Il cardinale Camillo Ruini chiude l’assemblea della Cei con l’abituale conferenza stampa. Come già da quindici anni, e prima per i cinque anni di segretario generale, conduce il ballo con maestria. Sono due decenni che non sbaglia una parola quando incontra la stampa e affronta ogni argomento con totale padronanza. C’è da riflettere sulla sua bravura e sul poco affetto che incontra anche nella comunità cattolica. Ma noi giornalisti un legame con lui l’abbiamo sviluppato: a differenza dei più, egli risponde alle nostre domande.
Bravura del cardinale presidente
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Già, la bravura e il poco affetto. La figura di Ruini è stata sempre circondata da questo alone di politicismo, di democristianeria, di sottigliezza diplomatica espressa nella sottigliezza fisiognomica e vocale, dal profilo del tessitore di arabeschi più che del profeta tronitruante.
Ma a riguardare questi venti anni di storia della Chiesa e del cattolicesimo italiano c’è da rabbrividire, tanti sono stati gli eventi difficili, le fratture, i disorientamenti latenti o manifesti, i rischi. Al timone c’è stato un prelato di grande intelligenza, che ha retto la barca come meglio si poteva in mezzo a un mare davvero agitato e, soprattutto, indecifrabile e imprevedibile.
Se c’è una cosa su cui ora occorre spingere di più è il progetto culturale, inteso come lo sviluppo di una più marcata attitudine dei cristiani a essere presenti nel campo della cultura, elaborando anche linguaggi nuovi, ermeneutiche diverse, comunicazioni più convincenti, processi più partecipati.
Un altro fronte di impegno che Ruini lascia è una più esigente formazione dei preti (formazione umana e culturale, prima che teologica o filosofica) e forse l’opportunità di alzare un pò il livello medio di un episcopato non particolarmente splendente. Un vescovo non può essere un super-parroco senza l’immediatezza della parrocchia, un fratellone maggiore della diocesi, bonario e cerchiobottista, un semplice amministratore saggio e oculato. A lui sì si richiede il coraggio della profezia, lo slancio dell’iniziativa, il senso radicato dell’implausibilità mondana del cristianesimo, la capacità di inquietare la falsa pace delle coscienze, una visione molto lunga del compito del cristiano. L’ardore apostolico la gente vuole riconoscerlo soprattutto nel Vescovo, che è davvero il presidio dell’unitù e il simbolo stesso della comunione che è la Chiesa.