Pubblicato da “Liberal” il 4 gennaio 2011 alle pagine 1 e 10
Domenica all’angelus Benedetto ha denunciato l’esistenza di una “strategia di violenze che mira ai cristiani”: è una parola forte e i cristiani ai quali faceva primario riferimento erano i copti non cattolici di Alessandria di Egitto. Già a metà dicembre – nel messaggio per la Giornata della pace – aveva affermato che i cristiani oggi sono i più perseguitati nel mondo. Viene dunque prendendo corpo un ruolo del Papa come difensore dei cristiani sulla scena mondiale che potrebbe avere importanti sviluppi, ecumenici e diplomatici.
Il Papa che si sta ponendo a portavoce dei cristiani perseguitati è lo stesso che il primo dell’anno ha indetto una nuova “Giornata di Assisi” dopo le tre che furono convocate da Giovanni Paolo II, chiamando di nuovo le religioni mondiali all’impegno di “vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace”.
Papa Ratzinger conferma dunque e prosegue la vasta pedagogia interreligiosa della pace che fu propria del predecessore e ad essa aggiunge la denuncia della persecuzione dei cristiani, che a volte si ammanta di giustificazioni religiose. Assisi 2011 potrà dunque acquistare un nuovo segno, oltre quelli già consolidati di impegno interreligioso per la pace e di contrasto a ogni giustificazione religiosa della violenza; un nuovo segno che verrà forse qualificato come impegno a rigettare le motivazioni religiose dell’intolleranza religiosa.
“Davanti a questa strategia di violenze che ha di mira i cristiani, e ha conseguenze su tutta la popolazione, prego per le vittime e i familiari, e incoraggio le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza di non violenza che ci viene dal Vangelo”: così Benedetto ha parlato domenica. “Strategia di violenze”: non aveva mai usato questa espressione, che allude a un’intenzione, un programma, un pogrom anticristiano.
Il 20 dicembre, nel discorso alla Curia Romana, aveva usato – ed era anche quella una prima volta – la parola cristianofobia, con riferimento alle denunce del Sinodo per il Medio Oriente: “L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo alla fine ferisce tutti. Così le parole e i pensieri del Sinodo devono essere un forte grido rivolto a tutte le persone con responsabilità politica o religiosa perché fermino la cristianofobia”.
Un’altra affermazione forte sulla persecuzione dei cristiani l’aveva fatta il 16 dicembre, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace: “I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede”.
Leggendo in sequenza queste formulazioni senza precedenti, percepiamo che Benedetto sta elaborando una sua lettura del momento tragico vissuto dai cristiani nel mondo e in primis dalle minoranze cristiane dei paesi arabi e islamici. Colpisce in particolare l’intonazione non confessionale, o cattolica, ma più ampiamente “cristiana” che il Papa cerca di dare alle sue parole, perché i suoi appelli siano colti come formulati a nome di tutti i credenti in Cristo. “Incoraggio le comunità ecclesiali” ha detto domenica 2, quando la comunità di riferimento era quella copta.
E’ verosimile che questa intenzione di agire in quanto portavoce dei cristiani abbia a trovare espressioni ancora più esplicite – e magari pubblicamente riconosciute – in occasione della Giornata di Assisi che si farà il prossimo ottobre. Nel libro intervista Luce del mondo pubblicato in novembre Benedetto aveva parlato della figura del Papa come “portavoce della cristianità”: “Già oggi il vescovo di Roma fino a un certo punto parla a nome di tutti i cristiani, semplicemente per la posizione che la storia gli ha attribuito” (p. 135).
Nel volume intervista non c’è solo questa presa d’atto: a essa Benedetto aggiunge che “nei fatti il mondo già considera le prese di posizione del Papa sui grandi temi etici come la voce della cristianità”; e che egli – Benedetto XVI – tiene conto di tale suo ruolo, già esistente di fatto e che oggi sta guadagnando in consenso ecumenico. Queste sono le parole più importanti che ha detto in proposito all’intervistatore: “Il Papa stesso è attento, quando affronta certi argomenti, a parlare per i cristiani e a non mettere in risalto in maniera specifica la dimensione cattolica; per quest’ultima vi è un altro posto”.
Abbiamo visto, proprio nei testi sulla cristianofobia che stiamo commentando, questa sua “attenzione” a “parlare per i cristiani”. Non gli sarà facile portare avanti l’impresa: né quella ad extra di porsi a defensor crhistianitatis, né quella ad intra di farsi accettare in maniera riconosciuta come portavoce dei cristiani. Ma i tempi chiedono ambedue gli impegni ed egli – lo sentiamo – non si tirerà indietro.
Le difficoltà ad extra – nei confronti dei governi e delle religioni –sono lampanti. Basti a segnalarle la cronaca delle ultime settimane e degli ultimi giorni: dallo scontro con il governo di Pechino, che accusa il Papa di “ingerenza” se disapprova le manovre governative tendenti a staccare la comunità cattolica cinese dalla “comunione” con la Chiesa di Roma; all’analoga protesta di Ahmed al-Tayeb, grande imam dell’università egiziana Al-Azhar, il più importante centro dell’islam sunnita, che domenica ha qualificato le parole del Papa in difesa dei copti come “un’ingerenza inaccettabile negli affari dell’Egitto”.
Le parole del grande imam sono significative perché Ahmed al-Tayeb è considerato un liberale moderato e dialogante, spesso presente agli incontri interreligiosi e che proprio domenica era andato di persona dal patriarca della Chiesa copta, Shenuda III, a esprimergli le condoglianze per la strage avvenuta nella notte ad Alessandria, all’uscita da una chiesa di quella comunità. “Confermiamo la nostra solidarietà con gli arabi cristiani e la più ferma condanna degli attacchi alle chiese, in Iraq e altrove” aveva detto l’11 novembre il suo consigliere per il dialogo interreligioso, Mahmoud Azab.
Nella conferenza stampa in cui ha protestato per le parole del Papa, Al-Tayeb ha pure annunciato la formazione di un “foro di esponenti musulmani e copti” che trovi il modo di placare le tensioni tra le due comunità. Egli sa di che cosa parla. Poco prima, uscendo dall’incontro con Shenuda III, era stato assediato nella propria automobile dai dimostranti copti che gridavano la loro rabbia per la strage nella chiesa di Alessandria.
Questo è stato il commento, sul Corriere della Sera, di Antonio Ferrari, uno dei migliori conoscitori italiani dell’islam medio-orientale: “Il rischio di un pericoloso conflitto interreligioso è alto e proprio per attenuarlo l’imam di Al-Azhar ha risposto a Benedetto XVI”.
Se dunque i moderati si vedono costretti – dal fuoco degli eventi – a irrigidire la loro posizione, che faranno i facinorosi? E’ nella percezione di questa situazione infuocata che va cercata la ragione dell’annuncio dato sabato dal Papa di una quarta Giornata di Assisi, nel 25? anniversario della prima (1986) che era stata motivata dal rischio di un conflitto nucleare Est-Ovest; e dopo quelle del 1993 per la guerra di Bosnia e del 2002 dopo l’attentato alle Torri Gemelle.
Da cardinale Joseph Ratzinger ebbe a interpretare quelle convocazioni “come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio”. La nuova chiamata di tutti i cristiani e di tutte le religioni ad Assisi sta a dire che Benedetto vede l’attuale situazione del mondo come “straordinaria” e nella quale è necessario porre un “segno” con un “comune grido” di pace rivolto a Dio e agli uomini.
Tra gli elementi di questa straordinarietà di certo egli annovera la persecuzione dei cristiani e di ogni altra minoranza religiosa. Sarà istruttivo vedere come ne parlerà a nome di tutti i cristiani e come – in tale funzione di portavoce della cristianità – solleciterà l’attenzione degli uomini di altre fedi.
Luigi Accattoli
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