Ho letto un bellissimo libro sulla vita di suor Teresilla, l’angelo dei carcerati, come veniva chiamata e voglio raccontare qualcosa della sua sorprendente santità mettendo insieme le notizie che lì ho trovato e quanto sapevo per altra via. Per più di trent’anni ha lavorato all’ospedale San Giovanni di Roma come suora infermiera e ha viaggiato in tutta Italia per portare soccorso ai carcerati. Si è occupata in particolare degli ex terroristi, cercando di metterli in contatto con le famiglie delle vittime, alla ricerca di una riconciliazione nel perdono cristiano. Si è battuta come un leone per l’amnistia o l’indulto, che infine è arrivato quando lei non c’era più: perché è morta a 62 anni, nell’ottobre del 2005, travolta da un’automobile mentre guidava un pellegrinaggio a piedi al santuario del Divino Amore, nella campagna romana.
Io non l’ho conosciuta, suor Teresilla, suora calabrese delle Serve di Maria Ausiliatrice, che prima di prendere i voti si chiamava Chiara Barillà. Di lei sapevo soltanto quello che ne diceva Giuseppe De Carli, il collega vaticanista del Tg 1, durante le dirette da piazza di Spagna, il pomeriggio della festa dell’Immacolata di questi ultimi anni, ricordando che il cuscino di fiori offerto dai detenuti di Rebibbia era stato collocato lì da suor Teresilla. Ma leggendo la sua biografia (Annachiara Valle, Teresilla. La suora degli anni di piombo, prefazione di Walter Veltroni, Edizioni Paoline, 118 pagine, 12 euro) ho scoperto che questa suora piccola e decisa aveva tessuto un’infinità di rapporti ed era stata in contatto con persone che avevano fatto il suo stesso lavoro nelle carceri e che io avevo conosciuto attraverso i giornali, come suor Gervasia che oggi ha 89 anni, o che avevo frequentato e intervistato come il gesuita Adolfo Bachelet, il fratello di Vittorio che fu ucciso dalle Brigate rosse.
Per avere subito un’immagine viva di Teresilla in azione, ecco come la ricorda Valerio Fioravanti, che fu fondatore dei Nuclei armati rivoluzionari e che a Rebibbia riceveva la visita sia di Bachelet sia della suora che si era fatta sua collaboratrice: “Adolfo era un tipo diverso, parlava molto di meno, veniva lì, ti comunicava il suo esserci, il suo affetto, la sua disponibilità di ascolto, ma non ti chiedeva mai niente. Teresilla, invece, era pungolante, voleva sempre che le dicessi qualcosa, veniva quasi a controllare l’iter del tuo miglioramento. Non era neanche paziente per certi versi”.
La sua impazienza mescolata alla sua santità domina un bellissimo racconto di Juditta, la compagna di Toni Negri, che Teresilla aiutava nell’assistenza a Toni rinchiuso a Rebibbia e che coinvolgeva nell’aiuto agli altri detenuti: c’è un carcerato anziano, di nome Sergio, al quale la suora è molto legata, che muore di tumore al San Camillo di Roma; Juditta accompagna all’ospedale Teresilla che guida la sua automobile e viene superata “malamente” da un’altra automobile; “Teresilla comincia a inveire al punto che le devo ricordare che è una suora vestita da suora, ma lei mi risponde in modo irruente; arrivano all’ospedale e lì, nel silenzio che si fa intorno a un moribondo, in mezzo a quella famiglia distrutta, prende la mano di Sergio e diventa di una dolcezza e nello stesso tempo di una presenza e di una solidità straordinarie: gli teneva la mano ed era un accompagnamento alla morte, con una dolcezza di gesti che non erano solo quelli di una infermiera, ma di una persona di vera fede. Il passaggio dalle risate agli insulti, al tenere la mano di un uomo che muore non dava il senso di una contraddizione. Anzi sapeva proprio di santità”.
“Mi ricordo che non ho pianto – dice ancora Juditta – perché Teresilla, mentre accarezzava la testa di Sergio, era commossa, ma assolutamente rassicurante. E faceva respirare, a quelli che erano lì attorno, una fiducia tale nel fatto che la morte è un passaggio che nessuno si diperava”.
Il libro è fatto in gran parte di interviste alle persone che hanno conosciuto questa suora straordinaria, attivissima, schietta, tutta dedita al soccorso dei più bisognosi. I vari interlocutori (per aiutare i carcerati ebbe contatti con i presidente della Repubblica Scalfaro e Cossiga, con i politici Andreotti, Galloni, Piccoli, De Mita, Monticone, con il vescovo Riboldi, con i direttori della Caritas – soprattutto don Luigi Di Liegro –, con magistrati e responsabili delle carceri) la descrivono come caparbia, testarda, cocciuta, pungolante, “un segugio” (nel senso che non ti lasciava andare finchè non facevi quello che chiedeva), combattiva, ironica, dissacrante nei confronti dell’autorità, molto dura, una rompiscatole, una suora vera, una che ordinava. E non giudicava mai nessuno ed era “libera”, senza rispetti umani, serva solo del Vangelo.
A chi le chiede la ragione di tanta passione, dice che l’amore ai malati e ai carcerati è comandato da Gesù. Una volta che finisce sui giornali, perché ingiustamente accusata di “manovre oscure” con i detenuti ex carcerati, la sorella Caterina la chiama allarmata dalla Calabria e le chiede: “Che vai a fare dai detenuti?” Teresilla risponde controdomandando: “Conosci le opere di misericordia?” e se le fa ripetere al telefono e quando Caterina nomina “visitare i carcerati” lei l’interrompe: “Ecco, non sto facendo niente più di questo!”
Sollecitati da lei a mettersi in contatto con i terroristi che avevano ucciso un loro familiare, diverse famiglie delle vittime sono arrivate a gesti di riconciliazione e a dichiarare di perdonare gli uccisori. Così per esempio fa Lina Evangelisti, vedova di Franco, un agente ucciso dai Nuclei armati rivoluzionari a Roma nel 1980. Aiutata da Teresilla va a trovare gli uccisori in carcere gli uccisori del marito e così racconta il suo gesto: “Penso che l’averli perdonati, in nome dell’essere cristiani, li ha messi in condizione di essere un poco più sereni”.
Termino con le parole con cui Teresilla rispondeva a chi gli chiedeva quale fosse l’ideale che perseguiva con la sua instancabile corsa agli ospedali e alle carceri: “Vorrei essere come un grande asciugamano in cui possa asciugarsi la faccia il povero, il peccatore, la prostituta, il carcerato. Perché possano ritrovarsela un poco più pulita. E poi, quando questo straccio non servirà più a nulla, lo si butti pure via. Lo raccoglierà, finalmente, Dio”.
Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 12/2006