Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 19 dicembre 2011 [in occasione della visita di Benedetto XVI a Rebibbia] a pagina 21 con il titolo: “E Roncalli disse a Regina Coeli: un mio parente finì dentro”
Due sono le immagini simbolo dei Papi in carcere: Giovanni XXIII che racconta ai detenuti di Regina Coeli di un suo parente che una volta finì “dentro” e Giovanni Paolo II che fa visita – nel carcere di Rebibbia – ad Alì Agca, l’attentatore turco che quasi l’aveva ucciso con i tre proiettili che gli aveva sparato il 13 maggio del 1981.
Roncalli era Papa da appena due mesi quando il 26 dicembre 1958 andò a “visitare i carcerati” ai quali si presentò con la sua leggendaria affabilità: “Siete contenti che sia venuto a trovarvi?” E fu su questo tono che narrò l’aneddoto del parente incarcerato perché bracconiere: “Venendo qui da San Pietro mi sono rammentato che quand’ero ragazzo uno dei miei buoni parenti, andando un giorno a caccia senza licenza, fu preso dai carabinieri e messo dentro. Oh, che impressione! Ma sono cose che possono capitare, qualche volta, anche se le intenzioni non sono cattive. E se si sbaglia, si sconta, e noi dobbiamo offrire al Signore i nostri sacrifici. Che grande cosa, fratelli, il Cristianesimo!”
La capacità roncalliana di parlare semplice fece di quella visita un capolavoro, si direbbe un “archetipo” di quell’“opera di misericordia”, ma un Papa in carcere non era affatto una novità: in obbedienza al comando evangelico “ero in carcere e mi avete visitato” quella “buona azione” era stata variamente praticata nei secoli dai vescovi di Roma ma si era interrotta dopo Pio IX, con i Papi “prigionieri”, che cioè non uscivano dal Vaticano a motivo del conflitto con lo Stato italiano seguito alla Breccia di Porta Pia (1870).
Pio IX era andato in più occasioni nelle carceri romane e il 26 ottobre del 1868 – due anni prima di Porta Pia – aveva fatto visita al Bagno Penale di Civitavecchia. Da allora passeranno novant’anni prima che un Papa torni a muoversi con frequenza per Roma. Nel suo primo Natale da Papa Roncalli va a trovare i bambini ricoverati all’Ospedale “Bambin Gesù” e il giorno di Santo Stefano va a Rebibbia: visitare gli ammalati, visitare i carcerati.
Il Papa polacco incontra Alì Agca il 27 dicembre 1983, in una cella di massima sicurezza del braccio «G7» di Rebibbia. Quella visita completa con il gesto la parola di perdono già pronunciata da Giovanni Paolo e offre al mondo qualcosa come l’ultima immagine dell’attentato, quella attraverso cui il Papa desiderava che fosse ricordato.
Mehmet Alì Agca, 26 anni, capelli neri, maglione celeste, barba di un giorno, si fa incontro al Papa. Si inchina e quasi si inginocchia, bacia la destra che Wojtyla gli tende. Poi appoggia la fronte sul dorso della mano del Pontefice.
Sulla destra della cella c’è la branda di Alì. Sulla sinistra, all’angolo opposto alla porta d’ingresso, ci sono due sedie, una con la spalliera contro il termosifone. Su questa si siede Alì, sull’altra Wojtyla. Il Papa sfiora con la destra il ginocchio dell’attentatore e gli si accosta con la testa come a dire «ora parliamo». La telecamera si ritira. Tornerà alla fine dei 21 minuti, per riprendere il saluto. «Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui», dice più tardi il Papa ai giornalisti: «Gli ho parlato come si parla a un fratello che ho perdonato e gode della mia fiducia».
Sembra destino che i Papi nelle carceri debbano andarci nel periodo di Natale: Papa Roncalli vi andò un 26 dicembre, Papa Wojtyla un 27 dicembre e Papa Ratzinger ieri, 18 dicembre. Ma sono coincidenze. Benedetto era già stato nel carcere minorile di Casal del Marmo il 18 marzo 2007. Paolo VI a Regina Coeli il 9 aprile 1964. La più solenne tra queste visite, quella per il Giubileo dei carcerati, con la celebrazione di una messa papale “servita” da due detenuti, Giovanni Paolo la fece a Regina Coeli l’8 luglio dell’anno 2000. Quel giorno Wojtyla per tre volte chiese alle autorità statali di tutto il mondo “un gesto di clemenza verso i carcerati”.
Luigi Accattoli
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