“Una donna grazie alla fisioterapia è riuscita a riprendere l’uso della mano per poter mangiare da sola, dopo tre giorni è morta, ma ricordo ancora la sua faccia contenta. Se fosse anche solo per un minuto di contentezza, perché non dovremmo farlo?“: parole di Aldo Trento missionario ciellino in Paraguay che si dedica all’assistenza dei malati terminali in una clinica che ha realizzato otto anni addietro per i malati di Aids che vedeva morire per strada. Lo saluto con un bicchiere di Vino Nuovo.
Alto Trento: “Anche solo per un minuto di contentezza”
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Sì, anche solo un minuto di contentezza può voler dire molto, moltissimo.
Per situazioni sicuramente molto meno drammatiche di quelle descritte da Luigi, è uno dei miei princìpi.
Buona giornata.
F.
P.S. Scusa Luigi e scusatemi tutti per questo off topic: il testo di Von Balthasar sul Credo Apostolico non l’ho trovato: la maggior parte delle Biblioteche (indicatemi da Antonella) non sono ad accesso libero o comunque non effettuano prestito.
Pazienza.
Un abbraccio!
La logica del testamento biologico e dell’eutanasia è contraria ed esclude la possibilità anche di un solo minuto di contentezza.
Ricordiamocene quando il dibattito pubblico affronta tali questioni.
Testimonianza commovente.
Grazie di cuore Aldo Trento!
Volevo aggiungere anch’io un grazie di cuore ad Aldo Trento.
La logica del testamento biologico è cosa completamente diversa da quella del’eutanasia. Vediamo di non andare giù sempre e comunque per le trippe, quando si parla di questi temi.
La logica è la stessa.
La vita non è più degna di essere vissuta, non consente più nemmeno un “minuto di contentezza”, e si può decidere di porvi una fine “anticipata”.
Sono temi delicati, non si può generalizzare, ma la logica è quella.
La fine anticipata della vita è oggetto dell’eutanasia, niente affatto del testamento biologico in sé.
Il testamento biologico a cosa è finalizzato?
Intendo dire: il testamento biologico consente maggiori e migliori cure all’ammalato o è semplicemente la rinuncia a qualsiasi intervento (idratazione e alimentazione comprese) perchè si arrivi alla fine della vita?
Il testamento biologico è un contenitore vuoto.
Occorerebbe , con calma e ponderazione, stabilire che cosa metterci dentro e che cosa, assolutamente, non ci va messo ( forme mascherate di eutanasia).
Ma prendere a martellate il contenitore stesso, per paura del contenuto che ci puo’ stare, è irrazionale e sbagliato. Non per nulla la posizione originaria dei cattolici era assai piu’ aperta in origine su questo strumento. Poi si è preferito chiudere la saracinesca. Ma è una chiusura che non porta da nessuna parte, e tantomeno definitiva.
Non vorrei però guastare il sapore e la bellezza di questo post con una polemica che c’entra come i cavoli a merenda.Così come il tirare in ballo qui questi argomenti.
Ringrazio anch’io Aldo Trento, e mi soffermo sulla sua domanda:
“Se fosse anche solo per un minuto di contentezza, perché non dovremmo farlo?“ e ci azzardo pure una risposta: per paura. La gran parte degli abbandoni dei sofferenti è messa in atto- senza pensarci su tanto – per paura di star male a veder soffrire prima ancora che per egoismo cattivo e cinico. E ci condisco pure una considerazione: per questa paura, ci si priva di qualcosa di enorme. Scrivo ” ci si priva “. Non “priviamo gli altri”.
Chi ha l’occasione di cogliere , la fortuna di vivere questi “momenti di contentezza” sulla faccia di qualcun altro ,qualcuno che ci ha permesso di stare con lui per cercare di renderglieli possibili, prova qualcosa che non si sa esprimere bene.
Solitamente si dice ” gioia”, ma è termine abusato e riduttico, una sbiadita approssimazione.
Testamento biologico è un solo un’espressione verbale, ma di fatto sta descrivendo il primo passo verso norme proeutanasiche.
La logica dei registri sul “testamento biologico” è quella ed è per quello che i cattolici sono contrari.
Non so
come si possa “condividere la sofferenza” dal momento che, come si diceva dalle parti dove sono nato: “La tempesta è di chi la prende ed il male di chi ce l’ha”.
Sono però convinto che si possa “condividere la gioia”.
Penso per esempio ad un bambino al quale viene insegnato a dire “mamma”: il giorno in cui pronuncia quella parola è una gioia che viene condivisa dal bambino e da chi gliel’ha insegnata.
Per analogia penso ad una persona disabile che non ha mai potuto mettere un piede davanti all’altro per camminare, o che non ha mai potuto stringere la mano di un altro essere umano, che non mai potuto accarezzare o abbracciare nessuno, che non ha mai sentito il suono della propria voce nè quello delle altre voci…
Ecco: vedere una persona fare cose che non ha potuto mai fare prima penso sia una gioia che si possa anche “condividere” oltre che “provare”. A prescindere dalla fatica impiegata per raggiungere quell’obbiettivo e dal tempo in cui è durata la gioia. E scoprire che ne valeva la pena.
Provare per credere.
Scoprirete che non è solo una questione di fede ma anche una gratificazione del cuore (naturalmente di chi un cuore ce l’ha…)
Io
per paura del dolore,
potrei preferire la morte.
Per questo mi è difficile
giudicare chi sceglie la morte.
Sono altresì contento di vedere testimonianze di vita
nell’approccio alla morte,
ma
l’esperienza mi insegna che non vale per tutti.
Ciascuno ha la sua dignità,
da rispettare,
nel voler vivere,
nel voler lasciare la vita.
Nell’attesa della rivelazione…
Anch’io ringrazio per la gratuità con cui sono vissuti questi gesti…
proprio perché sembra non serva a nulla,
come la croce.
Grazie.