“Papa Benedetto svolge una teologia dell’amore che è audace almeno quanto la teologia del corpo proposta da Papa Wojtyla”: è l’attacco di un mio minimo testo leggibile in Vino Nuovo con riferimento all’angelus di domenica. Per un altro mio testo con analogo contenuto vedi il post del 1° ottobre 2008: “L’amore per i poveri è liturgia”.
Benedetto: “Servire il prossimo è liturgia”
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Fortunatamente Luigi Accattoli ci propone sempre dei temi di discussione sereni ed evevati, ed alza sempre di più l’asticella! Questo tema è veramente difficile. L’unica cosa che mi viene in mente è la figura del diacono tra i membri del clero (vedi San Lorenzo). Ricordo anche la “lavanda dei piedi” e il commento di Eugenio Zolli, che sottolinea apounto il carattere liturgico di questo gesto. Mi viene in mente anche il fatto che i papi del Seicento lavavano i piedi ai pellegrini che giungevano per il giubileo. Ma a quesyo amore sono chiamati tutti, anche i laici. A riscoprire qualcosa in proposito può servire la spiritualità dei Cavalieri di Malta. Insomma, la Chiesa non ha mai cessato di credere a questo valore liturgico del servizio ai poveri (però, caro Luigi, potevi scegliere un tema più facile!)
Tema difficile (almeno per me dell'”ultimo banco”): ha ragione Antonella.
Comunque, sì, forse il nostro Papa tenta una sintesi tra culto e carità: ma, secondo te, Luigi, quali motivi impediscono a Papa Benedetto d’essere più ascoltato ?
Buona notte a tutti !
Roberto 55
Achtung Minen! …
L’argomento è cosa delicata. L’augurio è che si esca dal dualismo di contrapposizione tra “amore di Dio e amore del prossimo”. Vanno di pari passo, sono l’et-et.
Io nel frattempo continuo a sognare una Chiesa (ma sarebbe corretto dire: una gerarchia) più “francescana”…
La ricetta è sempre quella: Preghiera, Comunione, Sacrificio, Apostolato.
Per il resto vi lascio i miei saluti vacanzieri… ci sentiamo ad Agosto…
Flos Carmeli, vitis florigera,
splendor coeli
Buone vacanze, Ubi.
Oggi, poco prima che andassi alla Messa , Lei, proprio Lei in persona, la Madonna del Carmelo, in questo giorno della sua festa, mi ha fatto un dono. Si è servita di un mio amico di San Casciano che è venuto a trovarmi con un piccolo libro per me: un libro che racconta la vita di un Sacerdote che è stato, nella sua vita, importantissimo. E così ho conosciuto Don Gino Gamannossi, “Don Gino, il prete di Decimo”. Se volevo un esempio di “un cuore che vede” e di una vita interamente spesa nella”logica della carità”, una vita che è stata una ininterrotta liturgia, ecco che stasera, leggendo, l’ho avuto. Luigi, forse tu lo conoscevi già, ma mi pare che ogni momento della vita di questo prete straordinario (e amatissimo) sia un “fatto di Vangelo”. Qualcosa su di lui la trovi nel sito http://www.dongino.it/. Posso spedirti il libro, se vuoi. Leggerlo mi ha trasmesso una corrente di gioia.
Arrivava sempre tardi per il pranzo.
” Oh, ma trovi tutti i giorni da chiacchierare per la strada!”
“Se dovessi fermarmi a parlare con tutti coloro che ne hanno bisogno, farei appena in tempo a tornare per la cena”
“Migliaia sono state le persone che sono venute da don Gino per ritrovare la fiducia in se stesse, avere una parola di conforto, riaccendere la speranza…”
“Don Gino! Ma questi ragazzi stanno sul muretto a serate! E si sbaciucchiano anche, vicino alla Madonnina!”
“Lascia fare, meglio lì che a strasciconi…la Madonnina li baderà…”
“La “porta di’ prete” era sempre aperta”
“Dimmi tutto!”
“Allora ti sentivi nudo, ma etremamente a tuo agio, libero e pronto a vuotare il sacco.
Ti ascoltava profondamente…”
(Da “Don Gino, il prete di Decimo. La vita di don Gino raccontata da coloro che l’hanno conosciuto ed hanno vissuto accanto a lui”, San Casciano in Val di Pesa, 2008)
Su Vino Nuovo Luigi Accattoli parla della “grande disputa sulla priorità del culto o della carità” , credo vogli alludere ai contrasti fra i tradizionalisti che lamentano lo smatellamento da parte del Concilio Vaticano II delle vecchie forme liturgiche e gli “innovatori” che hanno visto nello stesso Concilio finalmente l’inizio di una Chiesa più focalizzata sulla carità, sulle opere sociali, concrete a favore dei poveri, una chiesa che nell’aiuto dei diseredati di questa terra, nella lotta contro le ingiustizie sociali e politiche, avrebbe finalmente assunto il vero compito affidatole da Cristo. insomma non “vuote cerimonie” ma fatti concreti di carità…
Ma chiediamoi perchè questa che Luigi chiama disputa sia una disputa che le chiesa antiche non conobbero e che è del tutto particolare della Chiesa moderna.
forse perchè a quel tempo la disputa era più sulla “verità” o ortodosiia e sulla “non-verità” o eresia.
oggi invece è disputa fra” è prioritario il culto o la carità.
a me sembra che questa disputa lasci in ombra la pietra fondamentale, la base da cui dovrebbe partire sia la carità che la liturgia. E cioè che i cristiani moderni coniitundo a discutere se sia meglio la messa pre o post conciliare su la gerarchia ecclesistica o la mancnza di ogni gerarachia e una chiesa comunitaria, radicata nel sociale, sorgente “dal basso”, una chiesa senza dogmi e senza rituali, ma attiva e testimone della carità e dell’amore reciproco, insomma discutendo su tutto questo abbiano perso di vista la domanda fondamentael: ma crediamo veramenti tutti nella stessa verità? Oppure ognuno crede nella sua verità, quella che la sua coscienza gli detta? a uno la coscienza detta che è meglio aiutare i poveri e gli emarginati che partecipare a solenni liturgie, a un altro la coscienza detta esattamente il contrario.
Bnededetto XVI ha riportto l’attenzione sulla questione fondamentae “Caritas in veritate”. ma noi in cosa crediamo? e siamo tutti d’accordo su cosa crediamo? Cioè siamo tutti d’accordo sulla verità? perchè è da qui che bisogna partire. se non siamo d’accordo, se non c’è poiù una verità condivisa , la stessa carità perde ogni valore religioso per ridursi a pura solidarietà umana , che possiamo benissimo trovare in chiunque anche non cristiano (anzi più spesso nei non cristiani!!!)
perchè se non c’è questo primo passo, la frammentazione è inevitabile, la potenza centrifuga farà a pezzetti il millenario edificio centrale, ogni coscienza diventerà capo a se’ stessa, e come si sa ogni capo un opinione L’o pinione , la doxa , dei Greci prenderà il posto della verità…
questa mi pare il vero problema , per non guardare in faccia il quale(poichè non sappiamo ne’ vogliamo affrontarlo), ci trastulliamo su sterili dispute tra liturgia e carità…dispute che nessuno dei grandi Padri del passato, da Agostino a Tommaso, ha mai preso in considerazione.
MC
Vorrei intervenire su quello che dice roberto55, cioè sul perché papa Benedetto sia così poco ascoltato. Indubbiamente i discorsi di Benedetto XVI sono in genere dei complessi testi argomentativi, nei quali non è facile districarsi. In più i media riducono in pillole i suoi discorsi, rendendoli insignificanti o assai settoriali (fanno eccezione, a mio parere, i reportage di Luigi Accattoli e Sandro Magister). Eppure ogni discorso meriterebbe di essere meditato. Ricordate quello dell’8 dicembre 2009?
“Nella città vivono – o sopravvivono – persone invisibili, che ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. E’ un meccanismo perverso, al quale purtroppo si stenta a resistere. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà. C’è invece in ogni uomo il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto.
La città, cari fratelli e sorelle, siamo tutti noi! Ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale, in bene o in male. Nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso! I mass media tendono a farci sentire sempre “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri.”.
Non è bellissimo aver definito “ogni storia umana una storia sacra”? In quel momento, il gossip stava portando in primo piano storie di escort, di transessuali, di drogati ecc. Bisognerebbe trovare più tempo per meditare questi testi.
Non so se all’interno della Chiesa Benedetto sia poco ascoltato. Certamente fuori dell’ambito ecclesiale arriva ben poco di ciò che dice. Credo per due ordini di motivi. Il primo riguarda la drastica semplificazione dei concetti che si attua nei mezzi di comunicazione di massa. Il secondo attiene al fatto che papa Benedetto sconta la diffidenza di quando era il cardinale Ratzinger, conosciuto soprattutto per rigore e durezza, caratteristiche, vere o presunte, che conducono a non ascoltarlo. Devo dire che leggendo i suoi discorsi recenti, e confrontandoli con il periodo precedente o immediatamente successivo all’elezione, sembra esserci un notevole cambiamento. Lo Spirito è al lavoro probabilmente.
Su primato del culto o della carità mi sembra interessante quanto ricorda in questo filmato al minuto 3’20” il caro Giovanni Paolo I.
http://www.youtube.com/watch?v=SLUriTQD0IY&feature=related
Buona domenica a tutti!
L’amore per i poveri e’ Liturgia: bello, persino entusiasmante, ma…
Quante persone si entusiasmano con il Vangelo, sono disponibilissime ad aiutare, servire, soffrire, sacrificarsi per l’altro/per il povero, ma si rompono in fretta le palle a dover assistere a celebrazioni lunghissime con segni “oscuri”, ortodossie varie, prediche da decifrare e tante altre regole “rituali” estranee alla loro comprensione …. E viceversa: quante persone entusiaste e devote nelle celebrazioni liturgiche/sacramentali ma non disposte a dare 5 minuti del loro tempo da condividere con un malato, uno straniero, un povero… Secondo me non e’ una disputa: e’ solo questione di maturita’ cristiana (e umana). E per certo Gesu’ sceglierebbe la carita’ “rituale” che si fa carne, tempo, amore…piu’ che la liturgia molte volte afasica che lascia i cuori inariditi.
L’amore per i poveri e’ Liturgia… Come diceva il vescovo H. Camara, se aiuto un povero mi chiamano santo; se mi chiedo xe’ e’ povero sono subito chiamato comunista. e -detto un po’ grossolanamente- questo e’ stato lo stile di Ratzinger ai suoi tempi. Purtroppo -almeno a prima vista- questa e’ la ragione della “disputa”…: che si faccia pure carita’ con fede; ma che non ci si chieda perche’…
P.S. Grazie Fiorenza per la testimonianza su Don Gino.
Stimolante a riflessione di Discepolo/MC incentrata sulla verità.
L’argomento è tra i più spinosi e controversi basta rileggere il dialogo tra Gesù e Pilato, quando alla domanda di Pilato : cos’è la verità? Gesù non gli rispose.
Ovvio che i piani erano diversi, Gesù parlava del Regno spirituale, Pilato di quello terreno e della quotidianità delle vicissitudini della vita umana.
Ecco il senso del relativo che si affaccia in una questione decisiva delle relazioni umane, causa di scontro tra le persone.
Padre Balducci affermava : “Il vangelo non è una dottrina che vale indipendentemente da chi l’annuncia. Non è una dottrina, ma un annuncio: la sua forza è strutturalmente connessa alla testimonianza. Non è possibile un annuncio di povertà e di pace senza essere poveri e amanti della pace.”
Un esegeta di cui non ricordo il nome osserva a riguardo:
“Non tutte le bocche possono dar voce alla parola di Dio, (anche il diavolo nel deserto usa la bibbia per rivolgersi a Gesù!) non tutti i luoghi o interlocutori possono essere spazio per far risuonare la parola di Dio (in casa di Erode Gesù non disse una parola!) Allora il vangelo è tale solo partendo dalla bocca che lo annuncia, dal luogo in cui viene annunciato e in riferimento alle persone a cui è indirizzato. Penso ad amici, preti e non, che la gerarchia, per la difesa di una verità rigida e statica, ha tagliato fuori dalla comunità. Penso ad Alessandro Santoro, prete delle Piagge, (FI) che da più di tre mesi è sospeso da ogni incarico senza che gli sia stata offerta nessuna prospettiva. Penso a Jon Sobrino di qualche anno fa… Ma quale verità si tratta di difendere? Quando Pilato si trovò davanti a Gesù e gli chiese: “che cos’è la verità?”, lui non gli rispose, perchè la verità non è una “COSA”. La verità è ciò che nasce da una relazione da cui ci si lascia coinvolgere. Fare la verità, era l’espressione che Gesù amava.”
Penso che la verità debba essere necessariamente un processo di condivisione derivante da una ricerca comune, dalla negoziazione tra il mio senso dell’”assoluto” e quello del mio prossimo.
A mio avviso non si danno verità o certezze assolute, se non quella della morte.
Fiorenza mandami, se puoi, quel testo su don Gino. Ognuno che incrocia storie di vita evangelica me le mandi come può. Per e-mail, con un link, per posta nomale, per aereo e per mare, in canoa lungo i fiuni e sotto i tir, legate alle zampette dei piccioni o dei gabbiani che sanno sempre trovarmi.
Vangelo, Verità,carità: una rimanda all’altra. Il Vangelo non è un testo letterario da comprendere intellettualmente a “tavolino”, invero è una miniera di potenzialità che si traduce in “atto”. Una luce la cui scia, illuminando i secoli arriva a noi dopo migliaia di anni sprigionando delle Verità, quasi che il tempo strappasse al Vangelo la sua luce. Il più grande tradimento che si possa fare al Vangelo, e quindi alla Verità, è renderlo astratto, staccarlo dalla vita,dall’amore: rendere ciò che dice “impossibile”. Quanti settori della nostra esistenza abbiamo, forse inconsciamente, per istinto di difesa magari, sottratto all’influsso della Parola del Cristo disinnestandolo dal Vangelo e rendendo quindi quelle Verità “flatus vocis”, accantonate perché troppo ardue, coinvolgenti e terribilmente compromettenti? Accade quando vi è troppa religione e poca, pochissima fede! Inutile girarci intorno, dire belle parole, la Verità che ci presenta il Cristo è crocifissa, mai applaudita, presa a sassate più che accolta trionfalmente, inchiodata, mai brillante o invitata alle cene e ai salotti. Di fronte al Vangelo e alla Verità c’è una sola alternativa: la croce o i sassi. Coloro che pretendono staccare la Verità dalla croce diventano il commedianti della verità non i testimoni….
Io ritengo questo papa un testimone della Verità, un uomo che per la Verità non ha esitato a farsi lapidare e crocifiggere!
“Servire il prossimo è liturgia”; questo mi conforta. Pensavo di passare questa assolata domenica girando per i blog e divertendomi, ed invece sono stata “sequestrata” da un’amica che si sente sola, e sono dovuta strare a pranzo tre ore, ed anche mangiare le quaglie che non mi piacciono! Spero di sentirmi dire nel giorno del giudizio: “Avevo bisogno di compagnia e sei venuta a pranzo da me”. (Sì, lo so che penserete tutti che sono una insopportabile individualista, ma in fondo anche Seneca diceva che il tempo è il nostro possesso più prezioso e personale).
Come ti capisco Antonella cara. E’ successo anche a me e non più di due giorni fa per cui, ho ancora vivo nellla mente il tragico ricordo e magari le quaglie [per quanto di quei minuscoli uccellini dal sapore selvatico non disdica se non le coscine] mi son sorbita un pranzetto ben più cruento del tipo: stracciatella in brodo di gallina, grasso, bollente, e assolutamente insipido, in una stanzetta esposta a mezzodì senza condizionotore né uno straccio di ventilatore con 41 gradi all’ombra. Mentre, rischiando un collasso apoplettico ingurgitavo con finto nonchalance, il rovente schifosissimo liquido ripetevo tra me e me : “tutto per amor tuo Signore, per amor tuo..! ”
Eh…mio Dio! Cosa non si fa per amor di carità!
In realtà, quel pranzo tanto anomalo è tutto quello che ha potuto offrirmi l’anziana signora, un tempo amica di mia madre che chiamo ancora zia, la quale vive con una pensione da miseria. Quel quarto di gallinella comprata al centro commerciale con cui ha sapientemente imbastito finanche la pietanza offrendomela fredda in un trionfo di lattuga era tutto quanto potesse darmi, tutto! Di quei quattro soldi, dopo aver pagato affitto luce e gas, non resta nulla e il suo desinare si riduce ad una tazza di latte. Non ha figli, è sola completamente. Una delle tante che si trova in queste miserabili condizioni nell’indifferenza della società. Ogni volta che vado tolgo le piccole ragnatele dal frigo, l’immmancabile zampetta di sedano – che come la vita di zia Adriana e dell’enorme esercito di anziani- è li che “oscilla tra il dolore e il nulla [in questo caso Schopenhauer mette davvero il dito nella piaga] e le riempio il frigo di ogni ben di Dio.
A quel punto mi sento bene, in pace. Ma quel bene e quella pace mi inquieta e mi interroga: cos’è la carità? Non certo beneficenza. E se fosse un mero desiderio di stare a posto con se stessi? San Paolo dice che potremmo dare anche il corpo alle fiamme per il prossimo eppure non possedere in cuore la carità? Dunque esiste una finta carità, perciò sono alla ricerca della Verità e non mi soddisfa la risposta per cui è dono soprannaturale infuso da Dio nell’anima nostra. Credo che la carità racchiuda un grande mistero, inspigabile, insondabile come lo è Dio stesso..
Può sembrare che non c’entri (e che sia solo una puntata del mio personale bolletino di guerra contro le malefatte del traduttorino della CEI), ma ieri a messa ho sentito che Abramo, per imbastire il suo pranzo a quei tre, diceva a Sara “presto, prendi tre sea di farina ecc. ecc.”. Tre sea di farina, ma vi rendete conto? Il traduttorino in clergyman, siccome è progressista, ha inutilmente cambiato tante parole della precedente traduzione solo perché gli parevano appena un po’ sostenute, correndo “democraticamente” verso la banalità di quello che a lui sembra linguaggio quotidiano; però, siccome è intimamente elitario e con la puzza sotto il naso come tutti i progressisti e il popolo non sa neanche cosa sia, non poteva non far sapere che lui ha un dottorato in merceologia semitica antica e quindi ecco i tre sea di farina.
Alla faccia della “zia” di Clodine e del suo quarto di pollo.
Forse anche nel mettere in pratica la carità ci dobbiamo rendere conto che siamo comunque “servi inutili”. E poi dobbiamo anche accettare la carità degli altri. Forse fanno un grande sforzo a sopportarci … Carità grande è stata quella della mia amica delle quaglie, che per ventitrè anni ha assistito in casa la suocera in carrozzella, accendendendole il camino anche d’estate, pettinandola e ritoccando i capelli bianchi, tenendo tutte le notti la porta di camera (sua e del marito) aperta perché non si sentisse sola … Veramente la carità ha una grande fantasia e non cessa mai di stupire quando viene dal cuore.
Insomma “va’ dove ti porta il cuore”, slogan facile, semplice, amato da tutti , soprattutto le donne, ma profondamente FALSO.
peccato che la ragione, il giudizio, l’intelligenza , siano così scacciate da ogni opera caritatevole.. ma forse non è per questo che dopo decenni di carità all’Africa, l’Africa sta peggio di prima?
senza cervello, il cuore, dovunque ti porti, ti porta lontano dalla verità.
MC
Qualcuno diceva che il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce. Ma anche “discepolo” ha le sue ragioni …
Qualcun altro diceva che il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualcosa da dire su quel che accadrà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.
«Tu hai ferito il mio cuore, tu sorella mia, mia sposa, tu hai ferito il mio cuore”, recita accorato il protagonista del “cantico dei cantici”. E’ vero che il cuore viene ferito, che è vulnerabile. Per tutto il mese di giugno ho riflettutto sul perché Cristo sia stato ferito al cuore. Rifletto sovente su quel cuore ferito e reso impotente dall’amore, su quel fianco aperto,quel varco indifeso attraverso il quale il nemico, o colui che credevamo amico, l’amato, irrompere ferendoci a tradimento malgrado noi e i nostri paletti sistemati a regola d’arte dalla ragione. Chi ha sofferto per amore sa! Si sperimenta il vuoto, lo stesso che provò Cristo mentre moriva..chissà… forse Dio è presente proprio quando ci mettiamo in gioco e veniamo feriti al cuore..E’ una logica un po’ strana per noi che siamo abituati a leggere nella sofferenza l’assenza di Dio.
Gesù aveva risposto a Pilato prima ancora che questi gli facesse la domanda:
“Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.
Caro Leonardo,
scrivi “Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto”…. Eh no! Il cuore sa, eccome se sa! Sa cosa realmente desideriamo, cosa ci appassiona, dove andiamo a finire, …. E tutto questo nel bene e nel male. Purtroppo! Cio’ che realmente, profondamente, vuoi, desideri, cerchi…lo troverai! E questo il cuore lo sa, lo sa molto bene!
Leonardo: “Può sembrare che una puntata del mio bolletino di guerra contro il traduttorino della CEI”. Solo un malevolo potrebbe pensarlo.
A Mabuhay: l’ironia sul cuore era solo una citazione manzoniana, La mia preferita, comunque, è: «Al cuore, Ramon, al cuore!», da “Per un pugno di dollari”.
A Luigi: in effetti tra me e il traduttorino (ovviamente inteso come ipostatizzazione di una certa mentalità) c’è inimicizia, anche perché le sue trovate hanno spesso il potere di mettermi di malumore e di distrarmi nel seguito della messa. Però mi raccomando, la prossima volta che vai al mercato, chiedili tre sea di farina e poi facci sapere …
(Se il Santo Padre volesse occuparsi anche dei delicta leviora, suggerirei umilmente che al traduttorino fosse inflitta la pena di potersi nutrire solo con cibi acquistati a sea.)
Concordo con Leonardo: è inutile affannarsi con nuove traduzioni, che disorientano spesso i fedeli. Si pensi anche al “Rallegrati, Maria”, che sicuramente traduce meglio il greco “chaire”, ma che non è gran che capito. Questi scavi sui testi greci ed ebraici dovrebbero servire, secondo me, a spiegare meglio il testo, ad approfondire la vecchia traduzione. Tradurre in modo diverso qualche volta serve solo ad “allarmare” il fedele. Si pensi anche a “Non ci indurre in tentazione” del Padre nostro. Il testo greco, diceva il mio amico (laico e intelligente) Oreste Tappi dovrebbe essere tradotto con “non ci mettere alla prova”. Ma, piuttosto che cambiare il testo, è meglio spiegarne il significato: penso che i fedeli comprenderebbero meglio, e non sarebbero disorientati dai vari annunci di nuove interpretazioni (per lo più, anche, enfatizzati dai media). E poi i vecchi traduttori non erano così sprovveduti! Si pensi alla “gigantesca” preparazione linguistica di san Girolamo (e al fatto che, al suo tempo, le lingue in questione erano ancora parlate).
Dato che si parla di “liturgia” non è (credo) fuori posto: ritengo che le “sea” di farina siano il massimo dell’incredibile: le nuove traduzioni non volevano avvicinare la lingua della scrittura a quella parlata e intesa oggi? Diciamo che il vezzo di cambiare è qui, appunto, un vezzo.
Mi potranno seppellire di dotte disquisizioni e di tonnellate di note a piè di pagina, ma un vezzo è e tale resta. Per me mostra anche il vizio di fondo dell’operazione, evitare che le parole sedimentino e quindi cambiarle sempre, il contrario del vecchio San Girolamo. Ma forse sono solo un malpensante…
Quekko che secondo me è il grande errore della nostra epoca è quello di fare della religione una questione di “cuore”. neppur Pascal lo faceva. certo che ha detto che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Ma non ha mai fatto dell’emotività la base del suo credere.
se si parla di cuore , le persone più buone che abbia mai conosciuto NON sonocattioliche e fra le persone cattoliche che ho conosciuto ce ne sono veramente cattive.
I cattolici credono di avere l’esclusiva della bontà e dell’amore , ma non è così.
i cattolici si figurano di essere tanti san Francesco o santa Teresa , ma non è così. I cattolici non sono più buoni degli altri.
fr gli atei ci sono persone di una bontà e caritatevolezza meravigliosa, ancora più ammirevole perchè non credono di avre alcuna ricompensa nell’eternità o alcun merito particolareLa verità della religione cristiana deve essere riconosciuta dalla ragione. se non lo è, se la religione si dimostra assurda e falsa , contraria all’intelligenza, il cuore serve a ben poco. Ci sono perosne buonissime e caritatevolissime che credono a SHIVa o a Visnu, o a Pinco pallino ….e tra i supercattolici ci sono delle vere carogne.
Però è anche vero che secondo Cicerone (non mi ricordo se nel De officiis o nelle Tusculanae) c’era il dovere di aiutare il prossimo in tre cose: 1. dare un tizzone di fuoco per accendere il focolare; 2. dare un bicchiere d’acqua; 3. dare un buon consiglio. In questo modo, diceva Cicerone, farai del bene senza perdere niente. Se darai un tizzone del tuo fuoco, non per questo esso si spegnerà; un bicchiere d’acqua non prosciugherà la fonte; un buon consiglio non costa nulla. Poco più di cinquant’anni dopo erano enunciati principi ben diversi …
Un francesista, avendo a tradurre “ca me soulève le coeur”, tradusse: “questo mi solleva il cuore”.
(Da “Il primo libro delle Favole” di Gadda, favola 160)