Bergoglio: “Le misure drastiche non sempre sono buone”

Francesco, che oggi compie sette anni di Pontificato, ha detto stamane prima della messa a Santa Marta che “le misure drastiche non sempre sono buone”. Lo ha detto ai pastori che “devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi”: non è quindi una critica ai governanti ma un invito ai vescovi e ai sacerdoti perchè scelgano con “discernimento” il modo di adeguarsi alle direttive delle autorità. La parola di oggi richiama quella di martedì 10 che invitava i sacerdoti al coraggio di uscire per portare ai malati la “forza” della Parola di Dio e dell’Eucarestia. Nel compimento del settimo anno Francesco si conferma dunque come un Papa scomodo: sulla Cina, sull’Islam, sull’Amazzonia, sui migranti, sulla chiusura delle chiese e nelle chiese nei giorni del Covid-19. Nel primo commento il testo mattutino del Papa, sul quale poi tornerò nella lunga giornata dell’#iorestoincasa.

9 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Parole del Papa prima della celebrazione a Santa Marta: In questi giorni ci uniamo agli ammalati, alle famiglie, che soffrono questa pandemia. E vorrei anche pregare oggi per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone, per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera.

    https://www.vaticannews.va/it/papa-francesco/messa-santa-marta/2020-03/papa-francesco-messa-santa-marta-pastori-misure-drastiche.html

    13 Marzo, 2020 - 8:51
  2. Centofanti Giampaolo

    Vangelo 14 marzo 2020 Il figliol prodigo: una sintesi dei vangeli
    Lc 15, 1-3.11-32

    In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
    «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
    Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
    Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

    Talora qualcuno può lamentare di sentire Dio lontano e non di rado le risposte che gli possono venire indicate sono di fidarsi anche nell’aridità, magari di pregarci sopra, e via dicendo. Ma le vere cause di questa difficoltà possono essere svariate. Può far riflettere ricordare certe riflessioni non così lontane nel tempo sul soffrire o meno di Dio con noi. Certi dibattiti teologici erano vissuti appunto in una logica a tavolino. Tra l’altro questa minore attenzione ad una vita vissuta spiritualmente, umanamente, alla sequela di Cristo poteva finire per lasciare in varia misura in un angolo il rapporto fontale con lui, con il Vangelo. Nel Vangelo vediamo proprio che Gesù afferma che chi vede lui vede il Padre. E Gesù manifesta di vivere, nei Vangeli, tanti sentimenti. Ma Gesù descrive anche direttamente un Padre con il cuore tenero, pieno di sentimenti. Nel quindicesimo capitolo di Luca, al versetto 7, Cristo rivela che: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione». Qui vediamo che il cuore di Dio accompagna con amore la vita reale di una persona mentre la logica astratta vive un freddo, formale, rispetto delle regole. Sempre in Luca 15, ma al versetto 20, vediamo il commuoversi nelle viscere del Padre al ritornare del figliol prodigo. Come sentire Dio vicino se vengo in varia misura orientato a vederlo come un primo motore immobile, o come una specie di computer dalle risposte e dai giudizi prefabbricati? Queste visuali poi si possono riverberare e a loro volta venire influenzate dal modo di essere dei propri genitori. Ho visto persone adulte piangere per aver finalmente trovato la via di un autentico essere sé stesse e anche un rinnovato rapporto con i genitori proprio scoprendo un Dio di amore umano. Mentre l’amore da parte dei genitori, ora tendenzialmente compreso nel suo bene e nei suoi limiti, poteva avere aspetti di rigidità, di inconsapevole ricatto affettivo… L’uomo può cercare sé stesso rifiutando regole proposte meccanicamente ma finendo dal lato opposto di una libertà sì ma senza riferimenti interiori adeguati. Che aiutino una graduale, personalissima, autentica maturazione. In questa fuga dalle astrazioni il nostro giovane finisce per andare ad incollarsi (= testo originale) ad uno degli abitanti della regione. Se non trovo la via dell’amore che mi aiuta a crescere con comprensione finirò in false libertà e vere dipendenze. Finché non trovo, per grazia, il Padre troverò, come quel ragazzo, solo padroni. Proprio la parabola del figliol prodigo mostra, già nelle traduzioni, le possibili letture moraliste che si possono dare anche di essa e quello che invece può emergere dal racconto stesso. Tipico esempio può riscontrarsi dove si afferma che il figlio minore quando ha deciso di tornare si è pentito, mentre tale ripensamento è appena germinale e ancora denso di interessate ambiguità (cfr Lc 15, 17-19). Il giovane tra l’altro vede i servi (termine nei Vangeli di altissimo significato spirituale) come dei lavoratori salariati. Il moralismo, l’astratto formalismo, comportano facilmente la logica del do ut des, dello scambio affaristico. Come scoprire, liberare, su queste vie, la propria umanità, i propri sentimenti? Tali tendenze possono spingere una guida al burocratismo, al non esporsi, ad un donarsi meno umanamente attento. Al punto che ciò può appunto sembrare normale in un pastore. Una lettura moralistica può percorrere tutta la parabola in questione. Il figliol prodigo, si ritiene, pecca perché si allontana dal Padre. Il moralismo orienta anche a visioni materiali, meno spirituali e al fare noi meccanicamente, non a puntare sulla grazia. Quando il figlio chiede al Padre la parte che gli spetta si traduce spesso dal testo greco originale (cfr Lc 15, 12) che il giovane rivendica la propria quota di «patrimonio». Ma forse il termine può indicare anche la parte di natura, di vita, che gli spetta. Il ragazzo sta – mi pare un’interpretazione possibile – cercando una vita libera, non costretta da scelte non autentiche. E poco si osserva anche che il Padre, pur se con sofferenza, trepidazione («spezzò la vita per loro», si potrebbe leggere nel testo originale invece che «divise le sostanze tra loro»), lascia andare il figlio senza dire una parola in contrario. Sembra che il padre comprenda che il figlio ha bisogno di maturare liberamente senza condizionamenti forzosi. Il padre lo vediamo vegliare con tutto il cuore sul ritorno del figlio ma sempre sul limitare massimo oltre il quale il suo amore, il suo aiuto, diverrebbe invece invadenza (cfr Lc 15, 20). Invece il padre non tace, esce a chiamare il figlio maggiore che non vuole partecipare alla festa per il ritorno del fratello (cfr Lc 15, 28). Ciò può mostrare che nella vita di quest’altro giovane è giunto il momento, anche la situazione ad hoc, per poter ricevere una nuova grazia, una nuova illuminazione. Il suo rifiuto dunque potrà divenire una consapevole chiusura del cuore verso il padre, verso il fratello, verso la comunità… Freddezza, solitudine, rigidità, schematismi, materialismo, pragmatismo, rischiano di divenire l’abito stesso della sua vita. Anche in questa parabola così centrale è forse possibile vedere come Dio accompagna con amore, ben al di là di schemi prefabbricati, con misericordia senza condizioni, il cammino personalissimo di ciascuno. Una lettura, da parte di una guida, moralistica, variamente centrata su uno schematico fare o non fare dell’uomo, può talora cercare meno di cogliervi tante possibili sfumature del cuore di Dio e di quello di ciascuna persona. Potendo togliere, non aiutare, la vita. Il moralismo, il formalismo delle regole astratte, possono rendere dunque più difficile una profonda liberazione del cuore. Questa gabbia di esteriorità nello stesso tempo in cui può apparire, come osserva san Paolo (cfr Col 2, 20-23), di un’austera religiosità può ostacolare la profonda penetrazione dello Spirito in tutta l’umanità dell’uomo. Si può diventare in varia misura freddi, distanti, giudicanti, schematici e in realtà ancora legati a sé stessi, all’emotività, proprio perché possiamo non venire più pienamente liberati, vivificati, dall’amore autentico di Dio. È la “sclerocardia”, il vario ingessamento del cuore. Questa umanità riduttiva e frammentaria può toccare tante possibili abitudini pastorali, come l’approfondire poco certi aspetti vissuti dell’amicizia. Può accadere che persone si avvicinino alla parrocchia anche cercando amicizia ma non vengono aiutate in questo senso. Talora o si propongono dinamiche di incontro umano troppo artefatte, astratte, che non reggono a lungo, oppure si lascia il campo agli atteggiamenti individuali, senza perseguire, come persone specifiche e come comunità, certe situazioni concrete che possano favorire naturalmente l’amicizia. E l’amicizia, tanto più vissuta in una comune ricerca di Dio, può far rinascere le persone. Il figlio maggiore tornando dai campi non sente, come viene spesso tradotto, la musica e le danze ma le sinfonie e i cori (comunione, amicizia) e domanda ad uno schiavetto (ecco come a sua volta lui vede i servi, con superiorità e autoritarismo) che roba sia. La logica astratta, lo spiritualismo, non aiutano come invece può sempre più aiutare il maturare in un discernimento del cuore. In questo brano il Padre sorprende sempre nel suo agire: la Parola di Dio quando gradualmente apre, per grazia, un varco non nell’anima, non nella ragione astratta, ma in tutta l’umanità dell’uomo allora si manifesta in modo sempre nuovo. Il mistero di Gesù, del suo vivere, discernere, per esempio nei vangeli, è tutto con stupore da scoprire, anche fra migliaia di anni lo sarà. E dunque può scaturirne anche in questo senso qualche sereno stimolo per qualche guida: come mai nella Parola trovo sempre le stesse cose? E di qui: come mai ho già inquadrato tutto della vita, delle persone?

    13 Marzo, 2020 - 14:34
  3. Fabrizio Scarpino

    Caro Luigi.

    Leggo sulle news on line che le Chiese romane sono state riaperte.

    13 Marzo, 2020 - 14:56
  4. Amigoni p. Luigi

    Rif. 8.50 – Misure drastiche: non facili

    Dal contesto si può dedurre che le misure drastiche non sono facili da prendere
    e da gestire. Perciò occorre discernimento. Non mi pare che volesse dire che le misure drastiche sono sbagliate.
    Diamo atto che l’infallibilità pontificia e la sapienza pastorale del papa non gli evitano un “italiano imperfetto” nei dettagli e nelle sfumature, Gli occorreranno almeno sette anni ancora per il perfetto possesso della lingua del “bel paese”.

    13 Marzo, 2020 - 15:51
  5. Leonardo Lugaresi

    Veramente il cardinal vicario ha detto, anzi ha scritto nero su bianco che le misure drastiche non sempre buone lui le aveva prese in accordo, cioè quantomeno con l’assenso se non per impulso, del suo superiore. Sicuri che sia da scartare l’ipotesi che quest’ultimo abbia ripetuto in questa occasione la stessa mossa già fatta, ad esempio, con il cardinale Sarah (sulla liturgia) e con il cardinale Burke (sull’ordine di Malta)?

    14 Marzo, 2020 - 10:16
  6. Centofanti Giampaolo

    La fede al tempo del coronavirus

    La società della tecnica, delle soluzioni solo tecniche, del pensiero, persino del filantropismo, omologati. Tutto ciò è costretto a rallentare, quasi a fermarsi, in questo momento drammatico. Ci si riunisce nelle famiglie, negli istituti religiosi. C’è tempo per pregare. Non si può fare molto. Ma pregare non è la sorgente, se attinta sinceramente, ossia col cuore poi che si lascia portare da Dio verso i fratelli?
    Ognuno può pregare con semplicità, come può, quanto può, senza forzature. Anche un solo “aiutaci” è un seme di grazia potentissimo, che crescerà. Le distrazioni involontarie non tolgono nulla alla preghiera. Essa invece porta frutto se apre il cuore a Dio ed in Lui agli altri. Si può pregare in mille modi, ognuno trovi con semplicità il suo. Le prime cose che Gesù suggerisce, dona, circa la preghiera sono la sincerità (prega in camera tua, insomma non per costume sociale, mero formalismo), una germinale fiducia (più che di camera Egli parla di dispensa) e la semplicità (non sprecate parole, pensando di venire ascoltati a forza di parole). Si può pregare in mille modi, ognuno trovi con semplicità il suo. C’è chi prega leggendo un libro di spiritualità o la storia di un santo o il vangelo del giorno col commento. Nel vangelo troviamo la fede, l’amore, di Gesù. Che la grazia non finirà di farci scoprire nelle sue mille sfumature. E la Parola è un seme che cresce in noi e ci porta con amore in un cammino personalissimo, ben al di là degli schemi, verso il suo compimento. Viviamo con semplicità ciò che ci fa maturare. Passiamo dal capire col cervello e fare col volontarismo alla fede. Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Questa è l’opera di Dio (più e prima che degli uomini. NdR) credere in colui che egli ha mandato.
    Preghiamo come si può anche insieme, nelle famiglie. Non disprezzate neanche un segno della croce fatto liberamente insieme a tavola. Un ciao a Dio insieme prima di dormire. Un angioletto di Dio pregato con i figliolini all’ora della nanna. Fiumi di grazia scendono in questi momenti. Sentiamo di pregare insieme, in tutta Italia, in tutto il mondo, convocati in modo speciale da Dio in questo tempo. Preghiamo per i malati, per gli ospedalieri, per tutto e per tutti.
    Dio, che certo non causa alcun male ma ci aiuta e ci sostiene sempre, sembra riportarci alle sorgenti semplici e buone della vita. Non da energumeni, né da spazzatura ma con la nostra umanità, di creature, con i loro doni e con i loro limiti. E non è dolce essere creature tra le braccia di un Padre meraviglioso? Uniamoci alla preghiera, alla meditazione, di ogni persona di altra religione, ai sospiri di ogni uomo. Ognuno alla ricerca libera e profonda dei suoi valori e aperti ad imparare da tutti. Per noi cristiani ogni briciolo di verità è un seme di Gesù.
    Un grido sale dell’umanità. Nel testo originale del vangelo delle beatitudini scopriamo che quando afflitti andiamo a piangere da Dio è Lui che ci ha chiamati vicino. Per consolarci, donarci fiducia, mostrarci le vie per le quali con amore infinito ci vuole aiutare. Fa davvero riflettere che questo sia il tempo della quaresima, della preparazione alla Pasqua, al passaggio ad una vita nuova.

    14 Marzo, 2020 - 10:42
  7. Lorenzo Cuffini

    Luigi registra la verità dei fatti.
    Francesco scomodo, e PROVVIDENZIALMENTE scomodo.
    Cosa che da un fastidio insopprimibile a quanti ragionano con i logori schemini del “so tutto mi”.

    14 Marzo, 2020 - 20:21
  8. roberto 55

    Novantacinque minuti di applausi per l’amico Lorenzo.
    Buona domenica a tutti !

    Roberto Caligaris

    14 Marzo, 2020 - 22:37

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