Chiara Biscaretti di Ruffia

Questa pazza scommessa della fede

Chiara è così innamorata della vita, che la sente “straboccare oltre la vita”, fino a intuire che “solo per questo” – cioè a motivo della proiezione verso una vita duratura, che per lei ha il nome della speranza cristiana – “può avere un senso anche morire”. Muore a 26 anni, di leucemia, in un ospedale di Milano, il 15 dicembre 1998. Da quell’ospedale, nove mesi prima, aveva raccontato così la sua lotta con l’angelo, in una lettera “agli amici della preghiera di Taizè”:

Certezza il mio rivolgermi di nuovo e ancora al Buon Dio contro cui ho gridato (come hai potuto farmelo? come hai potuto tradirmi? di chi avrò fiducia ora?), ma che non se ne è mai andato (che pazienza deve avere!), e che è ancora lì, a tenermi per mano, pronto per strada, se solo io voglio camminare con lui. E così è. Quasi non per scelta. Sento che la gioia, la fiducia, la voglia di vivere e di lottare, la serenità e la pace, non sono completamente mie scelte. Sono l’unico cammino di vita che mi è aperto davanti, e ringrazio Dio che ci siano, così ben presenti e forti in me, quasi senza che io debba far nulla per volerle.
C’è anche la paura, so che c’è, ed è una parte del cammino, ed è parte del gioco, ed è umano che sia così. Un giorno pensavo per gioco a tutti i bei posti in cui avrei voluto essere piuttosto che in ospedale (tanti!). Poi pensavo a dove sarei stata sicuramente più felice. Mi sono stupita a scoprire che lì, ora, ero veramente felice, come quasi mai nella vita (quando sono stata innamorata pazza forse). Impazzita improvvisamente? No, credo di no. Credo sia l’intensità, l’incredibile intensità con cui vivo chiusa là dentro, che mi fa felice di ogni cosa, incontro, attimo, quasi sempre. E la semplicità. È tutto così semplice adesso. L’obiettivo è chiaro davanti a me. Non come vivere, ma vivere.

La “lettera agli amici” e altri scritti di Chiara sono riportati in appendice al Diario della malattia, pubblicato dai parenti e dagli amici con il titolo Di che colore è la mia paura (collana “I libri di Terre di mezzo”, Editrice Berti, Piacenza 2003). La lettura di quelle pagine è contagiosa per l’allegria che – nonostante tutto – vi circola, lievitata e resa preziosa dallo struggimento verso la vita che se ne va. Intenso è pure il dialogo di fede che attraversa il Diario.
Chiara scrive “ciao buon dio” tutto minuscolo, tanta è la confidenza con cui ha imparato a rivolgersi al Signore. Il suo cristianesimo, incontrato da grande, è vivo come quello dei convertiti, ma è anche spontaneamente comunitario, come le ha insegnato l’appassionata appartenenza a gruppi e movimenti giovanili.
I luoghi della sua formazione cristiana sono lo scoutismo cattolico – ha fatto l’educatrice nel gruppo Milano 88 dell’Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani) – e della Comunità di Taizé, dove compie un anno di volontariato dopo la laurea in Psicopedagogia, ottenuta alla Statale di Milano nel 1995.
Nata in una famiglia laica – racconta al cardinale Carlo Maria Martini, in una lettera del marzo 1998 – ho iniziato a conoscere Gesù nella concretezza del movimento Scout a 16 anni, e incuriosita, ho iniziato a partecipare alla vita della mia Chiesa locale (il centro religioso Leone XIII). Alle domande sempre nuove ho trovato risposte sempre più profonde e ‘piene di vita’ incarnate da persone reali che mi hanno convinto a impegnarmi in questa pazza scommessa della fede”.
La scommessa della fede la vive con tutta se stessa e con una spontaneità che avvince il lettore: “Alleluia, aiuto! AUGH”, scrive il giorno che trova un’amica “compatibile” per il trapianto di midollo osseo.
Quando le propongono il trapianto esulta all’idea dei tanti a cui può rivolgersi per chiedere il grande favore: “Non per nulla ho tanti amici!”
Avverte il sostegno della comunità dei credenti: “Mi sento amata e sorretta da centinaia di amici che hanno scritto, sono venuti a trovarmi, hanno pregato per me”.
Scrive un appello per i trapianti, intitolato “Donazioni di midollo osseo: perché?” e lo pubblica in un giornalino scout: “A giugno 1997 (cioè poco prima di scoprire la malattia, ndr) ero andata nell’ospedale dove solitamente donavo il sangue a chiedere informazioni su come diventare donatrice di midollo. Mi ero un po’ bloccata dopo aver sentito che la donazione comporta una piccola operazione in anestesia totale, o 6/7 ore legati a una macchina. Adesso so che se vivrò sarà perché qualcuno, qualche mese fa, non si è lasciato spaventare e si è iscritto alla banca dati dei donatori. Donare il midollo è un modo semplice, diretto, concretissimo per salvare una vita”.
Quell’appello oggi è utilizzato come manifesto da decine di associazioni di donatori e lo si può leggere nel sito ufficiale di Taizè: www.taize.fr.
Non manca la ribellione, nella via dolorosa percorsa da Chiara: “Sono piccola, ho 26 anni!” E ancora: “Morire a 26 anni è assurdo. Morire è sempre assurdo”.
Si riprende, ha una ricaduta e si ritrova “incazzata nera con il mondo” e così descrive l’angoscia in cui si dibatte: “In ospedale. Di nuovo. Rabbia. Una rabbia enorme. Io spacco tutto. Eppure la voglia di vivere urla ancora più forte di prima. Passione, speranza, fiducia, vita”.
E’ bello sentire una cristiana combattiva che usa il gergo giovanile dei nostri giorni per raccontare la sua lotta con il nemico. Così come è bello che il suo diario sia stato inserito tra i libri di Terre di mezzo, il giornale degli immigrati e sia venduto da loro sui marciapiedi e i muretti delle nostre città.
Chiara si ribella. Ma sempre prevale, in ogni pagina, il sentimento della gratitudine: “Io amo la vita. E ogni volta che metto piede in ospedale, la amo in modo più profondo e radicale. Totale. La vita è bella, la vita vale. Scopro di amare ogni secondo e di ringraziare Dio per ogni attimo. Comunque vada a finire. Sento che la vita strabocca oltre la vita. E forse solo per questo può avere un senso anche morire”.
Dopo una lunga indagine su che cosa sia la felicità, realizza che per che per lei “è il sentirmi amata e il poter amare”. Conclude rasserenata: “La mia felicità è molto saldamente radicata nel mistero e non dipende solo da me”.

Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 4/2004

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