Mangio in trattoria e vedo sedersi, al tavolo accanto, una coppia con una bimba forse di cinque anni, tonda e gioconda, che ordina la sua pizza e l’aspetta impugnando le posate e battendo i pugni sul tavolo, mentre canta “che fame che fame”. “Beato chi sfama uno di questi piccoli”, dico fra me pensando ai papà e alle mamme di tutto il mondo, che siano sposati o coppie di fatto, compresi quelli che non sanno la differenza tra le due categorie – e pensando anche alla gente dei forni. Ma beati due volte quelli che sfamano figli che non sono i loro.
Beato chi sfama uno di questi piccoli
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Vero. Anche un bicchiere di acqua non viene dimenticato. Siamo tutti fratelli, potremmo aggiungere: sono tutti nostri figli. Potremmo (il Capo me lo conceda) rivistare il vangelo: se sfamiamo solo i nostri figli, che merito abbiamo? Anche gli animali si comportano così. Siamo noi perfetti, come è perfetto il Padre nostro celeste, che non ha dato cibo soltanto al suo unico figlio, ma sfama anche noi, spesso così ingrati.