Ho conosciuto una storia che suggerisce una nuova interpretazione della parabola del samaritano che “vide” quel ferito e “ne ebbe compassione”: qui abbiamo una donna che mai ha visto la creatura della quale ha avuto compassione e alla quale ha donato parte del proprio midollo osseo. In lei abbraccio tutti i donatori di midollo, di un rene, di una parte del fegato, del sangue cordonale e del sangue ordinario – tutti i donatori di sé che sono intorno a noi. Immagino l’esultanza che avrebbe avuto Gesù all’udire le loro storie: “Beati coloro che non hanno visto i bisognosi eppure ne hanno avuto compassione”.
Sono Antonella, moglie e mamma; lavoro come operatrice d’assistenza in una casa di riposo dove ho imparato che donare anche solamente un sorriso rende felice te e l’altro. Circa 15 anni fa mio marito e io ci siamo iscritti all’associazione di donatori di midollo osseo. Avevamo scoperto che con il trapianto si poteva curare la leucemia, grave malattia di cui una decina di anni prima era stata colpita Annamaria, sorella di mio marito. Nel maggio 2003 telefonarono per chiedermi se ero ancora disponibile alla donazione: era stata identificata la compatibilità con il midollo di un bambino di dieci anni del Michigan, gravemente malato. Dopo un momento di incertezza dissi «sì»: provai una grande gioia nel pensare che potevo aiutare quel bimbo americano, così lontano e così vicino. Dopo varie analisi il 26 giugno fu effettuato l’intervento e tutto andò bene. Non ho conosciuto quel ragazzino, e forse non lo conoscerò mai, ma in me è rimasta una grande gioia nel sapere che si è salvato. Pensavo ai miei quattro figli e mi mettevo nei panni di quei genitori. Ringrazio ancora il Signore che mi ha donato questa possibilità e ripeto alle persone che ammirano il mio gesto: «Non sono io che ho fatto questo, ma il Signore ha scelto me come suo strumento».
[La storia è riportata a p. 106 del volume “Testimoni” curato nel 2008 da Stefano Filippi per la “Consulta delle aggregazioni laicali” di Verona]