Tra maggio e giugno ho avuto l’occasione di due camminate di preghiera per le vie di Roma, esperienza per me nuova che ora voglio raccontare. Perché in essa ho trovato un minimo insegnamento sull’attualità del camminare cercando Dio, in gruppo, nella città. E’ l’incipit di un mio articolo pubblicato dalla rivista Il Regno e del quale riporto qualche passaggio nei commenti a questo post.
Camminare per Roma cercando Dio: il mese mariano nella città santa e dolente
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Tra i ragazzi della movida. Come momento culminante del mese di maggio, il settore Centro della diocesi di Roma ha organizzato una “camminata mariana” che si è svolga il sabato 21 maggio, con la recita del Rosario guidata dal vescovo del settore Daniele Libanori: siamo partiti alle 20.30 dalla chiesa di Santa Maria ai Monti (che è la mia parrocchia), abbiamo proseguito per Santa Maria di Loreto al Foro di Traiano, Santa Maria in Aracoeli, Santa Maria della Consolazione, terminando l’impresa a Santa Maria in Campitelli.
Bellissime chiese e tutte diverse. Con un percorso che toccava ombelichi di storia antica e perni della vita d’oggi. Il tracciato centrale della Suburra, la Colonna Traiana che è dietro la sede della Provincia, la salita al Campidoglio dov’è il Comune di Roma, la discesa costeggiando la Rupe Tarpea, la zona dell’Anagrafe e del Teatro di Marcello.
Eravamo un centinaio di camminanti: se la ripeteremo saremo di più. Era bello invocare la misericordia del Signore sulla città e sul mondo camminando a notte per le nostre vie. In mezzo alle nostre case.
Cento persone per un settore della diocesi che conta 35 parrocchie divise in 5 prefetture: eravamo dunque pochissimi. Ma se per la preghiera in sinagoga bastano dieci persone, noi comunque eravamo dieci volte dieci.
Era il sabato sera e per via incontravi i ragazzi della movida. A ogni passo imparavi qualcosa. Ringrazio il vescovo Daniele Libanori, le sue parole amiche iniziali e finali.
In cammino con i santi pellegrini. Una seconda camminata mariana si è poi tenuta domenica 29 maggio da San Saba a Sant’Anselmo, sull’Aventino, sempre con Libanori. Il camminare cristiano a Roma è frequente. Frequentissimo nei secoli, nell’alveo dei pellegrinaggi giubilari e del Giro delle Sette chiese e del Pellegrinaggio notturno al Divino Amore. Ma frequente anche oggi.
La camminata mariana a noi parrocchiani della Madonna dei Monti ha richiamato il pellegrinaggio giubilare che facemmo nell’aprile del 2016, Anno Santo straordinario della Misericordia e che allora narrai in questa rubrica [Al Giubileo di una parrocchia romana – tra rifugiati, santi e panini: Regno attualità 8, 2016, 255] per mostrare come cammina e come prega oggi una porzione di popolo di Dio nella quotidianità. Dalla Madonna dei Monti a San Pietro, con passaggio della Porta Santa e pranzo al sacco. Anche nel terzo millennio senza pranzo al sacco non c’è pellegrinaggio.
Ci muovemmo alle 09.30 dalla chiesa della Madonna dei Monti, pregato il Salmo 122: “Quale gioia quando mi dissero: / andremo alla casa del Signore”.
Salutammo San Benedetto Giuseppe Labre, che è sepolto nella nostra chiesa e partimmo. Camminammo con tre santi pellegrini: il nostro Benedetto Giuseppe, Ignazio di Loyola, Filippo Neri. Facendo due soste: una al Gesù, dov’è Ignazio e un’altra alla Chiesa Nuova dov’è Filippo.
Portare quelli che non escono mai. La camminata mariana mi ricordava quella giubilare, ma era anche diversa e dalle diversità è nata la mia domanda al vescovo Libanori, che mi dicesse da dove gli fossero venuti l’idea e il nome “camminata mariana” e come fosse giunto alla scelta delle cinque stationes.
“Ho copiato da don Paolo Asolan, che da tempo ogni sabato fa la ‘corona di Maria’: un piccolo pellegrinaggio come quello fatto da noi”, è stata la risposta.
Quanto al nome il vescovo Libanori chiarì che l’aveva chiamata “camminata” perché non voleva una processione: si pregava nelle chiese, ma lo spostamento era lasciato alla libera conversazione.
“Credo – argomentò – che se vogliamo fare nuova evangelizzazione dobbiamo ridare alla gente il desiderio e il gusto di scoprirsi famiglia, comunità, popolo. E dobbiamo restituirle la Parola di Dio. E poi il camminare insieme, così come il convenire per l’Eucaristia domenicale è il “fare sinodo” più classico e vero. Volesse il cielo che arrivassimo a ritrovarci per ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e poi portarlo al mondo come profezia che illumina tutti”.
La prossima volta – annotò ancora il vescovo – dobbiamo studiare un itinerario che ci consenta di portare le carrozzine: “Sarebbe bello avere con noi quelli che non escono mai o quasi mai e che sono i nostri migliori intercessori”.
A misura della città moderna. Ho così partecipato alla Corona di Maria del 4 giugno, vigilia di Pentecoste. Siamo partiti alle 18.00 dalla Cappella della Madonna dell’Archetto, che è in zona Santi Apostoli, poi abbiamo pregato – una decina per ogni tappa – davanti alla Madonnella di Piazza del Gesù, a quella dell’Arco della Ciambella (zona Panteon), a quella di via delle Botteghe Oscure prospiciente Largo Argentina, a quella della Madonna della Lampada all’Isola Tiberina. Di Madonnelle in Roma ce ne sono ancora più di mille.
Il collegamento tra i camminanti è assicurato da una radiolina, così che si è uniti e insieme liberi nell’affrontare il traffico e i semafori. Oltre a meditare un brano di Vangelo a ogni tappa e a ricordare la storia delle singole Madonnelle, ci si fermava anche davanti alle memorie della città dolente: in via Caetani abbiamo letto ad alta voce la lapide per Aldo Moro, al Portico d’Ottavia – nel cuore del Ghetto – quella della deportazione ad Auschwitz degli ebrei romani del 16 ottobre 1943.
Mi sono parse camminate ricche, sia quella animata dal vescovo Libanori sia questa della Confraternita di don Paolo. A misura della città moderna. E parlanti. Da raccontare.
Per leggere il testo intero:
https://ilregno.it/attualita/2022/12/cercando-dio-per-roma-luigi-accattoli
https://gpcentofanti.altervista.org/la-mi-vedranno-mt-28-10/
Tante intuizioni felici in questa esperienza che il nostro ospite ci racconta.
Quella della preghiera, in ogni tappa, la daremmo per scontata. Ma poi la libera conversazione, per favorire le relazioni. E poi lo sguardo attento sugli altri e sui luoghi, per imparare l’umanità e imparare (o ripassare) la storia. Se non erro Luigi suggeriva anche di prestare attenzione al patrimonio artistico degli edifici (sacri e non), nella migliore tradizione dell’umanesimo.
Lorenzo ti ringrazio per la consonanza. Ci sono molte buone iniziative nella vita ordinaria della Chiesa, a partire dalle parrocchie e dalle associazioni. Se si badasse di più al vissuto e di meno alla politica ecclesiastica si guadagnerebbe in fecondità e fraternità… il dibattito sul governo della Chiesa per lo più contrista… la vita ordinaria edifica…