Come leggere oggi il combattivo Tertulliano

Pubblicato il 24 maggio 2012 a pagina 39

L’Apologeticum di Tertulliano scritto a Cartagine nel 197 dopo Cristo è un libro perfettamente fruibile oggi da chi sia abituato alla lettura. Quinto Settimio Fiorente Tertulliano è un polemista nato capace di tenere sveglio il lettore dalla prima all’ultima pagina e la materia che affronta in questo capolavoro – la difesa del cristianesimo dalla persecuzione dell’Impero Romano e da violente aggressioni popolari – torna oggi calda in molte parti del mondo.

Tertulliano dev’essere stato – alla fine – un uomo impossibile nel suo rigorismo ma di certo fu fin dall’inizio uno scrittore godibilissimo, ottimo erede della classicità latina e geniale esploratore delle possibilità della nascente lingua cristiana. Convertito da adulto, fu prima apologeta della Chiesa e poi eretico “montanista” e infine eretico in proprio, perché pare che stesse bene solo con se stesso: morirà essendo a capo di una chiesuola tutta sua i cui aderenti presero il nome di “tertullianisti”.

Ma questi passaggi avvengono nei decenni di una lunga vita. Nell’Apologeticum, che è un’opera giovanile, non c’è lo spasmo del rigorismo apocalittico e visionario che un quindicennio più tardi lo porterà ad abbracciare l’eresia del Montanismo che predicava la fine imminente del mondo. Nella sua giovinezza egli ci appare felicemente cristiano, convertito alla nuova fede dalla testimonianza eroica dei martiri, ben deciso a mostrare che i cristiani non sono “nemici del genere umano” né “improduttivi per l’economia della società”: sono queste due delle accuse che confuta serratamente.

Con straordinario gusto per la controversia – che forse gli viene dall’esperienza dei tribunali – respinge le accuse di infanticidio e di incesto che erano mosse ai cristiani dal popolino, che vociferava di “cene” al buio nelle quali ci si cibava del sangue e della carne di bambini: accuse forse dovute a una distorsione di vaghe notizie sulla “cena eucaristica” e sulle parole di Cristo “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”.

Soprattutto Tertulliano confuta l’accusa ufficiale che considerava i cristiani nemici dell’Imperatore: egli li dimostra “leali”, praticanti ogni arte compresa quella militare: “Frequentiamo il foro, il mercato, le terme, le botteghe, le fabbriche, gli alberghi; navighiamo con voi, con voi prestiamo servizio militare e ci diamo all’agricoltura o alla mercatura”.

Afferma che i cristiani pregano per l’imperatore, pur rifiutando di prestargli una qualsiasi forma di culto: “Noi per la salvezza degli imperatori invochiamo il Dio vero”. Contrappone lo stile di vita dei cristiani a quello degli accusatori: “Tutto è da noi messo in comune fuorché le mogli”.

Tertulliano sa essere epico: “Non vi è cosa a noi più estranea della politica. Noi non riconosciamo che una sola patria di tutti: il mondo”. E non disdegna la vertigine metafisica: “Lo stesso nulla appartiene a Colui che è il tutto” dice della facoltà divina di operare la risurrezione dei corpi. E’ un maestro del paradosso: “Noi vinciamo quando siamo uccisi”.

Una pagina di letteratura fantastica è quella in cui svolge il paradosso che i cristiani potrebbero vincere la sfida con i pagani semplicemente “staccandosi” da loro per andarsene “in qualche remoto luogo del mondo”, coprendo di “vergogna” l’Impero di Roma: “Senza dubbio vi sareste spaventati di fronte alla vostra solitudine, al silenzio di ogni cosa, ad una specie di intontimento quasi la terra fosse morta”. Chissà quante volte Tertulliano l’avrà sognata negli anni questa partenza in massa dei cristiani per un luogo remoto, quasi a svuotare il mondo.

Condannato come eretico nel quinto secolo, Tertulliano ha però mantenuto una grande autorità all’interno delle Chiese cristiane fino a oggi. Benedetto XVI lo cita spesso in contesti favorevoli e senza problemi l’ha inserito nella sua rassegna dei “padri della Chiesa”, con la catechesi del 30 maggio 2007, parlando di “frutti decisivi” della sua opera ma accennando anche a un suo “dramma” personale” che lo fece “con il passare degli anni sempre più esigente nei confronti dei cristiani”, pretendendo da loro “soprattutto nelle persecuzioni” un “comportamento eroico”.

“A me fa molto pensare – concluse in quell’occasione il Papa teologo – questa grande personalità morale e intellettuale” alla quale “alla fine manca l’umiltà di inserirsi nella Chiesa, di accettare le sue debolezze, di essere tollerante con gli altri e con se stesso”.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Lascia un commento