Torno sul discorso a braccio fatto dal papa ai vescovi svizzeri il 9 novembre: si presta al mio progetto di mostrare la forza di parola di Benedetto XVI (vedi post del 12 giugno e del 19 ottobre). Quel discorso l’ho lasciato posare dentro di me e ora lo riprendo in alcuni post, nei passaggi più vivi. – Il papa innanzitutto si scusa di parlare a braccio. Noi guardiamo alle parole che improvvisa come a una buona opportunità per entrare nella sua veduta e lo stesso – possiamo immaginare – sarà stato per i vescovi che l’ascoltavano. Ma egli si rammarica di non aver avuto il tempo per una riflessione compiuta, che comporta lo sbocco nella pagina scritta: “Vorrei chiedere scusa anche per il fatto che mi sono presentato già nel primo giorno senza un testo scritto; naturalmente, un po’ avevo già pensato, ma non avevo trovato il tempo di scrivere. E così anche in questo momento mi presento con questa povertà; ma forse essere povero in tutti i sensi conviene anche ad un Papa in questo momento della storia della Chiesa”. – Qui la povertà reale – cui allude quella simbolica della mancanza di un testo scritto – è l’assenza di una risposta soddisfacente alle necessità vissute oggi dalla Chiesa: diminuiscono le vocazioni, cala la pratica, scemano i battesimi e la natalità, si indeboliscono i matrimoni: che fare? “Non lo so” aveva detto ai vescovi tedeschi nell’agosto del 2005 a Colonia, e lo stesso dice ora in sostanza agli svizzeri. La povertà del trovarsi senza discorso allude alla mancanza di risposte sicure, tipica dell’oggi della Chiesa. – In questa richiesta di scuse troviamo anche la spiegazione del perchè il povero papa senza risposte non abbia potuto sopportare che si desse per pronunciato il discorso che il 7 novembre, ad apertura della visita dei vescovi svizzeri, per errore la Segreteria di Stato aveva trasmesso alla Sala Stampa (vedi post dell’8 novembre). Quel testo era sì scritto, ma non era affatto portatore delle risposte tanto attese. E non solo: in esso non era espressa la consapevolezza della povertà di risposte. Una consapevolezza che Benedetto avverte come possibile punto di partenza per la preghiera e la riflessione. Se c’è coscienza della povertà, egli viene a dire, siamo almeno nella verità.
Benedetto: “Forse essere povero conviene oggi al papa”
8 Comments
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Che bel commento! Forse si può aggiungere solo che la povertà, accettata con amore, è la vera forza del cristiano: “quando sono debole è allora che sono forte”.
Questo vale anche per tutti quelli che si lamentano perché il papa non prende questo o quell’altro provvedimento, non fa questa o quell’altra riforma, questa o quell’altra nomina. Certo, la chiesa va governata, ma prima viene la posizione di fede. Se dicessimo che tutto l’impegno di Benedetto XVI è volto ad aiutare tutta la chiesa (cioè anche noi) ad assumere la posizione giusta?
Il Papa è un uomo modesto,sobrio,essenziale.
Non ama i fronzoli e soprattutto detesta i discorsi preconfezionati pieni di tante parole vuote che girano intorno agli argomenti senza dire nulla o che ripetono sempre gli stessi concetti senza approfondirli.
Ecco un esempio di stile di Papa Ratzinger(c’entra poco con il nostro discorso ma dà la cifra dell’uomo Benedetto).
Joseph Ratzinger non ha particolari predilezioni, ma di recente gli è stato regalato un orologio Piaget. Quando gli è stato spiegato che apparteneva a una rinomata marca, Benedetto XVI, con garbo, ha osservato di conoscere solo Jean Piaget, celebre studioso franco-svizzero di psicologia e filosofia che ha incrociato nei suoi studi.
La segreteria vaticana ha provveduto a far recapitare l’orologio alla gioielleria Rocchi, tra i vicoli di Borgo Pio, dove lavora la famiglia di artigiani che da secoli riparano orologi di papi e cardinali del Vaticano. Unico intervento: la sostituzione del cinturino con uno bianco di poco valore. Ratzinger, da tedesco, aveva raccomandato solo la puntualità.
(letto sull’Espresso).
Saluti MG
Queste parole del Papa non sono da sottovalutare. Come in altre occasioni (a cominciare dal suo inaugurale “sono un umile lavoratore nella vigna del Signore”), non ha paura di presentarsi con una immagine di modestia. Questo stile mi sembra assai in contrasto con tante rappresentazioni trionfalistiche della Chiesa cattolica e del suo pastore che lo raffigurano come se godesse di una infallibilità assoluta, detentore di tutte le risposte a tutte le domande. Di riflesso, la Chiesa (e cioè le sue guide) viene presentata come se fosse sempre al di là di ogni errore e di ogni critica. Questa è una retorica ampiamente usata nella discussione pubblica per tagliare le gambe a ogni confronto e a ogni divergenza di opionioni.
Tanti commentatori, anche cattolici, infatti non danno spazio a parole di questo genere.
La verità che ci assiste è la fede donataci dallo Spirito, nonostante i nostri dubbi e le nostre manchevolezze, che non si traduce nel possesso automatico della soluzione a ogni problema umano. O vogliamo fare a meno della croce e del silenzio del sabato santo (di cui la vita è tanto spesso piena)? La fede è lotta continua (il buon combattimento di Paolo) e ci chiede anche di assumere la responsabilità di fare delle scelte, mentre sarebbe più comodo avere qualcuno che decide per noi in forza di una sua infallibilità.
Mi sembra che questa disarmante impotenza sia il vero problema che i cattolici oggi si trovano di fronte, e anche questo blog ne è un esempio.
Da un lato siamo bravissimi ad analizzare, a criticare (nel senso più pieno del termine), a mettere in evidenza la crisi della società e dell’uomo di oggi e ad individuarne la cause.
Dall’altro sappiamo bene quale è la risposta a questa crisi, cioè l’adesione e l’abbandono fiducioso al Vangelo. Non è che la Chiesa non ha la risposta soddisfacente alle necessità del mondo. La risposta è sempre quella, Via, Verità e Vita non sono cambiate.
Quello che non riusciamo a fare (o meglio quello che non riesco a fare io nella mia realtà quotidiana) è come far “sentire” questa risposta, come essere sale e lievito, come far capire che il messaggio evangelico non solo non è superato, ma non ha alternative.
Di fronte ad una umanità che di fatto e di principio vive nell’assenza di Dio e che chiama con ostinazione il bene male ed il male bene, spesso viene la tentazione di lasciar perdere e di tenere per sè la buona novella, lasciando che il mondo segua la sua corsa verso il vuoto, senza renderci conto che di questa corsa facciamo parte anche noi e ne veniamo comunque travolti.
Spesso ho la tentazione di pensare che ormai abbiamo superato il punto di non ritorno e che sia troppo tardi per frenare questa folle corsa.
Forse non abbiamo abbastanza fede per poter contagiare gli altri. Speriamo che, come ha detto Gesù, prima o poi le pietre si mettano a gridare al nostro posto.
Vi chiedo scusa per questa mia riflessione così confusa, ma l’ora è tarda.
Ciao
Fabrizio
Ringrazio Fabrizio perché ci stimola a fare un salto di qualità nella conversazione di questo blog: dallo scambio di opinioni alla messa in comune delle esperienze. Come fare a “far sentire” agli altri quella risposta che è Cristo? Credo sia una domanda che ci poniamo tutti. Posso solo dire che quello che convince me, e mi conferma nella fede, è vedere altre persone la cui vita è resa diversa dalla fede, cioè dei “testimoni”.
Cari Christian, Fabrizio e Leonardo: come “mostrare” al mondo la “grandezza” del cristianesimo è l’argomento centrale di quel discorso di papa Benedetto, che riprendo due post più avanti, sotto il titolo “Sperimentare e mostrare la grandezza della fede”. Saluti, Luigi
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Benvenuto a Gilbert! Ora puoi dire la tua, Luigi