A volte la preghiera pubblica non è fatta di parole ma di un gesto: qui sono tre famiglie di Aosta che hanno perso i figli in un incidente stradale e organizzano – al funerale – una colletta per soccorrere la famiglia del senegalese che era alla guida del tir che ha provocato l’incidente ed è morto con loro.
Tre ragazzi valdostani tra i diciannove e i vent’anni – Delio Denzel, Luca Miozzi, Michele Vai – sono in autostrada, sulla A26, diretti al mare per una vacanza dopo l’esame di maturità. «Era il regalo per la promozione – racconterà ai cronisti Roberto Miozzi, commerciante, padre di Luca – e mio figlio aveva invitato gli amici a passare qualche giorno al mare, nella nostra casa ad Andora, prima di iniziare a settembre le lezioni a Economia, dove si era iscritto ».
E’ il 2 agosto 2005, sono le 11 di mattina. Luca è alla guida. Poco oltre il casello di Masone un camion carico di carta investe di striscio la loro auto e la lancia oltre il guard rail facendole compiere una caduta di una sessantina di metri. Muoiono i tre e muore, dissanguato tra le lamiere, Bamba Kebe Mamadou, senegalese, 46 anni, autista del camion che infine si ribalta. L’inchiesta attribuirà l’incidente al cattivo funzionamento dei freni del camion.
L’idea della colletta per aiutare la famiglia del camionista – che aveva moglie e sei figli in Senegal – nasce nella camera mortuaria di Genova. “Ero con mio cognato – dice ancora Miozzi – e abbiamo incontrato il fratello dell’autista del tir e l’imam della loro comunità. Loro cercavano di assolvere il fratello, ma noi lo avevamo già fatto: non abbiamo mai pensato che fosse colpa sua. Era qui per guadagnare la vita per sé e per i propri figli e in 22 anni non aveva mai avuto incidenti. Purtroppo era alla guida di un tir vecchio, supercarico e malandato. Il nostro è stato un gesto di solidarietà”.
“Mai contato con tanto piacere del denaro” dice qualche giorno più tardi Roberto Miozzi all’amico che gli consegna i 4.840 euro della colletta che egli spedirà alla famiglia del senegalese: “Noi vediamo tutti gli islamici come dei terroristi ma siamo noi occidentali a mettergli degli ordigni in mano come il tir che ha distrutto le vite dei nostri figli, oltre a quella del povero autista”.
Tre anni più tardi Miozzi viene di nuovo incrociato dai cronisti: il 23 ottobre 2008, a una celebrazione promossa dall’Associazione valdostana parenti vittime della strada. Così parla del suo lutto: «Vivi, tiri avanti, ma niente è come prima. La morte di un figlio è una bomba che ti scoppia dentro. Ci daremo una mano uno con l’altro perché lo scopo dell’associazione è proprio questo. Il dolore della morte di un figlio, può capirlo solo chi ha avuto la stessa disgrazia».
Ho conosciuto l’episodio da un editoriale di Giuseppe Frangi che mi è capitato di leggere sul settimanale Vita del 26 agosto 2005. Ho poi cercato on line elementi di cronaca, che ho trovato soprattutto sulla Repubblica del 9.8.2005.
[Dicembre 2009]