Ho appena ascoltato su Canale 5, Frontiere dello Spirito, la cara amica Cecilia Sangiorgi che colloquiava con il cardinale Carlo Maria Martini – spirito sveglio e parola affannata – sulla “note oscura”, in vista di un nuovo appuntamento per trattare della “notte luminosa” tra sette giorni, il mattino di Pasqua. Ha parlato, il cardinale, della notte di Gesù nell’Orto degli Olivi e di quella di Abramo che deve sacrificare Isacco. Di quella “da cui Dio trae il mondo”, cioè la notte della Creazione. Di quella in cui gli Ebrei sono liberati dall’Egitto. Ha detto d’aver appreso a vivere l’esperienza del buio ricordando che “la notte è sempre seguita dal giorno”. Ha confessato di aver avuto “molta paura da bambino” e poi ha detto con gratitudine: “In questo momento non ho paura”. Una pausa, per un sorriso. Ha concluso facendo sua l’invocazione al Padre – Abbà – che Gesù pronuncia nell’Orto: “Perché so che avrei di nuovo paura se dovessi essere sorpreso dalla notte della sofferenza, o da quella della morte, o da quella più terribile della fede”. – Dedico ai visitatori del blog le parole del carissimo cardinale come augurio di Pasqua. L’anticipo alla domenica dell’Olivo per farlo durare sette volte.
Buona Pasqua dalla domenica dell’Olivo
22 Comments
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Buona domenica delle Palme a te e a voi tutti.
Prima di andare a Messa, ascolto la lettura del Passio su Rai Uno.
Mi piace molto il motivo musicale con cui lo rende Marco Frisina.
Perdonate il fuori tema, ma vorrei sapere, da qualcuna delle molte persone istruite che frequentano questo luogo, se c’è un testo in cui la commissione (di biblisti e liturgisti, presumo) che ha preparato la nuova traduzione delle letture spiega le sue scelte. Ogni volta che vado a messa sento con fastidio le modifiche apportate alla lezione che ormai stava diventando ‘tradizionale’ (forse si ha proprio paura di questo, del formarsi di una tradizione, sia pure giovanissima: guai se le parole si sedimentano nei cuori, guai se acquistano la venerabilità che deriva dall’essere state meditate e pregate da più di una generazione?).
Sono come tante piccole punture di spillo, sulle quali dovrei ogni volta mortificare il pensiero che mi viene, cioè che nove volte su dieci (dico così perché sono ancora in fase di bontà ratzingeriana, ma sarebbero di più) i cambiamenti sembrano avere come unica ragione quella di giustificare l’esistenza della suddetta commissione. O forse di giustificare tout court l’esistenza al mondo di biblisti e liturgisti.
A parte i vigniaioli che sono diventati contadini (che ci sta, perché fa capire meglio la loro rabbia contro il figlio del padrone), non ce n’è una che mi sia parsa plausibile. Oggi, ad esempio, per tacer del resto ho sentito che nel salmo la “stirpe di Giacobbe” è diventata la “discendenza di Giacobbe”. Sarei interessato a sapere che ragionamento hanno fatto i meschini traduttori: per ora noto soltanto che così contribuiscono a far morire una bella parola italiana, “stirpe”, che ‘poeticamente’ vale assai più del piatto e notarile “discendenza”
prima di fare domande ai traduttori forse caro leonardo sarebbe il caso di dichiarare l’impossibilità umana della traduzione che, come l’etimologia insegna, è sempre in qualche modo un tradimento.
con la consueta cordialità.
Leonardo preparando la conferenza di Sacile – di cui al post del 2 aprile – mi sono trovato d’accordo con te almeno sulla “parola” di Cristo al ladrone: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Questa, che era la vecchia traduzione, è diventata: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Mi sono chiesto che differenza ci fosse. Se tra i visitatori c’è qualcuno che ha lavorato per la nuova edizione della Bibbia, ci dica una parola.
Questa Domenica è certo “delle Palme”, quindi di gioia, una gioia che non va buttata via. Ma Chi e cosa ci autorizza a gioire?
Questa è anche la Domenica che introduce alla Passione del Signore e le letture ce lo illustrano. L’ingresso a Gerusalemme prelude a ciò che accadrà poi a Gerusalemme.
Senza questa “introduzione”, saltando a piè pari la Settimana Santa, rischiamo superficialmente di passare da gioia a gioia, perdendo il contenuto della gioia stessa, che è poi la sua ragione: il Mistero pasquale.
Bello dunque il post di Accattoli, che ci costringe a pensare l’esatta dimensione di questa domenica.
p.s.
Importante anche l’OT di Leonardo.
Sul filogico perché della nuova traduzione dei salmi, si potrebbe cercare in questo libretto:
http://www.ibs.it/code/9788821563683/serafini-filippo/come-perche-cambiano.html
(che ho appena comprato, ma non letto).
Sulla legittimità e liceità dell’operazione “nuovo lezionario” ho sempre più molti dubbi. Il mutare di una traduzione non ha sono un impatto verbale e contenutistico, ha aspetti “neuroliguistici” che oggi si conoscono assai, soprattutto a livello “rituale” (per i sospettosi: sto parlando di livello “rituale” e non “liturgico”). A livello rituale, il mutamento ha un impatto di destrutturazione identitaria, prima che di ristrutturazione.
La domanda è allora, necessariamente, una e una sola: che tipo di obiettivo neurolinguistico è stato programmato e attuato?
Ringrazio Luigi per aver segnalato la bella intervista meditazione del card. Martini, che ho visto e che mi ha toccato sia per la forza del cardinale e la sua solita chiarezza, sia soprattutto per i profondi contenuti.
Ricordo che, se ho capito bene, domenica prossima di Pasqua ci sarà una seconda intervista meditazione sempre del card. Martini.
Intanto auguri a tutti di buona resurrezione.
Ho visto anch’io la trasmissione con il cardinal Martini da cui Accattoli ha preso felicemente spunto per i suoi auguri di Pasqua, oltre che per rinnovare il debito di gratitudine che lui e molti sentono verso il grande gesuita.
Le tre notti (della sofferenza, della morte e della fede) si sono fuse in quella della passione del Signore, che è diventata il prototipo delle nostre. Durante le quali c’è da augurarsi che rimanga accesa in ognuno la fiaccola di amore rappresentata da Maria di Magdala.
Auguri di buona Pasqua anche ad Accattoli.
La discussione sulla nuova traduzione Cei della Bibbia è interessante ma di un buio non paragonabile all’altro buio.
Grazie, Luigi, per queste belle parole che ci hai fatto conoscere.
Grazie a Lycopodium per la segnalazione.
per lycopodium
perchè destrutturazione?
ristrutturazione, c’erano delle crepe.
Ignigo,
parlavo in termini generali dell’effetto dell’elemento “novità” a livello rituale, non necessariamente dei problemi dei mutamenti nella liturgia cattolica. Il tipo di novità introdotto può dare effetti quanto mai diversi: può essere accolto o respinto, può essere introdotto come corpo estraneo e creare sofferenze e insofferenze, fino a metastatizzare provocando l’implosione del sistema o può avere effetti benefici, cpnsentendo un’evoluzione omognea.
C’è l’aspetto poi, programmatorio, da esperimento volto a stressare il sistema …
Come interpretare lo specifico problema del nuovo lezionario?
Sono troppe le variabili e non so quali sono state effettivamente in questione: i testi base, le versioni, il vocabolario, la stilistica, l’ideologia.
L’insieme, a naso, non mi convince e mi elicita automatismi di vecchie letture di Ivan Illich. Non arrivo a chiedere un consenso informato preventivo, ma mi sembra che, in questa vicenda, in tempi in cui ad un’autorità sola si chiede meno verticismo e più collegialità, il potere degli esperti è sempre meno collegiale e sempre più verticista.
Ti direi che sembra la questione della pagliuzza e della trave, ma il guaio è che non so come si dice adesso.
Grazie, Luigi, per averci riportato le sempre belle parole del Cardinale Martini.
Io credo, Lycopodium (tu ne sai molto più di me e mi potrai correggere se sbaglio), che nell’ingresso a Gerusalemme di Nostro Signore si sia materializzato un moto di liberazione dell’uomo la cui forza propulsiva (per usare una locuzione utilizzata, poco meno di 30 anni or sono, da un tuo conterraneo) è ancora – e ci mancherebbe ! – ben lungi dall’esaurirsi: per questo, credo che questa festività celebri uno dei momenti evangelici più “spettacolari” (sì, spettacolari !) e, per la nostra fede, più vividi, trascinanti e coinvolgenti.
Buona domenica notte e buon inizio di settimana a tutti gli amici del “pianerottolo” !
Roberto 55
Consiglio a tutti l’acquisto di un simpatico libercolo di Camillo Langone, che scrive sul Foglio.
“Guida alle Messe – Quelle da non perdere, dove e perchè”, Ed. Mondadori.
E’ un piccolo viaggio tra chiese e liturgie su tutta la penisola, con cose interessanti esposte in forma molto leggibile.
La chiamano, nella mia Calabria, Dumìnica d’a parma e d’a Liva, domenica della Palma e dell’Olivo. Al mio paese si fa una bella processione fuori dalla chiesa e poi, tutti dentro, si riceve la benedizione. Le palme, presenza non rara da noi, si mescolano agli ulivi secolari e si aspetta il Signore.
Sarei contento e potrei continuare su questo post se non fosse per il terremoto dell’Abruzzo che ci colpisce. Le nostre chiese in Calabria sono piene di sbarre d’acciaio a unire i muri maestri e tentare di rendere più solida la struttura contro la furia della terra. E non a casa quando nelle litanie pasquali si chiede a Dio di salvarci dal terremoto manca sempre il respiro. C’è un senso di affetto per chi soffre in questa drammatica ora che tutti dovremmo provare per chi è stato colpito questa notte. E con questo un grande abbraccio per tutti gli abruzzesi in difficoltà in questo momento.
Invito tutti a scrivere una preghiera per quanti soffrono in queste ore vittime di un terremoto assassino.
Lasciamo perdere accuse o altro preghiamo e basta … e chi può dia una mano.
La croce ha tanti crocifissi quest’anno!
Capisco il fastidio provato di fronte al cambiamento di un testo che consideravamo ormai tradizione. È una cosa che mi capita spesso di provare, anche se ascolto una canzone e sento che una parola è stata cambiata. Dà un senso di precarietà, di indefinitezza, di incertezza.
Però credo che anche questo abbia un valore formativo. In fondo ci ricorda quanto diceva Ignigo: siamo comunque di fronte ad una traduzione, a qualcosa che è stato espresso in una lingua che non possediamo e non potremmo mai possedere perché non c’è più il contesto in cui quella lingua era viva. Nel caso poi della Scrittura, quel non possedere è qualcosa di ancora più profondo, perché anche le parole originarie, in quanto parole umane, sono in qualche modo una traduzione molto parziale (un parziale tradimento) del significato profondo che vogliono esprimere.
Insomma, se fosse proprio questo il senso di cambiare le parole, o anche solo l’ordine delle parole, come rilevava Luigi? Se fosse proprio un modo per toglierci la nostra sicurezza e ricordarci che quelle parole devono essere riconquistate ogni giorno?
Ma quelle non sono parole nostre, che proprio in quanto nostre sono sempre imperfette, sempre da correggere, sempre da migliorare. Quelle sono parole di Dio, e la loro riconquista giorno per giorno mi pare che meglio si appoggierebbe su un’invarianza, anche esteriore.
Queste non sono ore da destinare a polemiche, ma solo alla Preghiera; tuttavia sarebbe interessante poter continuare a riflettere sugli spunti dell’intervento di Leonardo. In futuro, se ce ne sarà occasione.
A Leonardo e agli altri interessati, segnalo cmq un blog che tratta di questo (post del 2 aprile) e d’altro pure!
http://querculanus.blogspot.com/
http://querculanus.blogspot.com/2009/04/traduzioni-corrispondenza-formale-o.html
Ringrazio ancora lycopodium per la segnalazione. Mi pare che il p.Scalese dica una cosa di assoluto buon senso quando osserva che, anche con la riforma liturgica, si sarebbe potuto benissimo mantenere il rito della messa in latino (eccettuate naturalmente le letture). A suo tempo si vollero vedere solo le difficoltà e si trascurarono i vantaggi, che sono molti di più.
Comunque, una volta adottata la lingua nazionale, credo rimanga imprescindibile l’esigenza che nella liturgia non vi si adoperi la “lingua di tutti i giorni” (ma qui, tra persone istruite, forse dovrei dire Umgangssprache?), perché l’uso stesso rischia di renderla banale.
Possibile che non sia ancora finita, nella chiesa, quella infelice stagione in cui alcuni (molti?) hanno pensato che la sciattezza volesse dire povertà e dunque verità?
«Ma quelle non sono parole nostre»
Quest’affermazione dice qualcosa di vero, nel senso che in chi le ha tramandate e scritte operava lo Spirito, ma anche qualcosa di non corretto, se si vuole intendere che esse sono state pronunciate al di fuori di un preciso contesto storico/linguistico.
Cosa c’è di più umano del linguaggio? Esistono parole “assolute”, cioè la cui comprensione può prescindere dal tempo e luogo in cui sono state pronunciate? Io non credo, e non vedo come si possa credere questo, anche se temo che qui stia un punto di divergenza importante anche tra i frequentatori di questo pianerottolo.
D’altronde, se tali parole esistessero, se ci fosse il testo definitivo e accessibile una volta per tutte, probabilmente non ci sarebbe bisogno della Chiesa e della sua viva Tradizione.
Spero che ci sia occasione per riprendere questo punto.