Serenella se la porta via l’Aids – che aveva preso con la droga – il 31 agosto 1995, a 29 anni. Otto anni prima era campionessa di culturismo: sapeva di essere sieropositiva e cercava di vincere la paura della morte con la bellezza del corpo. Poi ha una forte conversione che la porta ad attendere la morte come una fidanzata attende le nozze. Quattro mesi prima di partire, scrive storto su un foglio – quasi non ci vede più – questo saluto alle persone che avrebbero partecipato al suo funerale:
Siamo tutti qui riuniti per festeggiare la mia nuova vita e io sono sicura che sarà meglio di quella terrena. In ogni caso la vita è un dono e vale sempre la pena di essere vissuta fino in fondo. Questo è un trapasso che dobbiamo fare tutti, facciamolo con serenità, con naturalezza e con la sicurezza che le nostre anime hanno vita eterna. Ai parenti più stretti e agli amici più cari voglio dire di non essere tristi per questo avvenimento ma di sorridere e gioire per me. Vi sarò sempre vicino. Ciao mamma, ti voglio bene. Vostra Serenella.
Serenella Bruschi vive e muore a Chiaravalle di Ancona. Due mesi dopo quel saluto scritto per il suo funerale, manda al fratello una lettera, dettata a un’amica, in cui parla così: «Ho capito che la vita non è mia, è tutto gratuito e solo Dio può trasformarla come vuole. Lo ringrazio per la situazione in cui mi trovo adesso, mi ha liberato da tante illusioni, mi fa apprezzare anche le piccole cose (…). Fortuna che esistono Dio, la Madonna e Gesù, perchè solo in loro posso confidare, il mondo non può aiutarmi».
La vita come dono è l’idea che torna più spesso, nei pochi scritti che ha lasciato. Tra i venti pensieri che aveva mandato nel dicembre del 1992 a «venti ragazzi della comunità Incontro», il più suo forse è questo: «Si ringrazia sempre quando si riceve un regalo; è un vero spreco non accettare il grande dono della vita».
Sul «dono della vita» si concentra anche un articolo che scrive nella primavera del 1994 per il Corriere adriatico e che lei presenta come «messaggio rivolto da una persona sieropositiva a quanti hanno il suo stesso problema»: «Il sieropositivo muore due volte: una è quando sa di esserlo, ma proprio perchè è vero che ci si rende conto di avere una cosa quando si sta per perderla, può nascere la scoperta del valore autentico della vita (…). Non sono masochista, eppure so per certo che si può vivere più intensamente in un letto d’ospedale, che in piena forma nella vita di ogni giorno».
In quell’articolo arriva a scrivere che l’esperienza del dolore le ha insegnato «l’entusiasmo di assaporare con rispetto ogni attimo di vita, vivendolo senza possesso». E sono indubbiamente parole rare, fortemente vissute.
Ha lasciato anche un racconto della sua conversione, indirizzato a tre amiche del Movimento dei Focolari. Ci informa che aveva conosciuto quel Movimento quand’era bambina, perchè frequentato dalla mamma. Dice d’aver avuto un’infanzia «traumatica». Le muore il padre quando ha tre anni, vive male l’arrivo in casa dei nonni materni e il lutto della mamma.
La scoperta della droga è precoce, la colloca sui 13-14 anni: «Meglio un’allegria finta che una monotonia vera. Ho fatto questa vita per due anni circa in modo molto intenso, sperimentando le conseguenze che essa produce, così ho dato tutto ciò che potevo per lei».
In ospedale conosce un ragazzo, è un grande amore: «Oltre che Dio, oggi posso ringraziare lui per avermi tolto dalla fossa». Ma poco dopo, quando stanno facendo progetti, a un controllo casuale scopre d’essere sieropositiva.
Serenella si sfoga con lo sport: reagisce al male affrontando con grinta duri allenamenti e vincendo la medaglia di bronzo al campionato italiano di body-building del 1987. «Esorcizzavo la paura della malattia con la potenza della forza fisica», racconta.
Ho visto la bellezza di Serenella in una foto di quel campionato: a tutto poteva far pensare, quel corpo perfetto, meno che all’Aids. Che poco dopo esplode e la costringe ad abbandonare le gare.
Sempre mediante la mamma, riprende contatto con il Movimento dei Focolari. La vita si fa breve. Matura la conversione e la percezione del dono, che ci ha meravigliato nei passi riportati sopra e che già meravigliò una persona a lei cara, la prima volta che gliela confidò: «Lo colpisce il fatto che io dica che la vita è bella, rimane meravigliato nel sentire uscire questa frase proprio dalla mia bocca».
«Il Signore mi ha tolto tutto e mi ha dato la vita», confida a don Giuliano Fiorentini, un sacerdote che l’accompagna. E a proposito del fatto che è ormai cieca dice: «Non vedo più niente ma vedo la vita».
Non è sposata e vive la sua malattia come un’attesa dell’incontro con lo sposo celeste. Chiede di essere vestita di bianco, nel giorno dell’incontro, come una sposa. E riassume così la sua attesa di fidanzata: «Ho appena fatto in tempo a fare il pieno di olio, speriamo che lo sposo non mi chiuda la porta».
Mi ha parlato la prima volta di Serenella don Giuliano Fiorentini, sacerdote di Jesi, che mi ha messo in contatto con la mamma di Serenella, la quale mi ha fornito notizie e testi.
[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel novembre del 1996]