Pubblicato dal “Corsera” del 27 novembre a pagina 42 con il titolo “La scommessa del Papa che mira lontano”
Papa Francesco rimette all’avventura la Chiesa di Roma: l’avevamo capito dal nome che aveva scelto, ma ora c’è il proclama del documento di ieri, intitolato con forte scelta simbolica alla “gioia del Vangelo”: esso mira a mettere in stato di missione l’intera comunione cattolica e afferma che per fare questo è necessario riformare tutto, compreso il potere dei vescovi di Roma. Dice di volere una “conversione del Papato” e non la spiega ma già il suono delle parole certifica che nulla di simile si era sentito dalla bocca di un Papa lungo l’epoca moderna.
Mettendo insieme ogni elemento estraibile dal lunghissimo documento, tutto di suo pugno, comprendiamo che Francesco propone un forte decentramento di competenze da Roma alle Chiese nazionali (“decentralizzazione” la chiama la cattiva traduzione dallo spagnolo), un nuovo esercizio del “primato” a promozione della collegialità, l’inserimento di laici e di donne nei luoghi delle decisioni, una vistosa contrazione del governo centrale, una povertà visibile e una visibile “opzione” per i poveri.
L’avventura a cui Papa Bergoglio mette se stesso e la sua Chiesa è di incerto esito. Incerto non solo di suo: se cioè il mondo d’oggi possa intendere un messaggio inerme di fraternità in Cristo, quale non è stato mai proposto, con tanta radicalità, dalla Chiesa di Roma, a partire da Costantino e dal suo editto di 1700 anni fa. Ma incerto anche per il soggetto cattolico che dovrebbe farsene portatore.
Basterà ascoltare due righe vergate da Papa Bergoglio per intendere quanto la sua utopia possa risultare ardua: “E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura”. Senza lasciarsi bloccare da eredità non più vitali, aggiunge poi; e da insistenze ossessive su principi etici che finiscono con l’avere un suono ideologico, e dalla tendenza a “condannare” chi non li accetti.
Un Papa che scommette tutto sulla “novità del Vangelo”, che presenta come “il messaggio più bello al mondo”, avrà la forza di portare con sé l’intera Comunione cattolica? O questa resterà prigioniera di consuetudini “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”?
Molto radicate, dice il buon Bergoglio. La Chiesa di Roma assunse presto forma statuale, i Papi fecero propri i colori bianco e rosso delle vesti imperiali, furono costruiti muraglioni e teologie per mettere in sicurezza un’impresa due volte millenaria che ora un Papa venuto dalla fine del mondo – e che ha abbandonato il rosso imperiale – vuole rifare povera e riportare in campo aperto. “Abbattere i bastioni” aveva suggerito nel 1952 il teologo gesuita Von Balthasar e un Papa gesuita sessant’anni dopo mette mano a quel progetto. E da gesuita invita a liberare il cristianesimo da legami esclusivi con una sola cultura, che sono anch’essi un bastione.
Nei tempi recenti un senso di vertigine ha sfiorato più volte il Pontificato romano. Il 13 maggio 1981 furono i proiettili di Alì Agca a risvegliare quel sentimento che è tornato a comandare alla confusione dei cuori tra il febbraio e il marzo di quest’anno con la rinuncia di Benedetto e l’arrivo di Francesco. I pieni poteri conferiti ai Papi nel segno della continuità garantivano la tenuta dell’istituzione, ma passati a un Vescovo di Roma disposto a rinunciare al Pontificato e a un altro inteso ai cambiamenti procurano ansia.
Francesco chiede un Vangelo “sine glossa” come insisteva a dire Wojtyla e richiama il monito di Roncalli ai “profeti di sventura”: sono i due Papi che ha posto a sua bandiera, e che proclamerà santi il 27 aprile. Francesco d’Assisi nella storia, Roncalli e Wojtyla nella modernità: anche per questa via giunge a una sua pienezza la figura del Papa argentino. Egli viene da lontano e mira lontano ma sa su quali pagine e facce può gettare la sorte.
E’ tuttavia verosimile che solo per il Sud del mondo il suo appello suoni come un lieto messaggio. Qui da noi l’opposizione che non mancò a Roncalli e a Wojtyla forse raddoppierà d’energia dopo il proclama di ieri formulato da un uomo che appare più che mai deciso a tutto.
Luigi Accattoli
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