“Dio è papà, più ancora è madre” ebbe a dire papa Luciani in uno dei quattro “angelus” del suo veloce pontificato. Benedetto condivide ma afferma che comunque Dio lo dobbiamo chiamare “padre” e non “madre”, perché il linguaggio della preghiera dev’essere quello della Scrittura: ne parla nel libro su Gesù (vedi post del 21 giugno) a proposito del “Padre nostro”. “Dio non è anche madre?” si chiede e risponde positivamente citando Isaia 49,15 e 66,13 (“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò”), afferma che “il paragone dell’amore di Dio con l’amore di una madre esiste” e conclude:
“Se nel linguaggio plasmato a partire dalla corporeità dell’uomo l’amore della madre appare inscritto nell’amore di Dio, è tuttavia anche vero che Dio non viene mai qualificato né invocato come madre, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. ‘Madre’ nella Bibbia è un’immagine ma non un titolo di Dio”. Il perché “solo a tastoni possiamo cercare di comprenderlo (…), ma anche se non possiamo dare delle ragioni assolutamente cogenti, resta per noi normativo il linguaggio della preghiera di tutta la Bibbia, nella quale, nonostante le grandi metafore dell’amore materno, ‘madre’ non è un titolo di Dio, non è un appellativo con cui rivolgersi a Dio. Noi preghiamo così come Gesù, sullo sfondo della Sacra Scrittura, ci ha insegnato a pregare, non come ci viene in mente o come ci piace. Solo così preghiamo nel modo giusto” (pp. 169-171).
(Continua nel primo commento a questo post)
(Segue il testo del post)
Queste parole del papa teologo sono di aiuto a intendere la direttiva che ha fatto diramare il novembre scorso – con lettera del cardinale Arinze alle conferenze episcopali – perché nella formula della consacrazione del calice contenuta nel “messale romano” si torni ovunque alla dizione biblica letterale “versato per voi e per molti” che in molte traduzioni nelle lingue moderne – compresa quella italiana – è stata sostituita dopo il Concilio con l’espressione interpretativa “per voi e per tutti”.
Ho appena incontrato il prete libraio Gino Belleri che – a proposito della direttiva sulle parole “per voi e per molti” – mi dice: “Il papa è un teologo e avrà le sue ragioni, ma a mio parere non dovrebbe andare così nel particolare, specie quando anch’egli si mostra convinto delle ragioni di chi ebbe a decidere un’innovazione che ora invita a cassare. Nell’omelia dell’ultimo Corpus Domini trova il modo di ripetere addirittura sei volte che il dono dell’Eucarestia ‘è per tutti’. Se questo è il senso delle parole di Gesù perché impuntarsi sulla loro resa filologia?” Qui è il punto decisivo per comprendere l’atteggiamento di papa Benedetto, ho risposto al caro don Gino: il sangue è versato “per tutti”, ma la parola biblica che i Vangeli mettono in bocca a Gesù è “polloi”, divenuto in latino “multis” e dunque si deve stare al testo, che va considerato “normativo”. Quel “polloi” vale “i molti”, cioè “la moltitudine” (così suona la traduzione francese, che non verrà cambiata: “pour la multitude”) e dunque il papa predicatore fa valere questo concetto, ma il papa liturgo vuole che si stia fermi al testo biblico, perché “noi preghiamo come Gesù ci ha insegnato, non come ci piace”. Analogamente: è vero che Dio è anche madre, ma noi lo dobbiamo chiamare “padre” (qui il bersaglio sono le rivendicazioni femministe di un linguaggio che non connoti mascolinamente Dio) perché così lo chiama Gesù nel “Padre nostro”. Luigi
Caro Luigi, continuo a pensare che sarebbe stato meglio lasciare la dicitura per tutti, infatti al di là dei testi, mi ricordo un bell’articolo di Enzo Bianchi sul rischio della fede, “le definizioni linguistiche della verità non sono la verità stessa, ma restano nell’ambito della ricerca della verità e non possono essere considerate che accostamenti, approssimazioni, (sempre culturalmente segnate e influenzate, e perciò delimitate e prive di qualsiasi pretesa di assolutezza), alla verità, ma non assolutizzano nè la verità nè Dio”
Preferisco PER TUTTI, perchè per molti mi sembra che escluda qualcuno e so che Gesù non ha mai escluso nessuno, per tutti mi sembra un termine avvolgente, che ci abbraccia a differenza dell’altro, che potrebbe, (anzi se si va su Internet lo è), esser interpretato da qualche cattolico ultraconservatore come escludente di qualcuno.
Gesù ha versato il sangue per molti, in quanto non tutti, purtroppo per propria scelta, verranno redenti dal suo sangue…è un interpretazione sbagliata?
Assolutamente sì, Mattia: sbagliatissima! 🙂
Gesù ha dato la vita per tutti, come tutti son creati a sua immagine (in Lui), anche il peccatore incallito.
Saluti!
Marco_don
Gesù ha versato il suo sangue per tutti, poi, qualcuno non aderirà al suo progetto e non si salverà, per sua scelta, non è la stessa cosa detta in termini diversi?
Nella formula della consacrazione il sacerdote ripete il discorso diretto di Gesù e quindi mi sembra indiscutibile utilizzare le precise parole di Gesù che gli apostoli hanno riportato.
A me la questione sembra molto semplice.
Poi a queste parole gli si daranno tutte le interpretazioni che riteniamo più opportune, perchè il processo di comprensione del Vangelo è sempre in divenire, ma comprenderlo sempre meglio non vuol dire modificarlo. Ritornare al testo biblico non è mai sbagliato, anche se la traduzione non deve essere cieca, ma deve tener conto del significato reale che quella parola aveva nel tempo in cui è stata scritta.
Il mio benvenuto a don Marco, se è un nuovo visitatore… Perchè avevamo già un don Marco che lasciava qualche volta un commento e dunque potrebbe trattarsi sia dello stesso che ha effettuato una nuova iscrizione, sia di un nuovo. E’ già capitato, sempre per questo motivo, che io salutassi qualcuno che era… già salutato! Colgo l’occasione per invitare i visitatori che si trovassero a reiscriversi a segnalare il fatto, in modo da permettere agli altri di individuarli correttamente. Luigi
Sulla questione del “per molti” sono totalmente d’accordo con Fabrizio. Mi chiedo solo quando il ripristino entrerà in vigore. E, già che ci siamo, quand’è che ‘toglieranno’ quel brutto “Agnello di Dio che ‘togli’ i peccati del mondo”, decisamente riduttivo rispetto al valore del latino “tollis”?
Un fuori tema di cui chiedo scusa, ma è per continuare la mia amabile querelle con Luigi a proposito delle malefatte di Trenitalia: mi dicono che il giornale Libero, che io abitualmente non leggo, sta pubblicando un’inchiesta a puntate sulle sconcezze del monopolista ferroviario. Ho guardato ora sul sito, dove però si possono leggere solo le prime righe degli articoli, e vedo che il giornalista rimarca che da Trenitalia non si sono degnati di fare neanche un commento su quanto da lui denunciato. Tipico. (Ieri però ho ricevuto un bonus di rimborso di 7 euro per un ritardo che risale ad appena un anno fa. Evviva! Però tutte le altre richieste di rimborso da me presentate che fine avranno fatto?)
Se non vado errata nella Messa detta di Paolo VI, in latino si dice : “pro multis” e non “pro omnibus”.
Efettivamernte in francese si dice ” pour la multitude”.
Ha dunque ragione a mio umile avviso Benedetto XVi di richiamarci a come Gesù ci ha insegnato a pregare . Se cominciamo a interpretare anche il linguaggio della preghiera della Bibbia non c`è ragione di fermarci qui !
È la porta aperta a tutte le modificazioni frutto di interpretazioni secondo i tempi,i desideri, le “mode” del momento.
A me piace più così, io preferisco così…tutti sanno meglio,interpretano meglio… …allora restiamo a quello che ci è stato tramandato,a ciò che è scritto …così siamo sicuri di non sbagliarci .
Ho del resto assistito a messe dove si inventavano nuove forme di Credo..sempre in uno spirito ecumenico…. Io preferisco restare alla forma della preghiera che da sempre è quella della nostra Santa Chiesa.
So che dicendo questo passo agli occhi di certi come una povera ignorante, tradizionalista et j`en passe…..
Se dico questo è perchè ho avuto modo di leggere certi commenti di sacerdoti molto ma molto poco cristiani, con tanta presuntuosità,supponenza e arroganza!
E ciò mi rattrista.
Cado per una volta anche io nel “citazionismo” che mi è capitato di fustigare su questo blog. Ma lo faccio per uno dei due o tre testi biblici che amo di più (Fil 2, 5-10):
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l`ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”.
Ecco. Mi piace pensare che un Dio che “decide” di fare così, abbia versato il suo sangue proprio per tutti.
Quel molti in effetti suona per me più come un paterno, doloroso e lucido riconoscimento del peccato degli uomini che a volte rifiutano anche l’amore estremo di Dio.
ps: sulla bontà o “opinabilità” di tutte le traduzioni circolanti della Bibbia in genere ci vorrebbero altri 100 blog per discutere…
A Leonardo. La lettera del cardinale Arinze chiede alle conferenze episcopali che hanno nella traduzione del canone l’espressione “per tutti” di ripristinare la dizione “per molti” con la “prossima traduzione del Messale romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per i loro paesi”: il ripristino varierà dunque nel tempo. Per l’Italia pare si debba attendere almeno un paio d’anni. – Non so nulla del “togli i peccati”: mai sentito che sia prevista una correzione della traduzione italiana. – Naturalmente a me i bonus di Trenitalia arrivano sempre puntuali.
A Luisa. La messa di Paolo VI – che ovviamente è in latino: intendo dire l’editio tipica per tutta la Chiesa – ha “pro multis”, come sempre è stato per il rito romano. E’ solo nell’ultimo trentennio che è intervenuta, con le traduzioni nelle lingue locali, la dizione “per tutti”, motivata filologicamente (il greco “oi polloi” starebbe a dire “i molti”, cioè la moltidudine, come è stato tradotto in francese) e teologicamente. Dice infatti la lettera del cardinale che “la formulazione ‘per tutti’ corrisponde senza alcun dubbio a una corretta interpretazione dell’intenzione del Signore espressa nel testo evangelico”. Le traduzioni “interpretative” che scelsero alcune conferenze episcopali furono approvate dalla Santa Sede e la questione ebbe anche una trattazione dottrinale giustificativa – di tali traduzioni – in una dichiarazione della Congregazione datata gennaio 1974. – A me la correzione non fa problema, come non lo faceva il “per tutti”. Considero un fecondo esercizio per la bontà della vita ridurre all’essenziale i problemi e i conseguenti dispiaceri. – Aggiungo che trovo affascinante la soluzione francese: una volta tanto i vescovi che parlano la sua lingua hanno fatto meglio di tutti e non dovranno correggere nulla. Luigi
Credo che la verità sia a metà tra ciò che scrive Mattia e ciò che scrive maioba; come afferma l’evangelista Giovanni, infatti, “a tutti coloro che Lo hanno accolto, Egli (Gesù) ha dato il potere di essere figli di Dio”. Dunque, tutte siamo creature di Dio, ma solo chi accoglie pienamente e veramente Gesù è anche figlio di Dio. Ecco perchè Gesù ha versato il Suo preziosissimo sangue per molti (cioè per coloro che lo hanno accolto) ma non per tutti (cioè coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Lo amano). Ma noi, mi domando e chiedo, meritiamo il sangue di Cristo? E’ un quesito che mi pongo tutti i giorni: ma io valgo il sangue di Cristo? La mia risposta è purtroppo no, e proprio per questo apprezzo il Suo sacrificio.
Gianluca
«Agnus Dei qui tollis peccata mundi» dice molto di più della sciatta traduzione (?) italiana «Agnello di Dio che togli i peccati del mondo»: “tollere” non è banalmente “togliere” (nel senso in cui uno smacchiatore toglie le macchie), ma “assumere, prendere su di sé” e in questo modo liberare il mondo dai suoi peccati.
A proposito di scelte infelici dei liturgisti: l’altro giorno sono stato a un matrimonio e ho risentito la nuova versione della formula: «Io X accolgo te, Y come mia sposa ecc.». A loro sarà sembrata una cosa più spirituale e più cristiana (la sposa o lo sposo come un dono di Dio che l’altro coniuge accoglie ecc.), ma io la trovo solo più falsa nel senso di meno corrispondente alla verità antropologica della situazione che descrive. Uno quando si sposa, vivaddio, la moglie o il marito li «prende», come sanamente diceva il rito fino a qualche anno fa. Li prende nel senso che li vuole, li sceglie,( “diligit” da cui “dilectio”, l’amore di elezione), li preferisce tra tutti gli altri. Dio questo benedice e consacra, l’atto libero dell’uomo. Troppo virile per i liturgisti?
Anche a me piaceva di più “io prendo te”, forse perchè è con quella formula che mi sono sposato! Ma a difesa dei poveri liturgisti – se non difendo qualcuno non sto bene – dirò che trovo bella la “seconda forma” di “manifestazione del consenso” che è stata introdotta con il nuovo rito, quella che potremmo chiamare dell’interrogazione reciproca, nella quale lo sposo chiede alla sposa “vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti?” e lei risponde “Sì, con la grazia di Dio, lo voglio”. Quindi lei chiede a sua volta “vuoi unire la tua vita alla mia” e lui : “Sì, con la grazia, di Dio, lo voglio”. Luigi
Scusate, ma non è che stavolta – non sarebbe la prima – è sbagliata, o meglio insufficiente, la versione latina? (Dio mi perdoni!). Non ho il Rocci sottomano, ma se al liceo in una versione di greco avessi tradotto il sostantivo ‘oi polloi’ con ‘molti’ o ‘i molti’ la mia professoressa credo mi avrebbe messo segno rosso. La traduzione ‘letterale’ (se mai esiste: ogni traduzione è sempre interpretazione) sarebbe stata quella sbagliata, oltre che goffa in italiano. “Oi polloi” è dunque – come è stato detto: la moltitudine, la gente, il popolo, tutti. Allora perchè tornare alla versione sbagliata? Chi glielo dice alla mia professoressa? Se proprio dobbiamo tornare alla dizione biblica originale, almeno torniamo al greco (oppure all’aramaico gibsoniano)
Ps. Se penso – anche indirettamente e pentendomi subito – che il Papa possa aver sbagliato, mi devo confessare?
per Alessandro Iapino: ti devi confessare, ma solo su questo blog. E non ti assolveranno… 🙂
Sul rito del matrimonio: anche io, pur se semi-giovane, preferivo il vecchio e “siculo” verbo prendere. Mentre del nuovo rito mi piace la possibilità di introdurre dei segni, la bellissima preghiera di benedizione degli sposi (che prima era solo facoltativa) e, vi dirò, la maggiore evidenza che si tenta di dare al fatto (se il sacerdote lo consente…) che gli sposi sono i celebranti (“sacerdoti, re e profeti”… mi devo confessare?) del matrimonio.
Vado in ferie.
Ciao
Non conosco una sola parola di greco, ma il senso del mio commento era proprio quello di attenersi il più possibile, nella traduzione, al testo originale, cioè al greco.
Se poi sia più fedele “molti” o “tutti” lo lascio a voi classicisti.
Sul rito del matrimonio concordo con ilmoralista.
Ciao
Sul ‘vecchio’ rito del matrimonio, un aneddoto dal giorno del ‘mio’ matrimonio (14 gennaio 2001). Volli strafare provando a ripetere la formula a memoria. Anzi, peggio ancora. Per sicurezza avevo il testo scritto su un foglio sopra l’altare. Lo sbirciavo furtivo e ripetevo una frase ad alta voce, guardando mia moglie intensamente negli occhi. Sbirciavo di nuovo, e un’altra frase ancora. Se non che sul finale, troppo sicuro di me, rinunciai a guardare il foglio e finii per sbagliare clamorosamente. Aggiunsi una frase che nel rito non c’era (ma c’era nei troppi film americani visti da adolescente). Dissi tronfio: “..in ricchezza e povertà!”. Il bello è che non solo non mi accorsi dell’errore, ma rimproverai persino mia moglie di aver dimenticato lei di pronunciare quella frase. A fine messa, finalmente consapevole della gaffe, andai dal prete per accertarmi che il mio matrimonio fosse valido. Lui mi rassicurò, ma il dubbio m’è rimasto. Voi che dite?
Ti sei impegnato dunque ad amarla e onorarla “nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia, in ricchezza e povertà”. Una volta si diceva “nella buona e nella cattiva sorte”. Ritengo che il matrimonio sia valido ma che tu – qualora venga eletto al Parlamento – abbia perso il diritto a rivendicare l’indennità per il ricongiungimento familiare. Luigi
Quesito (forse banale) sul senso delle parole e delle espressioni.
Se i “molti” per cui ha dato la vita Gesù sono – secondo alcune interpretazioni che leggo anche qui – “coloro che lo hanno accolto”, non si depotenzia in qualche modo la dimensione radicale, totalmente gratuita e sconvogentemente profetica della Missione e del Sacrificio di Cristo, che appunto rompe la logica per cui ci si rivolge ai soli ben disposti e squarcia l’ostile incredulità di tanti lontani, amandoli per primo e senza fare preferenza di persone? Non è in questa assenza di discrimine che sta la radice logica (ma anche teologica) del “tutti”?
Io – come si capisce – credo proprio di sì.
Pur comprendendo lo scrupolo liturgico del Santo Padre.
Caro signor Luigi, sono il don Marco del PSL di Roma (immagino che lei, abituato ai “misteri” vaticani abbia bene in mente come si scioglie questo acrostico!).
Per quanto riguarda il sangue versato per molti o per tutti, direi che siamo davanti a una questione di lana caprina: Cristo è morto per tutti, perchè nessuno era giusto. Nè chi lo segue, né chi non lo segue perchè lo ignora o lo rifiuta.
La scelta personale e consapevole di stare alla sua sequela ci fa figli di Dio “sacramentalmente” (questo immenso concetto che pochi ormai ricordano), e quindi ci dà di utilizzare il battesimo, la cresima, l’eucaristia la penitenza e gli altri sacramenti per il nostro personale (e comunitario) cammino di santità (cioè di conoscenza e amore del Signore e del prossimo).
Chi non ha accesso ai sacramenti per i motivi più vari è e resta comunque figlio di Dio per grazia, fatto a immagine del Figlio di Dio che si è fatto UOMO (e non “cristiano”), e in lui (cioè in ogni uomo) è impressa non solo una vaga somiglianza con Dio, ma QUELLA SPECIFICA somiglianza che è “identità” del Figlio (rispettando solo la differenza delle loro reciproche relazioni).
Scusate il teologhese, ma questi sono concetti che mi appassionano, e che – a mio parere – necessitano di un linguaggio preciso perchè non siano fraintesi.
Il senso delle parole liturgiche dunque – al di là della traduzione – penso vada nella direzione di far capire a chi celebra che il Figlio ha dato la vita anche per chi a messa non viene, e che noi che siamo così fortunati a partecipare di questo immenso mistero, abbiamo non solo il dovere (sempre a comandare ‘sti preti!) ma l’urgenza di viverla in ogni momento della nostra vita come dono a Dio e al prossimo. “Beati gli invitati alla cena del Signore”: siamo già beati solo perchè invitati. E tutti lo sono (invitati e beati simultaneamente). Qualche prete a volte dice: “Beati noi, che siamo invitati…etc.”: andate a dirgli che anche chi non è presente (la mia nonna novantenne, il bimbo in fasce, il malato, il carcerato, etc.), anche loro sono invitati e beati. Il Signore è più buono del nostro perbenismo!
Saluti cari e caldi!
marco_don
P.S.: spero così di aver risposto anche ai dubbi esistenziali di Gianluca: “Ma noi, mi domando e chiedo, meritiamo il sangue di Cristo? E’ un quesito che mi pongo tutti i giorni: ma io valgo il sangue di Cristo? La mia risposta è purtroppo no, e proprio per questo apprezzo il Suo sacrificio”.
Noi non meritiamo, ma Lui “dice soltanto una parola” “e noi siamo salvati”….
PSL=Pontificio Seminario Lombardo? Ho indovinato? Dunque siamo stati a cena insieme? Luigi
Don Marco, ti ringrazio perchè, oltre a Francesco73, sei l’unico ad aver risposto al mio commento e, in generale, l’unico ad aver risposto alla mia domanda. La tua risposta, la risposta di un sacerdote, mi conforta, ma l’anima continua a tribolare: non posso aver meritato il sangue di Cristo, sono solo un povero grande peccatore.
Detto ciò, mi scuso con tutti per la “trappola”, ma per quanto riguarda le parole che ho scritto su quanti accolgono Cristo, non ho fatto altro che trascrivere quanto detto nel 1998 presso il Duomo di Amalfi dal Cardinale Joseph Ratzinger…
Ora, Francesco73, non metto in dubbio la tua preparazione teologica, ma se lo diceva lui…
Un caro abbraccio
Gianluca
Francesco e Don Marco, sono molto in sintonia con Voi, e Vi ringrazio per aver espresso dei concetti che avevo in mente ma non riuscivo ad esprimere compiutamente.
Signor Luigi è un vero vaticanista, che conosce tutti gli acrostici pontifici! bravo, indovinato! abbiamo cenato insieme, ma a tavoli diversi quella sera che è venuto da noi, io mi sono solo fermato alla fine dell’incontro a stringerle la mano.
GIANLUCA: le parole erano del card. Ratzinger? la sostanza non cambia… nessuno lo merita (neanche il papa!!!), tutti siamo stati sotto la legge (Rm 2,9.28) per essere salvati dalla fede in Cristo e non dalle opere che producono meriti: “Eravamo incapaci di accostarci a te” (Messale Romano, non fatemi andare a controllare la citazione esatta).
Quel grande cristiano che era Paolo ha scritto nella prima lettera ai Corinzi al cap. 9: “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro” (19-23).
Queste parole si leggono anche benissimo in Cristo, se è vero che Paolo stesso dice: “non più io vivo, ma vive in me Cristo” (Gal 2,19).
Ecco, mi sembra di poter dire così.
Concordo anche con le parole del post di Francesco73: “l’assenza di discrimine”, “giusto per gl’ingiusti”, crocifisso come malfattore, etc. etc. etc.
Buona giornata a tutti!
Marco_don
Sorprese del Web, dove fai conoscenze imprevedute e ritrovi persone sfiorate altrove! Grazie a tutti della profondità delle riflessioni, che a un povero giornalista appaiono veramente straordinarie. Luigi
A Gianluca. Qualche volta mi sono posto la tua stessa domanda.
Se dipendesse dalla mia capoccia, dalla mia vita e dai miei limiti (orgoglio compreso) più di qualche volta mi risponderei che, no, non valgo il sangue di Cristo… ma non sono io a deciderlo.
Un giorno, in un momento difficile della mia vita, ho ascoltato una Parola che è stata la mia salvezza: “Tu sei il mio figlio prediletto”… e io dicevo: “Io, proprio io, questo qui???”… Ebbene sì, proprio io, prorio tu…
Quando mi ricordo che il protagonista della storia è questo Dio Papà ed è Lui che mi ama per primo ed a me sta solo guardarlo, ringraziare e rispondere a questo amore… mi scopro a fare anche cose buone 🙂
… se invece faccio della mia quotidianità una continua battaglia morale (…) per dimostrare (a me stesso, e per farmi apprezzare), quanto sono “cattolico”, quanto sono buono, quanto mi sforzo ad essere un Figlio degno, come Cristo, in genere faccio un gran casino.
No Gianluca, nessuna preparazione teologica, le mie sono solo domande e sensazioni da cattolico della domenica.
Lo sai che, nel proliferare di sigle e siglette che indicano i cattolici – teodem, teocon, teolib, ecc.ecc. – io ho coniato per me stesso quella di TEO-DOM, ovvero appunto “della domenica”?
Figuriamoci se penso di sapere di teologia…no, no.
🙂
A proposito dell’osservazione di Alessandro Iapino. Il testo di Mt 26,28 dice: «questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti (peri pollon)»; Mc 14,24 è pressoché identico, ma usa yper pollon. Nella versione di Lc 22,17-20 manca addirittura qualsiasi riferimento ad altri che non siano i discepoli: il pane e il calice sono dati «per voi» e basta.
Dunque non è in questione l’espressione hoi polloi, con l’articolo, che la tua prof. di greco faceva bene a non farti tradurre “i molti”, ma che comunque non andrebbe tradotta neanche con “tutti”. Hoi polloi, infatti, sono il popolo, la maggioranza, la massa (se potessimo usare questo anacronismo), implicitamente distinti da una élite. È curioso osservare che questa espressione greca si usa, con un significato analogo, anche in inglese.
Poi col fatto del substrato semitico si può sistemare tutto, perché ebraico e aramaico non sottilizzano come noi: “molti” e “tutti” è suppergiù la stessa cosa.
(Però io che non sono un neotestamentarista mi permetto di dire che qui siamo già su un terreno un po’ più incerto e opinabile).
In conclusione: a me non pare una questione da stracciarsi le vesti e non caricherei di troppo peso teologico il ripristino della formula «per molti» (però ricordo che in un libro di critica seria alla teologia postconciliare come Iota unum di Romano Amerio c’erano in proposito considerazioni meritevoli perlomeno di attenzione).
In generale, però, penso che tante volte sarebbe stato meglio lasciare il mondo come stava. Il rinnovamento postconciliare, visto a distanza di quaranta anni, in certi particolari comincia a farci un po’ l’effetto di quelle modernizzazioni degli anni sessanta che allora luccicavano e oggi sembrano un po’ patetiche. Un po’ come quando i contadini davano via a furbi antiquari dei bellissimi mobili del settecento o dell’ottocento, perché erano ‘vecchi’, ricevendone in cambio delle schifezze in fòrmica e acciaio inossidabile. Il paragone può sembrare irriverente, però certi parroci, con le loro chiese, hanno fatto altrettanto.
Che fare adesso? Per continuare con la metafora: ricomprare i vecchi mobili è molto difficile (anche perché ora costano un’occhio della testa), però se qualcosa fosse rimasto in soffitta lo si potrebbe ripristinare … per il resto cerchiamo di apprezzare i vantaggi dell’acciaio e della formica.
La questione di per molti/per tutti mi ha un po’ stuzzicato e ho fatto qualche ricerca da semplice “teo-dom” (complimenti Francesco, la definizione è stupenda).
Come contributo alla riflessione vi segnalo un articolo di un sacerdote tedesco lodato anche da Ratzinger.
Letto senza pregiudizi ( è tratto dal sito di Una Voce Veneta e il titolo del commento “Avevamo ragione” è un po’ irritante) mi sembra estremamante chiaro e convincente.
http://www.unavoce-ve.it/12-06-54.htm
Dopo tutti questi commenti dotti ,la maggioranza tendenti a provare che Benedetto XVI sbaglia ,volendo imporre “molti” al posto di “tutti”, oso appena fare il mio commento che immagino sarà ricevuto come retrogrado, pateticamente pro-ratzingeriano ( espressione pronunciata da un sacerdote…non qui..).
Mi sembra osservare che i movimenti d`opinione che contestavano il cardinale Ratzinger, custode della dottrina della fede ,movimenti attivi nei media,fra laici cattolici che pretendevano rappresentare l`élite intellettuale ,molto presenti anche nei seminari,sono gli stessi che oggi contestano Benedetto XVI,e tutto fa brodo per questa contestazione.
Una parola detta o non detta, un gesto fatto o non fatto,il suo libro,il Motu Proprio, su questo blog…”molti” invece di “tutti”…
Non sto dicendo che bisogna abolire la discussione,ma quando la contestazione diventa sistematica, eretta in dogma del religiosamente corretto, in ideologia presuntuosa e arrogante ,non posso non domandarmi se i membri di questa “soi-disant” élite intellettuale,ovunque essa si trovi, spesso all`interno dei seminari,non abbiano ancora digerito che il cardinale Ratzinger sia diventato Benedetto XVI e che,con questa elezione, abbiano perso ogni speranza, di avere fra le mani il potere di dare alla Chiesa la direzione secondo loro la più corretta e……ragionevole!
Poi mi dico che probabilmente è sempre stato così, e che il Papa da sempre ha dovuto essere contestato da coloro che pensano sapere meglio di lui ciò che è bene per la Chiesa.
Per quel che mi riguarda io seguo il cardinal Siri che ha scritto : ” Il cattolico segua il Papa che non può sbagliare perchè ha la grazia di stato. “
oops, quello che ho definito “sacerdote tedesco” ho scoperto essere un notissimo liturgista….sono sempre di più un teo-dom.
Leonardo, la tua conclusione penso possa mettere d’accordo tutti.
Migliore è la conclusione di Luisa che segue Siri che segue il papa (magari aggiungendo che se anche il papa si sbaglia è meglio sbagliare col papa che aver ragione contro di lui.
Pulci a me stesso: «un occhio», senza apostrofo!
In risposta a Luisa, guarda che qui si sta discutendo pacatamente, in alcuni casi magari non sempre pacatamente, ma in sostanza non è che io su tutto debba essere d’accordo con il Papa, tolti i dogmi di fede su molti argomenti è legittima la discussione che non significa fare una contestazione sistematica.
A Leonardo, concordo in parte, su alcuni aspetti anche il Concilio avrà sbagliato, ma la sua influenza nelcomplesso è stata straordinariamente positiva nel rinnovare l’approccio della Chiesa al Mondo Moderno.
Saluti
Per Luisa: “se sbaglio mi corrigerete…”
Per Leonardo: grazie per le precisazioni
Per Luigi: il mio matrimonio è ora più saldo, ricongungimenti a parte
Per il resto un saluto affettuoso a tutti, anzi… ‘a molti’! 🙂
Leone, quando Luisa parla di critica sistematica immagino che non si stia riferendo a nessuno di noi ma a quella schiera di intellettuali, teologi ed esegeti, che ormai ogni volta che il papa apre bocca sembra che non aspetti altro per spolverare uno dei propri libri e coglierlo in castagna.
Me li immagino a dire: “Cosa posso criticare questa volta?” e stai sicuro che con un approccio così una citazione contro il papa la trova sempre.
In questo senso mi sembra corretto parlare di atteggiamento sistematico e, aggiungo, pregiudiziale.
Continuando a fare l’avvocato di chi non ne ha bisogno, Leonardo non ha mai parlato di errori del Concilio ma semmai del postconcilio.
Saluti
Fabrizio
Per Luisa e Leonardo: … mah…
buone vacanze!
Grazie Fabrizio…hai tradotto perfettamente il mio pensiero !
GRAZIE FABRIZIO, hai spiegato bene.
Vi allego un’intervista a padre Raimon Panikkar che pensopossa essere utile alla riflessione.
Saluti Leone.
“NON DEVO DIFENDERE LA MIA VERITA’ MA VIVERLA”
Intervista a p. Raimon Panikkar
Allevato in Spagna da madre cattolica e padre indu, Raimon Panikkar ha dedicato tutta la vita al dialogo interreligioso. Ordinato sacerdote nel 1946, nella diocesi di Varanasi, in India, è autore di circa 40 libri. Questa intervista è ripresa da “Missione Oggi”.
* Come è possibile combinare un’eredità al contempo cristiana e induista?
Sono stato educato nel cattolicesimo da mia mamma spagnola, ma non ho mai smesso di cercare di restare unito alla tollerante e generosa religione di mio padre e dei miei antenati indu. Tuttavia ciò non fa di me un “semi-casta” culturale o religioso. Cristo non era mezzo uomo e mezzo Dio, ma interamente uomo e interamente Dio. Ugualmente io mi considero al 100 per cento induista e indiano e al 100 per cento cattolico e spagnolo. Com’è possibile? Vivendo la religione come un’esperienza piuttosto che come un’ideologia.
* Come spiega il fascino che le religioni e le filosofie dell’Asia esercitano sull’Occidente e la paura che questo produce nelle Chiese occidentali?
Si potrebbe rovesciare la domanda e chiedersi, invece, perché l’Occidente esercita una tale attrazione sull’Oriente. La risposta alla sua domanda, in ogni modo, è che il cristianesimo contemporaneo ha prestato un’attenzione insufficiente a molti elementi chiave della vita umana, come la contemplazione, il silenzio e il benessere del corpo. C’è in quest’attrazione un salutare schiaffo dello Spirito, che sta dicendo alle Chiese in Occidente di svegliarsi. La scoperta dell’altro, la ricerca di una maggiore pace dell’animo e la tranquillità del corpo, di gioia e serenità, sono fonti di rinnovamento. Quella del cristianesimo è tutta una storia di arricchimento e rinnovamento ottenuti da elementi che sono venuti dal di fuori di esso. Allora perché questa paura? Se la Chiesa vuole vivere, non deve temere di assimilare elementi provenienti da altre tradizioni religiose, la cui esistenza non può più ignorare oggi. Ciò non toglie che si debba usare prudenza e io comprendo la voce delle autorità cattoliche quando si leva contro la diffusa superficialità.
* Tuttavia, quale sarebbe lo scopo di credere e dedicare la propria vita a qualcosa, se non si tratta di difendere la propria verità? Il tipo di dialogo religioso che lei chiede, in cui ciascuno entra, prima di tutto, non per difendere le proprie convinzioni ma per condividere esperienze, non si riduce facilmente a un’amichevole chiacchierata?
Io difendo la mia verità. Sono pronto a dedicarle la mia vita e a morire per essa. Dico semplicemente che non ho un monopolio sulla verità e che più importante è il modo in cui tu ed io entriamo in quella verità, come la percepiamo e la ascoltiamo. Tommaso d’Aquino diceva: “Tu non possiedi la verità; è la verità che possiede te”. Sì, noi siamo posseduti dalla verità. È lei che mi fa vivere; ma anche gli altri vivono, in virtù della loro verità. Io non m’impegno prima di tutto a difendere la mia verità, ma a viverla. E il dialogo tra le religioni non è una strategia per far trionfare la verità, ma un percorso per ricercarla e approfondirla insieme agli altri.
Da: http://www.saveriani.bs.it/Missionari_giornale/arretrati/2001_06/Panikkar.htm
Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Venerabile Kahjun Handa, in occasione del XX anniversario del Primo Incontro di Preghiera di Leaders Religiosi sul Monte Hiei (Giappone):
«
To Venerable KAHJUN HANDA
I am glad to greet you and all the religious leaders gathered on the occasion of the Twentieth Anniversary of the Religious Summit Meeting on Mount Hiei. I wish also to convey my best wishes to Venerable Eshin Watanabe, and to recall your distinguished predecessor as Supreme Head of the Tendai Buddhist Denomination, Venerable Etai Yamada. It was he who, having participated in the Day of Prayer for Peace in Assisi on that memorable day of 27 October 1986, initiated the “Religious Summit Meeting” on Mount Hiei in Kyoto in order to keep the flame of the spirit of Assisi burning. I am also happy that Cardinal Paul Poupard, President of the Pontifical Council for Interreligious Dialogue, is able to take part in this meeting.
From the supernatural perspective we come to understand that peace is both a gift from God and an obligation for every individual. Indeed the world’s cry for peace, echoed by families and communities throughout the globe, is at once both a prayer to God and an appeal to every brother and sister of our human family. As you assemble on the sacred Mount Hiei, representing different religions, I assure you of my spiritual closeness. May your prayers and cooperation fill you with God’s peace and strengthen your resolve to witness to the reason of peace which overcomes the irrationality of violence!
Upon you all I invoke an abundance of divine blessings of inspiration, harmony and joy.
From the Vatican, 23 June 2007
BENEDICTUS PP. XVI
»
http://212.77.1.245/news_services/bulletin/news/20627.php?index=20627&lang=it
Interessante -da un famoso collega americano di Luigi, John L Allen Jr – :
http://ncrcafe.org/node/1252
Sul fronte “Motu Proprio &c.”, invece, segnalo:
http://blogs.telegraph.co.uk/ukcorrespondents/holysmoke/august2007/latinlessonsforyoungpreists.htm
In più, un ottimo lavoro dell’agenzia Fides, della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli:
«
Agenzia FIDES – 1 agosto 2007
DOSSIER FIDES
DOSSIER
A cura di
N. Bux e S. Vitiello
IL MOTU PROPRIO di Benedetto XVI
Summorum Pontificum cura
1. GLI ANTEFATTI
La Sacrosanctum Concilium
La Costituzione Missale Romanum di Papa Paolo VI (1969)
L’Indulto Quattuor Abhinc Annos di Papa Giovanni Paolo II (1984)
La Commissione Cardinalizia del 1986
Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta di Papa Giovanni Paolo II (1988)
Il Cardinal Medina sulla Terza Editio Typica del Messale di Paolo VI (2002)
Bibliografia essenziale a cura di Uwe Michel Lang
2. LA ‘RENOVATIO’ DEL MESSALE ROMANO
http://www.fides.org/ita/documents/dossier_motu_proprio_010807.doc
»
[ Dal portale di Propaganda Fide:
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=13714&lan=ita ]
Visto che qui si è spesso parlato , talvolta con una certa indiscriminatezza, di “lefebvriani”… Per dare un’idea , attraverso immagini, di una realtà “tradizionalista” ma assolutamente ‘fedele a Roma’, chiaramente distinta dalla “Società” -fedele invece alla linea dell’Arcivescovo (e Successori) – ecco qui l’album di foto, appena pubblicato sul sito della Fraternità Sacerdotale di San Pietro (società di vita apostolica di diritto pontificio), relativo all’incontro (28-29 giugno 2007) dei suoi sacerdoti europei con il vescovo di Namur, Belgio , :
http://www.fssp.org/album/HW2007/index.htm
[ Fra le molte, un’immagine di straordinaria bellezza ed eloquenza :
http://www.fssp.org/album/HW2007/p1070206.htm ]
E per chi conosce il francese…..
http://americatho.over-blog.com/article-11658504.html
Beh, Luisa, quanto a ‘tempismo’ episcopale, praticamente insuperabile è stato Salvatore R. Matano, Vescovo di Burlington, Vermont, USA . Già il 6 luglio aveva firmato una sua lettera ai Fedeli in cui annunciava che il prossimo 15 Agosto , avrebbe celebrato una Messa in Rito romano classico per la solennità dell’Assunzione della B.V.M. :
«Desirous of fulfilling the pastoral needs of those who seek the celebration of the Sacred Liturgy according to the rite of the 1962 Roman Missal, I will celebrate Holy Mass in this extraordinary form on the Solemnity of the Assumption of the Blessed Virgin Mary, August 15, 2007, at Saint Joseph’s Co-Cathedral at 7:00pm. This celebration will invoke our Mother Mary’s intercession, asking that all we do to celebrate Her Son’s presence among us will bring glory to His name and harmony and peace among His people.»
http://www.vermontcatholic.org/Vatican/SumPont-BishopMatano.htm
«Tra le sfide emergenti per la missione oggi, il Card. Dias ha indicato prima di tutto quella dell’animazione missionaria: “Il Vescovo è per sua natura sacramentale, un missionario, inviato per annunciare Cristo al mondo. Pertanto, in ogni attività pastorale, l’animazione missionaria deve costituire il suo principale impegno”. La seconda sfida affrontata dal Dicastero Missionario è quella della formazione nei territori di missione, formazione che riguarda tutti (Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, laici, catechisti) e che è “una priorità per i Paesi di missione, che stanno vivendo un momento di maturazione e di crescita, che richiede una solida e permanente formazione di tutti, se si vuole salvaguardare il futuro delle nostre Chiese”. Un altro campo delicato che richiede attenzione è quello dell’inculturazione e del dialogo interreligioso:
“Il dialogo interreligioso non può essere interpretato come il nuovo credo relavitistico che si oppone ad ogni conversione e missione – ha sottolineato il Card. Dias -. Certamente la Chiesa è impegnata in un dialogo vero, non in una pura e semplice trattativa con i nostri fratelli credenti. Il compito urgente del dialogo interreligioso è quello di aprire la via dell’annuncio di Cristo Via-Verità-Vita. Esso pertanto non può sostituire l’annuncio, ma deve essere orientato all’annuncio”.
Infine la sfida del nazionalismo, del tribalismo e del fenomeno delle caste: “Predicate con insistenza e con coraggio contro queste forme di divisione che oscurano il volto autentico di Cristo e della Chiesa – ha esortato il Cardinale – e causano divisioni, discordie, e, spesso, anche morte tra coloro che pure sono fratelli in Cristo e figli di un unico Padre”.
L’annuncio della fede alle genti è un impegno complesso.
“Oggi, come ieri, sorgono nuove realtà missionarie – ha concluso il Card. Dias -. Alle classiche aree non cristiane si associano ambienti socio-culturali che sembrano aver rinunziato al patrimonio evangelico… Sono le nuove piazze sulle quali è urgente proclamare la buona novella del Regno; sono le nuove sfide della Chiesa del Terzo Millennio, sono le vostre sfide. Siete voi, Vescovi, i costruttori di questa Chiesa che ha iniziato un nuovo Millennio della sua storia” »
http://www.evangelizatio.org/portale/congregazione/prefetto/prefetto.php?id=113#
Raimon Panikkar
Passaggio in Asia
di Mauro Castagnaro
Perché il Vangelo ha attecchito poco in Asia? Come superare i “dubbi” che Roma ancora nutre verso i teologi del continente? Le prospettive della riflessione ecclesiale in Oriente esaminate da uno degli esponenti più originali del dialogo tra cristianesimo e religioni asiatiche.
«Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo induista, ma tutto occidentale e tutto orientale. Così come, facendo un paragone irriverente, potrei dire che Gesù non è stato metà Dio e metà uomo, ma pienamente divino e totalmente umano, come afferma il Concilio di Calcedonia». Si presenta così, quando gli si chiede conto della sua storia familiare e della sua fede, Raimon Panikkar. Nato a Barcellona da madre cattolica e padre induista, ordinato sacerdote nel 1946 e incardinato nella diocesi di Varanasi, in India, è famoso come filosofo cattolico impegnato da una vita nel dialogo interreligioso. Di lui, ottantatreenne, colpiscono non solo il viso incredibilmente giovane e sorridente, ma soprattutto le parole, dense di una spiritualità che, mentre si richiama costantemente ai Padri, sembra sempre annunciare il futuro.
«Sono convinto che la grande sfida del terzo millennio per la Chiesa sia l’Asia», dice, «perché il cristianesimo in questa parte del mondo si trova, forse per la prima volta, di fronte a una provocazione metafisica, mistica, di profondità. Il cristianesimo ha avuto grande successo – umanamente parlando – in Africa e America latina, ma non in Asia, perché le culture di questo continente costituiscono una sfida al filone abramico in cui finora esso si è sviluppato. La tradizione abramica è forse la più profonda della storia dell’umanità, ma non è l’unica, e, per avere qualche ragion d’essere al di fuori di essa, il cristianesimo deve rinunciarvi e morire alla sua pretesa di verità assoluta, confidando nella risurrezione. È lo Spirito Santo che dice: “Se vuoi risorgere, muori a te stesso, alla tua occidentalità, che non è tutto”. Se Cristo è per tutto il mondo, come io credo, allora il cristianesimo deve ripensare sé stesso in profondità».
Ma il cristianesimo può sganciarsi dalla matrice abramica?
«Nel Vangelo è detto: “Voi siete il sale del mondo”. Vogliamo che tutto diventi sale o che il pesce e il riso siano più saporiti? Dice Gesù: “Prima di Abramo io ero”. Quindi Cristo è nato anche in Oriente, in una forma certo misteriosa, non storica, perché io non nego che Gesù fosse un ebreo, figlio di Maria, venuto alla luce a Betlemme duemila anni fa. Però il Gesù risorto è il Cristo, e in Cristo, come ricorda Paolo, non c’è giudeo né greco, né uomo né donna. Il mistero di Cristo supera le nostre mentalità, anche quella cristiana, e noi cristiani non dobbiamo ridurre il suo messaggio alla nostra misura, appropriandocene».
Qual è il contributo specifico che l’Asia può offrire al cristianesimo?
«L’opzione per la mistica, per la terza dimensione della realtà, per il superamento del mito della storia. Bisogna aprire il terzo occhio, come dicevano i teologi del 1200, e non ridurre tutto a un illuminismo con sopra una verniciatura di fede. Questa è la sfida».
Con l’opzione per la mistica non si rischia la fuga dai problemi concreti? Le grandi tradizioni culturali e religiose asiatiche non paiono in grado di risolvere gli enormi squilibri sociali del continente.
«Chi ha creato questo divario tra i ricchi e i poveri? Non certo gli asiatici. Forse è vero che l’Asia non si preoccupa del sociale, ma è falso che lo faccia l’Occidente. Chi spende ogni giorno 100 milioni di dollari in armamenti? Un secolo fa il 78% degli abitanti degli Stati Uniti erano agricoltori, oggi lo è solo il 2%, che però potrebbe nutrire tutta l’umanità. Ma non lo fa. Perché non è redditizio. Il messaggio di Gesù è attuale: “Non si possono servire due padroni, Dio e il denaro”. Optare per la mistica non vuol dire non optare per i poveri, ma non assolutizzare il sociale».
Le Chiese asiatiche sono davvero ancora troppo ricalcate su quelle occidentali?
«Nelle Chiese dell’Asia c’è un disagio, anche se un po’ inconsapevole. Tutti vogliamo essere cristiani, cattolici, apostolici, romani, ma il vestito ci risulta un po’ scomodo. Tuttavia lo “strip tease” non va bene. D’altra parte anche il Vangelo dice che non serve rattoppare l’abito logoro. La teologia asiatica sottolinea molto la kenosis, l’annichilimento di Cristo. Optare per la mistica significa accettare che la realtà non si esaurisce con la storia. Finora non abbiamo preso sul serio le tradizioni asiatiche, che sono mistiche e metafisiche. E questo vuol dire meditazione, contemplazione, amore, superamento – non negazione – della ragione, che in fondo è il vero significato della metànoia».
Nelle Chiese d’Asia ci sono esperienze in cui questo si realizza?
«Ci sono gli ashram cristiani, dove paradossalmente si dimostra che quanto più ci si separa da schemi importati, tanto più si incontrano le radici stesse del cristianesimo. Parlando di contemplazione, infatti, riscopriamo i Padri della Chiesa. Poi c’è la riflessione teologica, soprattutto in Corea, India, Sri Lanka e Thailandia. Purtroppo i teologi asiatici avvertono una sfiducia nei loro confronti, per cui non riescono né osano dire tutto quel che pensano. Oggi è molto importante fidarci gli uni degli altri. Perché devi diffidare della mia fede cristiana se non parlo come te? Magari sbaglio, ma se mi dai un po’ di fiducia, prima sbaglierò meno, poi entreremo in un dialogo nel quale ci correggeremo e feconderemo a vicenda. Ciò vale per le culture, per le religioni e dentro lo stesso cattolicesimo».
La dichiarazione Dominus Jesus pare rivolta ai teologi asiatici, quando critica «le teorie di tipo relativistico che giustificano il pluralismo religioso…».
«Perché c’è questa paura? Se io, come cattolico, credo che la Pasqua è già venuta, e non solo Cristo, ma il mondo è risorto, non dovrei avere paura. Il pericolo del relativismo esiste, ma la vita stessa è un rischio. Solo chi è morto non corre rischi. E il rischio è parte della scelta cristiana: quando gli apostoli lasciarono tutto per seguire Gesù, decisero di rischiare. La fede è rischio, è il coraggio della vita. Certo, poi serve la prudenza dell’autorità. Io ho bisogno che essa mi consigli e mi corregga, ma non ho bisogno della sua sfiducia, perché mi scoraggia; o del suo controllo repressivo, perché non mi fa sentire libero e mi spinge a estremizzare le mie posizioni. C’è una bellissima preghiera di Tagore che dice: «Dio, tu mi hai legato con la mia libertà». Questo è il cristianesimo. E se il teologo non è libero, non è un teologo. Se c’è un dialogo effettivo, si dà spazio alla creatività. Certo, la novità fa paura, ma davanti a una svolta ci vuole “magnanimità”, come diceva Gandhi».
Come vede la diffusione nei nostri Paesi di nuovi movimenti religiosi che si richiamano all’Oriente, vanno sotto il nome di New Age e sono forse alla base delle critiche postume rivolte dalla Santa Sede alle opere del gesuita Anthony De Mello?
«Come filosofo sono consapevole della fragilità concettuale delle opere di De Mello. Se si prendono queste storielle come una formulazione dogmatica, la Chiesa ha ragione a dire che il risultato è superficiale o fuorviante. Ma se si utilizza la conoscenza simbolica, queste storielle toccano il cuore e forse cambiano la vita. Anche Gesù non parlava con “idee chiare e distinte”, ma in parabole. Dobbiamo reimparare la conoscenza simbolica. Non per niente la fede è detta il “simbolo” degli apostoli, non la dottrina. I concetti hanno il loro valore, ma la “concettolatria” è la più sottile delle idolatrie. Non fa riflettere che questo Occidente, considerato così razionalista, abbia reagito tanto positivamente a un uomo che raccontava storielle? Nella New Age si sente un’influenza dell’Oriente sull’Occidente, ma ci siamo mai preoccupati dell’influenza dell’Occidente sull’Oriente? Per ogni mille buddhisti in Occidente, ci sono milioni di cristiani in Oriente, e questo, visto da là, crea problemi. Non si deve aver paura della diversità. In Italia oggi si temono i musulmani, ma in India hanno paura dei cristiani. Dobbiamo liberarci dall’eurocentrismo e dall’etnocentrismo».
Ma che cosa c’è, a suo parere, dietro questa ricerca “a Oriente”?
«C’è un bisogno insoddisfatto di spiritualità, di gioia; c’è la ricerca di qualcosa che tocchi davvero il cuore… A queste domande non si può rispondere esclusivamente con precetti morali o dogmi dottrinali, che a tanti risultano incomprensibili. Non sarà forse uno schiaffo dello Spirito Santo per risvegliare tanti cristiani?».
Se credo di possedere la verità, come posso realizzare un dialogo interreligioso autentico, non diplomatico o irenistico, ma che non sia neppure votato all’eclettismo?
«Io non sono favorevole ai “cocktail di religioni”. Condivido la critica al relativismo, ma altra cosa è la relatività, cioè la consapevolezza che qualsiasi affermazione io faccia ha un senso in relazione a un contesto. Io non posso giudicare i testi della filosofia e teologia indiane senza conoscere il loro contesto. Chi pensa di possedere tutta la verità non è tomista né cristiano: san Tommaso d’Aquino afferma che noi non possediamo la verità, semmai la verità possiede noi. Il pluralismo è l’ammissione della mia contingenza, per cui io non ho il monopolio della verità né posso capirla tutta: il mistero di Dio ci supera infinitamente. Il pluralismo è la guarigione dall’assolutizzazione, cioè dall’idolatria. È il riconoscimento della relatività e della bellezza straordinaria di tutte le tradizioni, per cui ciascuno deve seguire il proprio cammino. La Bibbia racconta che quando gli uomini vollero creare una religione unica, un governo mondiale, Jhwh distrusse la torre di Babele. Non serve una sola elefantiaca istituzione, ma piccole capanne, dove possiamo conversare e arricchirci reciprocamente. Eppure la globalizzazione, cui non credono più né i cristiani né i seguaci delle altre religioni (“Un Dio, una patria, un re”), oggi viene proposta dai cosiddetti laici: una democrazia mondiale, un capitalismo mondiale, una Banca mondiale. Qui vedo il senso storico del risveglio dell’Asia: in un continente vittima dell’invasione tecnocratica, forse tocca a quei piccoli gruppi secondo cui la vita ha un’altra dimensione resistere a questa omologazione della realtà e salvare il mondo dalla catastrofe».
Raimon Panikkar è autore di una quarantina di libri, tra cui Il Cristo sconosciuto dell’induismo, La Trinità e le religioni del mondo e Il silenzio del Buddha. Per molti anni docente di Studi religiosi all’Università di Santa Barbara, in California, oggi vive in Catalogna. Poche settimane fa ha ricevuto in Italia il “Premio Nonino”.
Convinto difensore della pace, Panikkar ha affrontato il tema da un punto di vista filosofico nel libro La torre di Babele. Pace e pluralismo (edizioni Cultura della pace, 1990). In esso l’autore polemizza contro quello che definisce “pacifismo colonialista”, prodotto dalla “ragione armata” dei Paesi ricchi. Secondo Panikkar, a offrire una soluzione potrà essere soltanto un modello culturale complesso e pluralista.
Gli sviluppi della teologia asiatica postconciliare hanno preoccupato spesso, in anni recenti, la Congregazione per la dottrina della fede, spingendola a mantenere sotto osservazione alcuni autori, quando non a prendere provvedimenti disciplinari. L’accusa, formulata dal cardinale Joseph Ratzinger soprattutto a partire dal 1996, fino al documento Dominus Jesus dello scorso settembre, è quella di un relativismo che negherebbe l’unicità del ruolo di Cristo nella storia della salvezza.
Tra i teologi asiatici colpiti da misure disciplinari da parte del Vaticano, il più noto è forse Tissa Balasuriya, dello Sri Lanka, scomunicato nel 1997 e riammesso alla comunione ecclesiale l’anno successivo. A suscitare perplessità sono state inoltre le opere di pensatori come Aloysius Pieris, Michael Amaladoss, Samuel Rayan. Anche taluni europei che si sono confrontati con la questione della salvezza nelle religioni non cristiane sono finiti nel mirino dell’ex Sant’Uffizio. L’ultimo caso è quello del gesuita Jacques Dupuis.
Da: http://www.stpauls.it/jesus/0104je/0104je40.htm
Raimon Panikkar da alcuni cristiani è considerto un relativista.
Considero molto interessanti le sue opinioni e le sue idee riguardo alla fede ed al dialogo interreligioso.
«Raimundo Pániker Alemany, conocido como Raimon Panikkar; (Barcelona; 3 de noviembre de 1918 – ); filósofo, teólogo y escritor español que desarrolla una filosofía interreligiosa e intercultural, con una nueva apertura respetuosa al diálogo con otros sujetos y tradiciones no-occidentales. Su filosofía tiene como obejtivo transformar nuestra civilización que está determinada por un sistema occidental impuesto como una única alternativa.»
http://es.wikipedia.org/wiki/Raimon_Panikkar
….E ancora per chi conosce il francese….
Formation au rite traditionnel à Merton College
Trois jours de formation résidentielle pour déjà une cinquantaine de prêtres inscrits à Merton College, un des plus anciens et prestigieux collèges (aujourd’hui anglican) d’Oxford.
L’ordinaire du lieu aura créé la stupeur quand, invité par les organisateurs à célébrer la messe d’ouverture, il aura ajouté une condition étonnante peu de temps avant l’arrivée du motu proprio : la messe devra être célébrée en latin, dos au peuple, et concélébrée dans le nouveau rite par ceux qui le souhaitent.
Mais après le rite ordinaire de l’ordinaire du lieu, tout deviendra extraordinaire : laudes, messe, vêpres et complies tous les jours.
L’évêque de Tulsa, Oklahoma, USA, Monseigneur Slattery célébrera une messe pontificale de clôture, assisté de son vicaire général. Monseigneur Rifan célébrera quant à lui des vêpres pontificales.
Les repas seront servis sans le réfectoire du collège.
Beaucoup mieux que du Harry Potter : pas de sorciers mais des prêtres se formant au rite multiséculaire de l’Eglise.