Condivido parola per parola l’appello di Benedetto alla “pace nella Chiesa” e lo leggo come un evento nella vicenda del pontificato, paragonabile alla pubblicazione del volume Gesù di Nazaret o alla lectio di Regensburg con ciò che ne seguì. Tre iniziative che hanno comportato forti novità nel modo di fare il papa, tutte in direzione di un recupero di vicinanza con il popolo dei battezzati. Con il volume su Gesù Benedetto si azzardò a parlare come Joseph Ratzinger, avvertendo che ognuno poteva “contraddirlo”. Con la lectio di Regensburg parlò da professore della sua vecchia università e accettò fattivamente di portarne le conseguenze nei mesi che seguirono e che videro una decisa evoluzione del suo approccio all’Islam. Stavolta scrive in prima persona ai vescovi, spiega che cosa intendeva fare, prende atto degli sconquassi che ne sono seguiti, riconosce che ci sono stati “sbagli” nella gestione dell’iniziativa, enuncia una decisione di rilievo sulla conduzione del rapporto con la Fraternità (il ruolo guida della Congregazione per la dottrina, che comporta il coinvolgimento della Curia e degli episcopati). Ma non solo: si sfoga per l’intolleranza di chi l’ha attaccato, ringrazia gli ebrei per averlo capito meglio di una parte dei cattolici, rimprovera la “saccenteria” dei lefebvriani e quella di alcuni che si pongono a “grandi” difensori del Concilio. Il papa che scende dal trono e parla da uomo a uomo, ammette insiste e si raccomanda: tutto ciò mi piace, ci vedo un passo concreto verso quel nuovo esercizio del primato che Giovanni Paolo pose all’ordine del giorno dell’ecumene cristiana con l’enciclica Ut unum sint (1955) e che ha lasciato come compito primario ai propri successori. (Segue nel primo commento)
Bufera lefebvriana: sto con il papa parola per parola
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(Segue dal post) “Sto con il papa parola per parola” era il titolo della mia prima reazione alla lettera del papa sulla questione lefebvriana che non mi fu possibile pubblicare in un nuovo post a motivo di un gap tecnico che ha intralciato per tre giorni il funzionamento del blog e che ho affidato a metà del pomeriggio di ieri con una serie di dieci “commenti” al post precedente. Rimando a essi per l’indicazione dei contenuti principali della lettera papale e per il mio primo approccio a essi.
E’ stato interessante leggere il commento di Ruini, subito dopo questo post di Luigi. Ci vedo delle somiglianze forti:
http://www.agensir.it/pls/sir/V2_S2DOC_A.a_autentication?tema=Quotidiano&oggetto=169106&rifi=guest&rifp=guest
Quanto poi al successore di Ruini a Roma:
“Mi sono tornate alla mente le parole di Gesù a San Pietro, dopo la risurrezione: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro ? …In verità ti dico,…., tenderai le mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv. 21, 15.18). La parola del Signore ci dice che Pietro, di ieri e di oggi, spesso è chiamato a vivere il Suo singolare ministero in solitudine, nell’incomprensione e nella sofferenza.”
http://www.romasette.it/modules/AMS/article.php?storyid=282
[ “Benché sia stato più di un ventennio in Vaticano al tempo in cui era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede – spiega off record un monsignore – Ratzinger non conosce affatto la Curia. Era chiuso ieri nella sua stanza nell’ex Sant’Uffizio ed è chiuso oggi nel suo studio da papa. Lui è un teologo, non è un uomo di governo. Passa metà della giornata a occuparsi dei problemi della Chiesa e l’altra metà concentrato sui suoi scritti: sul secondo volume dedicato a Gesù”. Monsignore si ferma e soggiunge: “Non è detto che un grande teologo abbia con precisione il polso della realtà così come è”
Per Politi (e il suo Mons.Off de Record) , come si suol fare su YouTube, “posto un video di risposta” :
http://www.youtube.com/watch?v=qB76jxBq_gQ
Chi ha orecchie -e cuore- per intendere, intenda.
(E mi dispiace per gli altri, davvero.)
Buonanotte a tutti. ]
incomprensione, sofferenza, lacerazione, solitudine, assordante silenzio… ho il sospetto che si stia un po’ esagerando. Cosa dovrebbero dire, tanto per fare del populismo, tanti anziani negli ospizi? Insomma, ci saranno pure le atroci incomprensioni, ma della grazia che consola e ripaga niente? Fanno così male poche voci dissonanti (Bertone dixit)? Un po’ di senso della misura, please!
[Ah, Politi: qui è rappresentato ampiamente anche il Collegio Apostolico:
http://www.youtube.com/watch?v=AVODxskoHFQ ]
[Abbia il senso della misura, piuttosto, chi non pone d’ufficio gli Episcopati -per esempio- polacco e spagnolo nel novero dei “Grandi Episcopati”. I Vescovi polacchi, ad esempio, ancora in piena bufera Williamson (loro che per primi sarebbero dovuti insorgere contro i sodali di chi minimizzava la barbarie nazista, da loro subita a go-go!) , hanno espresso subito la loro incondizionata solidarietà al Santo Padre. Perchè? (Si accettano risposte che non menzionino né Giovanni Paolo II, né Lutero.. 🙂 ]
[Ah, prima che diciate che “odio Lutero”.., volevo fornire a Francesco un esempio di versione polifonica del “Victimae paschali laudes” che mi sta particolarmente a cuore:
http://www.youtube.com/watch?v=6X7F3zj1Dco
“Es war ein wunderlicher Krieg,
Da Tod und Leben rungen,
Das Leben behielt den Sieg,
Es hat den Tod verschlungen.”
Cfr. con:
“Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus, regnat vivus.”
(Poi , spiegherò..
Sogni d’oro -son reperibile e domani mattina ho un intervento extraordinario sull’impianto, devo andare a letto presto..- ) ]
Syriacus, sulla Polonia, senza citare né Lutero né GPII direi questo: nei confronti dell’antisemitismo e del nazismo l’atteggiamento dipende molto da quanto un paese ha fatto i conti con il proprio passato. La Polonia ha meno “anticorpi” della Germania innanzitutto perché era oltre cortina e in secondo luogo perché l’essere vittima del nazismo le ha forse impedito di vedere i propri trascorsi antisemiti (sui quali basta leggere qualche romanzo di Singer). Altro paese che è passato per vittima e quindi non ha rielaborato gran che è l’Austria.
Al momento dell’incoronazione del Papa si usava pronunciare le seguenti parole:
Accipe thiaram tribus coronis ornatam, et scias te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris Nostri Jesu Christi, cui est honor et gloria in sæcula sæculorum.
(Ricevi la tiara ornata di tre corone, e sappi che tu sei il Padre dei Principi e dei Re, il Rettore del Mondo e il Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo sulla terra, a cui solo è dovuto onore e gloria nei secoli dei secoli).
Secondo il cerimoniale tratto dal “Pontificale romano” del 1596, al momento dell’imposizione della tiara sulla testa del Sommo Pontefice, il cardinale primo diacono gli ricordava che la riceveva perché egli era Padre dei Principi e dei Re, Rettore dell’orbe, Vicario del Salvatore Nostro Gesù Cristo in terra
Papa Paolo VI, come tutti i papi che l’avevano preceduto, ricevette una tiara alla cerimonia di incoronazione. Come altre volte era successo in passato, fu usata una nuova tiara, donata dalla città di Milano, dove era stato arcivescovo prima della sua elezione al soglio pontificio
Alla fine del Concilio Vaticano II, Paolo VI scese dal trono papale nella Basilica di San Pietro e, con gesto inaspettato e significativo, depose il triregno sull’altare quale gesto simbolico di umiltà e di rinuncia a qualsiasi potere di natura politico-umana. Inoltre, voleva essere segno di cambiamento nello spirito di rinnovamento del Concilio. Da allora, nessuno dei suoi successori ha portato il triregno.
cari fratelli , ci troviamo davanti a un rifiuto formale del servizio alla Chiesa e al mondo degli ultimi papi che, pur essendo loro quello che Nostro Signore ha voluto che fossero e gli ha assegnato di essere, in realtà loro stessi non ci credono ; non credono fino in fondo al ministero che svolgono ,all’uffico assegnato da Nostro Signore . Hanno rinunciato formalmente,abbandonando la divisa del generale e vestendo come comuni fanti in mezzo all’accampamento di guerra. Un disastroso eccesso di neopauperismo o cattocomunismo che ha inficiato il ministero petrino
Il triregno non veniva usato per le celebrazioni liturgiche, come la messa. Per tali funzioni il papa, come gli altri vescovi, indossa una mitra. Veniva indossato durante la cerimonia dell’incoronazione, quando il pontefice si recava a qualche funzione solenne (come le processioni) o ritornava da essa. Lo si poneva simbolicamente sull’altare durante le messe solenni.
Inoltre, il triregno veniva usato per gli atti giuridici solenni, ad esempio quando il papa parla ex cathedra (avvalendosi dell’Infallibilità papale). Veniva indossato anche quando il papa, da Piazza San Pietro, impartiva la tradizionale benedizione Urbi et Orbi, a Natale e a Pasqua, la sola cerimonia che prevedeva l’uso della tiara.
Luciani, Wojtyla e Ratzinger in disastroso eccesso di cattocomunismo? Affus tutti quei lacci!
Ben detto Accattoli e (a modo suo) Affus.
Giusto sottolineare il mutamento stilistico epocale degli ultimi Papi.
La questione del “triregno” fu presa di petto da GP2 nel suo discorso di intronizzazione e risolta teologicamente: l’ingombrante e politicamente scorretto copricapo simboleggiava il triplice “munus” di Cristo (sacerdote, profeta e re).
L’oggi della Chiesa vede certo una dismissione del triregno da parte del Papa.
Ma non certo la sconfessione della testimonianza di Cristo, esattamente in quegli ambiti che il triregno simbolizzava.
Nella lettera di B16 io vedo però anche altro.
Vedo poteri intra ed extra ecclesiali che, nell’applaudire (o nello stigmatizzare) la deposizione di quel copricapo, non hanno rinunciato ad appropriarsene e non sembra vogliano disfarsene in futuro.
Anche per questo, anch’io sto col Papa.
Quindi ,se quel copricapo simboleggiava la missione di re , sacerdote e profeta del vicario di Cristo , allora significa che questi papi la vedono come una cosa negativa , una cosa di cui vergognarsi agli occhi del mondo .
Perchè l’utorità deve essere per forza una cosa negativa ?
Non fu paolo Vi a dire che la politica giusta è il massimo della carità ?
Perchè vedere il potere sotto un aspetto diabolico se è anch’esso un dono di Dio quando diventa servizio ?
Affus c’è un movimento di nostalgici della tiara che ne chiedono il ripristino, vedi di sfogarti con loro. E risparmiaci lo sconcerto per il fatto che il papa teologo ha tolto la tiara anche dallo stemma. E non stare a rimuginare – con noi: nella tua cameretta fai come vuoi – sul cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo che ha disegnato lo stemma: dietro quella decisione ci sono interi volumi del teologo Ratzinger – tipo “Il nuovo Popolo di Dio” – che segnalano l’urgenza di staccare il ministero petrino dai segni della storia mondana del papato. – Ma tu combatti pure per il ripristino della tiara: a ognuno il suo ideale.
“Nei secoli passati, quando il Successore di Pietro prendeva possesso della sua Sede, si deponeva sul suo capo il triregno, la tiara. L’ultimo incoronato è stato Papa Paolo VI nel 1963, il quale, però, dopo il solenne rito di incoronazione non ha mai più usato il triregno lasciando ai suoi Successori la libertà di decidere al riguardo.
Il Papa Giovanni Paolo I, il cui ricordo è così vivo nei nostri cuori, non ha voluto il triregno e oggi non lo vuole il suo Successore. Non è il tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che, forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo del potere temporale dei Papi.
Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergere in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo.
Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come si riteneva –, il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi “un regno di sacerdoti”.
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re – continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione. E forse nel passato si deponeva sul capo del Papa il triregno, quella triplice corona, per esprimere, attraverso tale simbolo, che tutto l’ordine gerarchico della Chiesa di Cristo, tutta la sua “sacra potestà” in essa esercitata non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo una sola cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe di questa triplice missione di Cristo e rimanga sempre sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre celeste e dal mistero della Croce e della Risurrezione”.
Giovanni Paolo II, Omelia per l’inizio del pontificato.
«Il mio regno non è di questo mondo» (Gv. 18,36)
«Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: “Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori”. Allora Gesù gli disse: “Vattene, Satana, poiché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il culto». (Mt 4,8)
ecc. ecc.
Capisco bene che parlando di regalità nel caso del papa si può (e si deve) intendere altro dal potere temporale. Ma la simbologia è quanto meno ambigua, visto che per secoli c’è stata confusione su questo punto e malauguratamente la chiesa stessa ha inteso il proprio ruolo (anche) come esercizio di potere temporale. L’abbandono della tentazione temporale è stato uno dei passi più importanti che la chiesa ha fatto per recuperare e riaffermare il proprio vero ruolo nel mondo.
[Una battuta a Lycopodium: l’abbreviazione B16 mi provoca un sussulto, sembra la sigla di un areo da bombardamento]
Io non ho nostalgie.
Lo spirito (e l’intento polemico) del mio intervento era ben altro.
Rispolverando una battuta di Paperone, vorrei tanto che papa Benedetto XVI sorvolasse, ma per bombardare a tappeto…
Lycopodium, non mi riferivo a possibili tue nostalgie (per quanto mi abbia colpito il fatto che hai usato l’aggettivo “stilistico” con riferimento al cambiamento epocale: secondo me è stato di sostanza, non solo stilistico, ma forse siamo d’accordo).
Mi piacerebbe invece capire meglio quali debbano essere secondo te gli obiettivi che il B16 dovrebbe bombardare…
Grazie Syr!
Ora mi ascolto con calma la tua sequenza. 🙂
La lettera del Papa è davvero molto bella.
Su un piano del tutto diverso e assai minore, ovvero il governo, la Curia, la solitudine presunta o vera di Benedetto, penso ci sia stato un pò un difetto nell’impostazione di fondo, iniziale.
Forse si sarebbe potuto cercare di creare una sinfonia di voci diverse, al vertice, unite al Pontefice non dall’identità di vedute ma dalla lealtà.
La Chiesa in fondo dovrebbe poter rappresentare anche in questo un punto di differenza rispetto a quanto avviene nella società “secolare”: si collabora fraternamente tra diversi, non ci si attornia solo di consentanei.
Ora io spariglierei così: chiamerei in Vaticano, in ruoli chiave, una o due grandi personalità di sicuro prestigio ma di sensibilità differente da Benedetto.
Un esempio su tutti: Bruno Forte.
Da questo dialogo di spiriti, fatto anche di rispettosa dialettica sempre però finalizzata al servizio premuroso e sollecito al ministero petrino, io sono certo verrebbe un arricchimento per tutti, e anche una capacità di governo – infine – più articolata e coerente.
Insomma, fossi il Papa mi metterei qualche estraneo in casa, per dirla alla Alberto Sordi: meno “piccoli Ratzinger” nei dicasteri, più posizioni diversificate e plurali.
Alla fine, contano soprattutto fiducia e lealtà.
@ Francesco73.
L’idea sarebbe buona, se effettivamente fosse vero l’assunto che la curia oggi sia ratzingeriana; ipotesi tutta da verificare.
Stando al gioco, dico la mia.
Bruno Forte, è OK ; anche, ma non solo, per questo motivo:
http://www.rinascimentosacro.com/2008/02/la-gnosi-di-ritorno-la-risposta-di-mons.html
La mia lista di nomi è lunga e non posso riportarla tutta;
in spirito del tutto bipartisan, mi piacerebbe lavorassero col Papa questi due tizi:
http://www.ibs.it/code/9788825020083/grillo-andrea/grazia-visibile-grazia
e
certitudes.free.fr/nrc08/nrc08106.htm
Io mi vorrei come uditore delle loro discussioni teologico-liturgiche.
Ultimo link, corretto:
http://certitudes.free.fr/nrc08/nrc08106.htm
p.s. @ Massimo
… Sorvoliamo!
Ragazzi , vi stupirò con effetti speciali .
Un mio amico s’è ritrovato una foto che ritrae l’Ecc.mo Mons. Mons. Lefebvre
mentre bacia la mano a P.Pio as San Giovanni Rotondo .
Altro che teologi eretici e scomunicati !
Uau, Affus, sono ancora qui che tremo per l’emozione della notizia…
Leggere Galli della Loggia sul Corsera di oggi.
«il Concilio ha voluto dire la nascita dei partiti all’interno della Chiesa»
Stupisce che uno storico, seppure poco esperto di storia della chiesa, possa affermare queste cose.
al Concilio è stato impedito allo Spirito di agire , gli è stato messo un bavaglio.
penitenziagite !
Che partiti e fazioni siano una novità nella chiesa è un’emerita sciocchezza (basti leggere Vangelo e Atti…).
A me invece sembra che gli elementi di novità rispetto alla situazione di pochi decenni fa sia data da due elementi:
(1) anche per i credenti, almeno quelli “comuni”, il ritrovarsi fuori della chiesa è condizione molto meno traumatica e problematica che in passato, per cui chi dissente può chiamarsi semplicemente fuori senza che questo abbia conseguenze di tipo sociale o anche personale;
(2) gli spazi di confronto aperto sono praticamente scomparsi, per cui riguardo alle posizioni della chiesa il fedele è posto di fronte ad una proposta calata dall’alto del tipo “prendere o lasciare”.
Ed ecco che molti, moltissimi, si sono messi ai margini o sono usciti.
Un’altra risposta è quella di cercare, nella grande varietà di forme offerte dalle parrocchie, i gruppi, i movimenti, quello in cui uno si ritrova, disinteressandosi il più possibile dei pronunciamenti dall’alto.
Di fronte a questa situazione, io se fossi il papa sarei felice delle critiche: vuol dire che chi non è d’accordo ancora si interessa di quello che lui dice e fa. Il passo successivo è occuparsi d’altro e condannare la gerarchia, con i suoi pochi fedelissimi dovunque e comunque, all’irrilevanza.
@ Massimo,
Nel punto 2), ritrai efficacemente una percezione “tutta umana” dello stato delle cose.
Parli di “spazi di confronto aperto”, “posizioni”, “proposta calata dall’alto”, “disinteresse”, “irrilevanza”.
I termini mi dicono di una visione sociologica e non ecclesiale.
In realtà la questione è diversa. E quella terminologia si rivela riduttiva.
Tanto riduttiva da non essere in grado di descrivere NEPPURE l’esperienza spirituale del cristiano “marginale” (che, a volte, è “molto di più” delle parole usate).
Né tanto meno l’Origine di quella esperienza.
È calato dall’alto il Kerigma?
È calato dall’alto il conseguente Dogma?
È calato dall’alto Colui di cui si dice nel Kerigma e nel Dogma?
Per avere giuste risposte, servono altre domande.
Per avere giusta visione, serve il punto giusto da cui guardare.
Difficile che dai “margini”, o da “fuori”, si possa vedere sempre adeguatamente.
Difficile che il disinteressarsi non nasconda, qualche volta e da qualche parte, un dis-interesse, un interesse avversario. O un interesse estraneo.
Forse si scambia l’effetto con la causa.
È la logica del “mondo” a produrre prima, e a strumentalizzare poi, il disagio.
Ed a voler per forza di trasformare la “Chiesa” in “mondo”.
Facile poi che dallo “spirito del mondo”, emerga lo “spirito immondo”.
“I termini mi dicono di una visione sociologica”
Ovvero, direbbe Bartali, è tutto sbagliato, è tutto da rifare. Sicuro che il linguaggio para-heideggeriano (“dis-interesse”) sia meno ideologico?
Lumen Gentium vale per tutti. O no?
Caro Lycopodium, meglio chiamare le cose umane con terminologia umana piuttosto che chiamarle con altra terminologia (non riesco a trovare un aggettivo per la terminologia che mi proponi in alternativa: non umano, divino, sacrale?) che spesso ha il solo effetto di nascondere meccanismi molto umani dietro una patina di sacralità. L’Avversario opera anche per questa via: non chiamare potere il potere, non chiamare confronto il confronto. Chiamiamo “servizio” il “potere” anche quando è solo potere, così nessuno potrà obiettare. Chiamiamo “sociologismo” la richiesta di ecclesialità e sinodalità.
L’interesse avversario, o estraneo, purtroppo si annida molto spesso al centro più che ai margini. La logica del mondo la trovi più nelle stanze del Vaticano che nelle sacrestie delle parrocchie. E se guardi indietro alla storia della Chiesa vedrai quante volte la capacità profetica è venuta dai margini, e quasi mai dal centro.
Il linguaggio sociologico sarà anche riduttivo, come tutti i linguaggi, ma può aiutare a capire.
Quanto al “calato dall’alto”, non credo sia così difficile capire a cosa mi riferisco: il problema non riguarda certo l’annuncio della Resurrezione o il Kerigma, ma il fatto che insieme al Kerigma si cerchi di contrabbandare ben altro.
Ragioniamo in termini terreni, ok.
Allora: vorrei un Rowan Williams al Vaticano ed Elisabetta II al Quirinale.
(forse anche Kirill al Vaticano e Putin a Palazzo Chigi, all’occorrenza)
Lo sapete? In entrambi i casi , come ‘tradiionalista’, mi sentirei relativamente più ‘tutealato’ che qui e adesso nella Chiesa di Roma.
I miracoli della sinodalità…
[Bello, il “tradiionalismo” . Intendevo dire quell’altra cosa lì…con una zeta in più in mezzo.]
[Anche ‘tutealato’ . Un nuovo volatile. Vabbè, buonanotte ortografia. Buonasera.]
@ Massimo.
Scusa se ti ho dato l’idea di un “gusto amaro di cogliere in fallo il nostro presunto avversario” (Ruini). Lungi da me.
va però dato atto che la logica del mondo la usano tutti, chi è contro il Papa e chi dice di essergli a favore. La mia indignazione verso questi contrabbandi corrisponde alla tua.
L’autentica capacità profetica è spesso nata a margine, come dici tu, ma non si è mai istituzionalizzata e/o professionalizzata in questa “marginalità”: si è invece pensata nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa.
In questo senso ti invito cordialmente a meditare queste parole (sempre di Ruini):
“Tocchiamo qui un nervo scoperto del cattolicesimo degli ultimi secoli, un punto di fragilità e di sofferenza di cui dobbiamo diventare più e meglio consapevoli. Mi riferisco all’indebolirsi, e a volte praticamente all’estinguersi, del senso di appartenenza ecclesiale, della gioia cioè e della gratitudine di far parte della Chiesa cattolica. Non si tratta di qualcosa di secondario e di accessorio, che dovrebbe giustamente lasciare il passo di fronte alla nostra libertà individuale e al nostro rapporto personale con Dio, o anche a tante altre appartenenze che appaiono più concrete e più gratificanti.
Occorre invece ricostruire dentro di noi quella convinzione di fede che ha caratterizzato il cristianesimo fin dal suo inizio, secondo la quale il senso della Chiesa è parte essenziale della nostra appartenenza a Cristo. Hanno qui la loro radice l’accoglienza del magistero della Chiesa e lo sforzo di conformare la nostra vita ai suoi insegnamenti, ma anche un atteggiamento che abbraccia la sfera dei sentimenti e che si traduce spontaneamente nell’affetto per coloro che nella fede ci sono padri e fratelli”.
D’accordo. L’affievolimento del senso di appartenenza. Non a caso nella mia ricostruzione in lingua volgare delle 14:42 mettevo questo come primo punto (parlavo della relativa facilità del chiamarsi fuori).
Però ribadisco il secondo corno del problema, che hai più o meno tacciato di sociologismo: la mancanza di spazi di confronto (dovrei dire, con altro linguaggio: dialogo, comunione). Mancano i luoghi e le occasioni per uno scambio fecondo. Questo blog se ci pensi ne è un surrogato. Quando mai posso incontrare altri cristiani che la pensano diversamente da me, o anche come me? I sinodi sono sempre più eventi preconfezionati. I grandi eventi del momento sono le adunate, in cui tutti guardano nella stessa direzione invece di guardarsi in faccia. Ma ecclesia non voleva dire assemblea? Si tratta credo di recuperare lo spirito autentico dell’essere comunità, non di introdurre impropriamente concetti quali democrazia e rappresentanza. Almeno, così mi pare.
D’altronde, l’aborrito sociologo ci direbbe che il senso di appartenenza si nutre anche di partecipazione, no?
Massimo,
l’approccio sociologico è sicuramente valido, nel suo ambito. Non lo posso certo tacciare di essere … se stesso, né invitarlo a tacere.
È che, in momenti come questi, serve recuperare il linguaggio specifico della nostra identità, precario quanto si vuole, ma ineludibile. Certo, uno può sentire quel linguaggio in bocca a questo, a quello o a se stesso … e magari notare le incongruenze.
La Chiesa è anche “questo” (difficile sfuggirne: Mt 13,24-31), ma non è mai solo “questo”. Il “di più” della Chiesa ci è necessario, oggi.
Per il resto, sono fin troppo restio a adunate e sinodi, per sopravvalutarli come occasioni di incontro.
Con tutti i suoi difetti, meglio internet o (come dice, “ipostatizzando” alquanto, il Papa) “l’internet”.
p.s.
«Pour les catholiques, la première urgence est de garder confiance dans les ressources surnaturelles de leur Eglise.
La seconde urgence est de voir clairement la situation, sans se cacher la gravité et la réalité des problèmes. Se mettre la tête dans le sable ne résoudrait rien, et ne répondrait pas aux questions que nos contemporains nous posent. Nous devons y répondre, même quand elles sont agressives. Et nous devons y répondre franchement, nettement, sans chercher à minimiser les torts ni à justifier l’injustifiable. L’espérance du croyant est dans les promesses de Jésus-Christ : elle ne saurait être décontenancée par la bourde de Mgr X. ou les machiavèleries du cardinal Y».
http://plunkett.hautetfort.com/archive/2009/03/12/nouvelle-tempete-pour-l-eglise-catholique.html#more
“A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.”
E’ uno dei passaggi che maggiormente mi ha lasciato pensare della lettera di Benedetto XVI.
Come commentare questa lettera, ammesso che sia concesso ad un semplice fedele?!
Vedo innanzitutto un papa che sente la necesssità intellettuale di confrontarsi e di spiegarsi col popolo di Dio. Quindi ci vedo innanzitutto un papa che prega, ci/si interroga e si/ci da delle risposte su una questione molto discussa, soprattuto dentro la Chiesa. E’ uno dei tratti più belli di questo papa!
Detto questo, vedo un papa che ribadisce: “ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.”;
un papa che ricorda che dopo la revoca delle scomuniche “Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento.”
Io penso che questa sia la grande questione di questo pontificato che lo segnerà storicamente: l’interpretazione ed il posto del concilio Vaticano II nella storia bi-millenaria della Chiesa.
Il papa ha già chiarito la giusta interpretazione da dare del concilio nel famoso discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005: una lezione magistrale di storia della Chiesa in cui il papa contrapponeva la emeneutica della discontinuità con la ermeneutuca della riforma che è stata incarnata dai papi conciliari (Giovanni XXII e Paolo VI) spiegando come “È chiaro che in tutti questi settori (rapporto Chiesa/scienze, Chiesa/laicità, Chiesa/tolleranza religiosa), che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione”.
Tuttavia mi vorrei soffermare sulle applicazioni che di quel discorso continuamente si fanno negli ambienti ecclesiali che contano.
Diciamo la verità: oggi non fa paura papa Ratzinger ma i ratzingeriani!
Quelli che utilizzano e strumentalizzano il suo magistero e la sua indiscutibile autorevolezza dottrinale.
Quelli che negano che il concilio abbia rappresentato una discontinuità nella Chiesa,
quelli che si appellano solo alla tradizione,
quelli che ritengono di riesumare i vecchi messali che poi sarebbero meglio della sciatta liturgia di oggi,
quelli che vorrebbero che in quegli anni non fossse successo nulla di nuovo,
quelli che accusano chiunque abbia nella Chiesa un pensiero non allineato di applicare una ermeneutica scorretta della discontinuità che vorrebbe andare oltre i testi del concilio.
Oggi c’è una parte della Chiesa che usa queste sottili violenze verbali per accusare gli avversari intra-ecclesia di non essere in comunione con la Chiesa: è una forma molto forte di violenza sulle coscienze!
La damnatio memoriae che alcuni studiosi, giornalisti ed ecclesiastici fanno dell’opera storica sul Concilio di Alberigo è il tipico esempio di questa violenza!
Il papa mostra di darsene ad intendere dove chiarisce che “si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento.”
Ecco! C’è una parte dei cattolici, figli della Chiesa, che è amareggiata perchè messa ai margini se non esclusa dalla Chiesa e non per colpa di questo papa!
C’è una parte della Chiesa ferita che, come recentemente e dolorosamente rilevava Hans Kung, non si aspetta nulla da questo papa.
Forse è questa l’unica critica che mi sento di fare a questo papa che, ubbedendo alla legge dell’amore e della misericordia, ha revocato giustamente la scomunica ai lefebvriani: aver ricordato a coloro che hanno protestato per questa decisione che la libertà va utilizzata nel modo giusto senza approfondire (e lo poteva fare) le ragioni di una “amarezza che rivela ferite risalenti aldilà del momento”.
Sono parole molto dure, anche se meditate!
L’ermeneutica della rottura, definitivamente rivelata e sconfessata dal Papa, è responsabile della “damnatio memoriae” della Tradizione ecclesiale.
Questa ermeneutica ha di fatto egemonizzato la gran parte delle ricostruzioni storiche e ha condizionato pesantemente l’elaborazione teorica e pratica post-conciliare.
Paolo VI ha parlato di “autodemolizione”.
Non so che si dice negli ambienti ecclesiastici (non ecclesiali) che contano.
Né vedo così diffusa l’intenzione (del tutto illusoria!) di “voler tornare indietro”.
È indubitabile che ogni tradizione vivente si evolve anche tramite momenti di discontinuità.
Ma tali momenti sono comunque interni alla stessa tradizione; spesso hanno la funzione di rievidenziare elementi che con l’andare del tempo sono stati dati per scontati o sono rimasti in fase di latenza.
Questa opera di discontinuità “relativa” è a favore della Tradizione stessa.
Così ha operato il Vaticano II.
Riporti correttamente il pensiero del papa.
Chiarisco che il problema è’ che le sue parole vengono strumentalizzate da una parte della Chiesa per emarginare l’altra.
Per quel che riguarda l’aggettivo “ecclesiale” ti chiarisco che l’ho usato apposta perchè pensavo a studiosi, giornalisti ed ecclesiastici che nel libero dibattito strumentalizzano le parole del papa.
Credevo si capisse!
Direi proprio di no.
Anzi registro una ricezione piuttosto malevola degli intendimenti papali, proprio da parte di chi dovrebbe, invece, aderervi con tutto il cuore.
Quanto a certi luminari facili alle interviste, hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Mi inserisco nel blog, facendo riferimento alla bella lettera del Papa ai vescovi del 10 marzo 2009:
a) Il Papa per fondare i suoi interventi di piccola-media riconciliazione a favore del lefevrismo, che ferma il magistero della Chiesa al 1962, usa uno spirito e un linguaggio conciliare, addirittura quello di papa Giovanni: “non badare alle diverse cose non buone e fare spazio a ciò che vi è di positivo e ricuperabile per sciogliere gli irrigidimenti e condurre fuori dalle strettezze”.
Ha ragione il vecchio Mons. Capovilla che parla della “sapienza di attendere” e della forza del popolo credente di sopportare posizioni destinate a scomparire.
b) Supremo paradosso: per giustificare le concessioni al lefevrismo il Papa include nella priorità fondamentale sua e della Chiesa l’ecumenismo (e l’ amicizia con l’ebraismo) e il dialogo interreligioso (“tutti coloro che credono in Dio, pur nelle diversità delle loro immagini di Dio, vadano insieme verso la fonte della luce” – forse nemmeno il concilio si è spinto fino a tanto) che sono i punti scandalo-discriminanti del lefevrismo rispetto alla grande Chiesa. Si sottintende nella lettera – secondo me – che la grande preoccupazione del Papa e della Chiesa (“l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo”) è di altro ordine rispetto a quella del lefevrismo, che al più si interessa della “purezza della fede”.
c) Il lefevrismo esce ridimensionato, marginalizzato e depotenziato nella sua pericolosità di rompere l’unità ( “gruppo radicale, che va alla deriva lontano dalla Chiesa”; “comunità con molte cose stonate, con superbia, saccenteria, fissazioni su unilateralismi”). Questa lettera ne segna la fine, qualunque cosa succederà dopo. Esce anche rafforzata, almeno per me, l’opinione che le concessioni liturgiche loro date erano e sono superflue
14 marzo 2009
p. Luigi Amigoni – Como
Do il benvenuto nel blog a padre Luigi, conosciuto a Como – presso il Collegio Gallio – in occasione di una conferenza nel dicembre del 2006. E’ raro che si affaccino nella comunità virtuale gli amici della vita reale ma quando avviene è una doppia festa!
Pesanti accuse
http://www.ticinodiocesi.net/modules.php?name=News&file=article&sid=191&mode=&order=0&thold=
All’interlocutore del punto b), al fine di evitare gli autogoal dei “grandi difensori” , faccio presente che ha saltato o evitato questo culmine:
«Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo».
tutto su macuso .
http://www.ticinodiocesi.net/modules.php?mop=modload&name=Splatt_Forums&file=viewtopic&topic=396&forum=20
Eccomi, di nuovo, presente, dopo qualche giorno di (forzata) assenza !
Ho letto tutto di tutti, e mi ritrovo in molte considerazioni di MassimoD. e di Diego Ruggiero: ad esse aggiungo la mia personale, semplicissima sensazione che in questa sorta di (bella) “lettera aperta” ai suoi vescovi il nostro Papa abbia, quasi, inteso parlare a tutto il popolo della Chiesa di Roma, e neppure “ex cathedra”, ma, come dire ?, da ministro di Dio ai propri fedeli.
La mia impressione – la dico tutta – è che il Pontefice abbia cercato di “scavalcare” la Curia, la “struttura” della Chiesa, e, piuttosto, perseguito, con questa iniziativa, l’instaurazione del “rapporto diretto” con tutta la cattolicità.
Sbaglio ?
E’ vero, poi, come mi pare d’aver colto nelle parole di Diego Ruggiero, che v’è sempre, tra la (presunta) “claque” dei discorsi del nostro Papa chi, in realtà, ne vuole solo “curvare” le sue parole a proprio (e della “claque”) uso e consumo.
Buona notte !
Roberto 55
Non so se sbagli in merito al by pass della burocrazia ecclesiastica.
Di sicuro, anche ammettendo che ci sia una claque “speculativa” (dove non c’è?), c’è anche chi si mette per traverso al Papa, e di brutto. Esempi anche tra questi commenti.
Ciao!