Anita Pacor, istriana, muore quasi centenaria in una casa di riposo di Trieste dove aveva vissuto gli ultimi anni costretta alla carrozzella ma lucida, memore, vivace; aiutata dalla fede e dalla memoria dei pellegrinaggi a Lourdes, dov’era stata tante volte serbandone un ricordo entusiasta. La sua storia, compreso l’incontro in extremis con il Covid, è stata scritta per me da Ada Murkovic, che ringrazio. La riporto nei commenti.
Anita che chiedeva: “Quando arriverà il vaccino?”
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Si chiamava Anita Pacor la mia amica della casa di riposo: è morta il 2 febbraio, nella festa della Candelora, a meno 20 giorni dal compimento del suo 98esimo anno. Da 6 o 7 anni viveva in quella casa, distesa su una carrozzella-lettino.
Io l’ho conosciuta casualmente, andando a trovare un’altra persona che le sedeva accanto e siccome questa persona, colpita da ictus, non era in grado di comunicare, Anita faceva da interprete.
Inizialmente era diffidente verso di me, me lo confessò dopo, forse per l’emergere dell’atavica paura istriana nei confronti degli “slavi”.
Per cinque anni ci siamo viste ogni settimina. Si dice che quello che si riceve è più di quello che si dà: con Anita l’ho proprio provato. Discreta, umile, intelligente, sensibile. Con una grande fede che non ha perso nella condizione in cui s’ è trovata: senza potersi mai alzare, con le mani rattrappite, la vista ridotta, problemi di udito.
A fine febbraio dell’anno scorso, all’avvio della pandemia, furono vietate le visite alla casa di riposo e incominciarono le nostre quotidiane telefonate.
Anita era triste e preoccupata. Col passare del tempo la reclusione le pesava sempre di più. Le mancava il conforto religioso, la messa, l’Eucarestia, la confessione. Cercavo di supplire pregando con lei. Le è tanto piaciuta la preghiera di Papa Francesco a San Giuseppe e mi chiedeva spesso di recitargliela.
Xe parente de niente. Verso la fine di giugno la Direzione della casa aveva riaperto alle visite: una ogni quindici giorni per 20 minuti, con mascherina, guanti e distanziati a due metri. Condizione ideale per parlare con una persona debole di udito.
“Questo xe parente de niente” (questo è uguale a niente) aveva sentenziato Anita con il suo senso dell’umorismo.
Alla fine di settembre le visite sono state riabolite ma le telefonate sono continuate. C’erano giorni nei quali parlavamo più di un’ora. Anita si interessava a me e poi raccontava. Bravissima a raccontare. Precisa. Essenziale. Una vita dura, molto povera fino all’età adulta. Una vita da profuga, dalla sua amata Capodistria. Sentivo che lentamente la tristezza si insinuava in lei, temeva che la pandemia non finisse presto. “Quando arriverà il vaccino? Ci vuole tempo per provarlo” diceva. La solitudine le pesava. Mangiava poco, si rendeva conto di sognare e di passare dal sogno alla realtà. Aveva paura di perdere lucidità. Comunque ogni mattina offriva la sua giornata al Signore e faceva la comunione spirituale.
Agli inizi di dicembre era spossata, un fil di voce appena comprensibile. L’hanno spostata di stanza quattro volte in una settimana. Senza le sue cose.
Cercai di parlare con il Direttore. Era disperato: “Siamo in guerra”, mi disse. Il Covid era entrato nella casa.
C’è stato uno sterminio. Anita non chiamava più, non rispondeva alle mie chiamate. Qualche volta un operatore di buona volontà mi metteva in contatto con lei.
Dopo Natale la trovai attaccata all’ossigeno, con fatica e voce flebile mi raccontò che era andata in città, che aveva incontrato la mamma. Pregammo insieme un’Ave Maria.
A metà gennaio Anita aveva superato il Covid, si era “negativizzata”, e allora le nostre telefonate sono riprese quasi quotidianamente. Aveva ritrovato la sua lucidità e anche il suo umorismo ma era provata nel fisico.
“Sono stanca” mi diceva e aggiungeva: “Qui c’è stato uno sterminio, si ricorda di… e di… se ne sono andate”.
La sua voce era flebile e il suo udito sempre più scarso. Mi facevo sentire a gran voce, mi udivano gli operatori che erano intorno a lei e lei no. “Colpa del telefono che non funziona”, diceva.
L’ultima volta che l’ho sentita è stata domenica 31 gennaio. Due brevi telefonate. Le ultime.
Ringrazio il Signore per avermi dato il dono di conoscere Anita grande piccola santa donna.
Ottantadue storie. Questa di Anita Pacor è l’ottantaduesima vicenda da Covid – 19 che racconto nel blog. Per vedere le altre vai al capitolo 22 “Storie di pandemia” della pagina “Cerco fatti di Vangelo” elencata sotto la mia foto:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/22-storie-di-pandemia/