. E’ amica della Comunità di Dossetti. Ospita in casa studentesse straniere che fanno l’Università a Bologna. Fa parte di una associazione di volontariato che si occupa di senza fissa dimora e altri bisognosi, che porta il nome di don Paolo Serra Zanetti (1932-2004) perché è sorta dopo la morte di lui ed è legata alla sua memoria.

 

[Novembre 2011]

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