Commento pubblicato dalla Digital Edition del Corsera il 25 aprile 2017
Nella “Via Crucis” di ieri al Colosseo si è sentita per intero l’audacia femminile dell’autrice, la biblista francese Anne Marie Pelletier, che l’ha scritta su richiesta di Papa Francesco. In una decina di passaggi si avvertiva il coraggio di questa studiosa che da decenni rivendica una maggiore visibilità per le donne nella Chiesa e conduce questa battaglia nella convinzione che un ruolo sostanziale forte – seppure in parte nascosto – le donne cristiane in realtà l’hanno sempre avuto, a partire dai giorni e dalle ore della Passione di Cristo com’è raccontata nei Vangeli.
La Pelletier, che è docente di Bibbia a Parigi, fa sentire il piglio femminile della sua “meditazione” fin dai titoli delle 14 stazioni. Modificando le tradizionali intestazioni, ne propone di nuove che meglio rispettano il racconto evangelico. Per esempio la settima stazione l’intitola “Gesù e le figlie di Gerusalemme”, invece che “Gesù incontra le pie donne”.
Nell’espressione “le figlie di Gerusalemme” c’è il segno di un rapporto più rispettoso, fraterno, tra ebrei e cristiani ma anche il desiderio di rimediare, per quanto possibile, a un passato di persecuzione che si esprimeva proprio il Venerdì Santo, quando veniva gridata agli ebrei l’accusa di aver voluto la morte di Cristo.
Questo desiderio la combattiva Pelletier l’aveva già espresso nella terza stazione, quella della condanna di Gesù alla morte di croce: “Per tanto tempo noi cristiani abbiamo addossato al tuo popolo Israele il peso della tua condanna a morte. Per tanto tempo abbiamo ignorato che dovevamo riconoscerci tutti complici nel peccato, per essere tutti salvati dal sangue di Gesù crocifisso. Donaci di riconoscere nel tuo Figlio l’Innocente, l’unico di tutta la storia”.
Nel testo della biblista francese, che è mamma e nonna, viene riconosciuto alle “figlie di Gerusalemme” e attraverso di loro a tutte le donne un formidabile compito di umanizzazione legato al pianto: “Il pianto delle donne non manca mai in questo mondo”. E ancora: “I loro pianti sono anche, e innanzitutto, tutti quelli che esse raccolgono, lontano da ogni sguardo e da ogni celebrazione, in un mondo in cui c’è molto da piangere. Pianto dei bambini terrorizzati, dei feriti nei campi di battaglia che invocano una madre, pianto solitario dei malati e dei morenti sulla soglia dell’ignoto”.
Lacrime femminili che sono anche di protesta per l’universo sconvolto dalla colpa: “Pianto di smarrimento, che scorre sulla faccia di questo mondo che è stato creato, nel primo giorno, per lacrime di gioia, nella comune esultanza dell’uomo e della donna”.
La stazione undicesima la biblista l’intitola “Gesù e sua madre” e qui, nella Madonna che non abbandona il figlio crocifisso, lei vede rappresentate tutte le donne che mai abbandonano i figli, arrivando a volte a considerare propri figli tutti i tribolati: “In piedi, lei non diserta. Stabat Mater. Nel buio, ma con certezza, sa che Dio mantiene le promesse”.
La maggiore originalità nei titoli la Pelletier l’esprime nell’ultima stazione, la quattordicesima, che per tradizione era detta “Gesù è deposto nel sepolcro”, e che lei così trasforma: “Gesù nel sepolcro e le donne”. Perché nel racconto degli evangelisti le donne sono le ultime ad allontanarsi dal sepolcro e sono le prime a tornarvi la mattina di Pasqua.
“Le donne se ne sono andate. Colui che avevano accompagnato, camminando tenaci e premurose sulle strade di Galilea, costui non c’è più”: così inizia quest’ultima meditazione della teologa, che vuole ricordarci come con Gesù non vi fossero solo dei discepoli ma anche delle discepole. Ora quelle discepole – nella quiete del Sabato – preparano “i profumi e gli aromi con cui renderanno il loro ultimo omaggio al corpo di Gesù, domani, di buon mattino”, quando faranno “la scoperta di una tomba vuota, l’annuncio che lui non è più lì, perché ha spezzato le porte della morte”.
Infine è con questa preghiera al femminile che termina l’intera “Via Crucis”: “Signore, nostro Dio, degnati di vedere e di benedire tutti i gesti delle donne che onorano in questo mondo la fragilità dei corpi che esse circondano di dolcezza e di onore”.
La scelta della Pelletier come autrice della Via Crucis di quest’anno rientra a pieno titolo tra i gesti innovatori di Papa Bergoglio: è una decisione che segnala la sua intenzione di valorizzare il protagonismo femminile nella vita della Chiesa. “Oggi – ha detto una volta la biblista – diventa sempre più necessario liberare le potenzialità e la creatività di cui le donne sono portatrici”.
Così suona un’altra sua affermazione programmatica: “Ogni volta che le donne sono maltrattate e umiliate è come se una società si privasse del futuro”. La Pelletier è nota nell’ambiente vaticano: fu “uditrice” al Sinodo del 2001, nel quale il cardinale Bergoglio ebbe il ruolo di relatore, ed è collaboratrice del mensile “Donne Chiesa Mondo” dell’Osservatore Romano, diretto da Lucetta Scaraffia.
La Pelletier rifiuta l’appellativo di “femminista cristiana” ma tale è considerata in vari ambienti mentre i tradizionalisti l’attaccano come esponente del “femminismo ecclesiastico che vorrebbe guidare la Chiesa dominandola” (così “La Nuova Bussola Quotidiana” del 6 gennaio di quest’anno).
Benché le sia stato assegnato nel 2014 il “Premio Ratzinger”, che è una specie di Nobel della teologia cattolica, ed è l’unica donna ad averlo avuto fino a oggi, il mondo dei nostalgici la tiene sotto tiro. Lei del resto non nasconde l’intenzione di contribuire a uno svecchiamento della Chiesa sul versante femminile: “Oggi – afferma con decisione – un certo numero di donne prende le distanze dall’istituzione ecclesiale che ritiene poco riconoscente per l’enorme lavoro svolto dalle donne”.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it