Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 14 agosto 2013
Ha detto di sé stesso che è “indisciplinato” come un giocatore argentino, ha confessato che non può tifare stasera seguendo in televisione la partita Italia-Argentina e ha chiesto preghiere perché gli sia dato di giocare, nella Chiesa, una partita “onesta e coraggiosa”: sono le tre battute del Francesco di ieri che dicono qualcosa del Papa che è.
Quell’indisciplinato innanzitutto: più volte Francesco ha accennato in questi mesi ai “padroni” che ha in Vaticano, e alla difficoltà di “uscire da qui” e al desiderio di “camminare per Roma”. Ieri si è paragonato all’indole creativa e irregolare dei fuoriclasse argentini: un modo più semplice di dire che sa di essere un Papa non paragonabile, per stile, ai Papi italiani che erano così “disciplinati”, proprio come apparivano ieri i nostri giocatori.
La battuta sul tifo che non può fare stasera ha un precedente suggestivo in Wojtyla, altro Papa sportivo, che una volta ricorse a un escamotage simile per rispondere durante un volo a una domanda in vista di una partita Italia-Polonia, quella del 14 giugno 1982, che finì in pareggio: “Per me sarà meglio nascondermi”. I Papi non italiani hanno sempre il problema di barcamenarsi tra la prima e la “seconda patria”, come Wojtyla chiamava l’Italia. Per Bergoglio l’impresa è facilitata dall’essere egli di origini piemontesi.
Infine la partita “onesta e coraggiosa” che Francesco invoca di poter “giocare” nel campo “in cui Dio” l’ha posto: fin dal primo momento egli si è presentato come Papa riformatore, in gesti e in propositi; ieri ha aggiunto che intende svolgere quell’impresa con coraggio – poniamo: di fronte a eventuali ostacoli – ma anche con lealtà verso i più che probabili oppositori.
Luigi Accattoli