Nell’anniversario della partenza di Adriana Zarri per l’Ovesturia dedico ai visitatori la sua PREGHIERA D’INVERNO in cui sono queste parole che mi sono d’aiuto e che faccio mie: “Facci attendere, Dio, senza stancarci, / senza timore di morire per sempre (…) / Aprici gli occhi, o Dio, / facci vedere ciò che non si vede”. L’intera poesia è nel primo commento.
Adriana Zarri: Preghiera d’inverno
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Preghiera d’inverno
di Adriana Zarri
Ora è la morte,
Ma non è la morte:
è soltanto l’attesa.
Facci attendere, Dio, senza stancarci,
senza timore di morire per sempre.
Anche i colori sono trapassati
dal verde, al giallo, al viola,
al grigio.
Presto sarà la neve
come un immenso fiore bianco,
grande quanto la terra.
Il mondo è sbocciato di gelo
e il bianco è la somma dei colori
Dopo il fiorire e il declinare della vita,
l’inverno, o Dio, è la tua eternità.
E sulla neve
candide danze di angeli
e carole di santi luminosi,
che non lasciano impronta.
Aprici gli occhi, o Dio,
facci vedere ciò che non si vede,
facci danzare coi beati
e guardare i tuoi occhi:
più vasti
di una pianura innevata
più bianchi
di un gelido novembre
più caldi
di un fuoco acceso
in una notte d’inverno.
[da Il pozzo di Giacobbe. Geografia della preghiera da tutte le religioni, Camunia, Brescia 1985, pagina 260]
Bei versi,
però, Luigi,
hai confuso la Terra di Mezzo (Ovesturia) con Valinor
(nulla di strano, in tema di dissenso cattolico…)!
Versi stupendi. Un sublime inno a Dio.
Versi meravigliosi e molto profondi.
straordinaria…semplicemente straordinaria.
Si, splendida poesia, belle parole, ma nascondono una incomprensione: “Aprici gli occhi, o Dio, facci vedere ciò che non si vede”
Se Dio facesse questo “miracolo” gratis, dove finirebbe il merito per lo sforzo fatto personalmente, da chi volendo “vedere “ non si aspetta il miracolo ?
Il miracolo avviene non come un semplice “regalo gratuito” ma quando il dono ha uno scopo e una ragione precisa, altrimenti sarebbe solo un regalo sprecato. Viziare un figlio pigro che non vuole sforzarsi di seguire il consiglio.
“ E udivo la voce di un uomo terreno in mezzo all’Ulai, e chiamava e diceva: “Gabriele, fa comprendere a quello lì la cosa vista”. Egli venne dunque presso il luogo dove stavo io, ma quando venne mi atterrii tanto che caddi sulla mia faccia. E mi diceva: “Comprendi, o figlio dell’uomo, che la visione è per il tempo della fine”. ( Daniele 8.16)
Si tratta di capire le cose che si vedono.
La rivelazione avvenne e avviene non perché richiesta ma perché scelta e avviene per motivi diversi dalla semplice curiosità. “Se continui a cercarlo come l’argento, e continui a ricercarlo come i tesori nascosti, in tal caso comprenderai il timore di Geova, e troverai la medesima conoscenza di Dio.” ( Proverbi 2.4-5) – (Proverbi 1:24) “Poiché ho chiamato, ma voi continuate a rifiutarvi, ho steso la mano, ma non c’è nessuno che presti attenzione,”
Le cose invisibili si “comprendono” con l’occhio della mente o l’occhio spirituale. Ma se si continua a tenerlo chiuso come si fa a chiedere di vedere senza aprirlo ?
Lycopodium chiedo scusa per la confusione – grazie d’averla segnalata.
Parole che possono essere d’aiuto…Sì, perché no.
Tutto può esserci d’aiuto (e che la nostra piccola preghiera, “L’eterno riposo”, possa essere d’ aiuto a te, cara Adriana).
Ma “bei versi”, “versi stupendi”, “versi meravigliosi”, “sublime inno”, poesia “straordinaria”…via, non scherziamo ragazzi, no, proprio no.
Posso riportare i piedi per terra, nella terra della poesia? Ecco una ben diversa “preghiera d’inverno” (io almeno la considero tale) : è “Snow man” di Wallace Stevens, nella traduzione di Nadia Fusini (C’è da dire la poesia, quando è tale, per me è tutta preghiera).
Bisogna avere una mente d’inverno
per osservare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve;
e avere patito tanto freddo
per guardare i ginepri ricoperti di ghiaccio,
gli abeti ruvidi nel distante riflesso
del sole di gennaio; e non pensare
alla miseria che risuona nel vento,
tra le rade foglie,
il medesimo suono della terra
attraversata dal medesimo vento
che soffia nello stesso spazio spoglio
per chi in ascolto, ascolta nella neve,
e lui stesso un nulla, guarda
il nulla che non c’è e il nulla che c’è.
«Portando seco un Ramingo, è opportuno prestare orecchio alle sue parole, specialmente poi se il Ramingo è FIORENZA».
GRAZIE!!!!!!!!!!!!!!!!!
🙂
Fiore d’inverno…
bentornata
.-)
Ma perché la poesia per essere bella deve essere triste e malinconica?
W la Zarri e un grazie a Luigi.
PS: tra l’altro il testo riportato è in forma di poesia ma è una preghiera.
Questione di sensibilità cara fiorenza. Personalmente sdoganare Wallace Stevens, il poeta intellettuale per eccellenza che amava unire erotico ed esotico -e ardeva dal desiderio di fare l’amore in una pagoda- preferirlo ad una personalità mistica tra le più interessanti che il nostro novecento ricordi mi sembra davvero eccessivo, anzi, una vera presa di posizione a fortiori…
Tra le due ritengo di gran lunga più toccante, pregna di speranza e di attesa la poetica “Zarriana”, che non il tetro incedere dalle rimembranze foscoliane il secondo da te citato..
Se per lei fiorenza, quella poesia di Stevens si fa “preghiera” e quella della Zarri un insulso vagheggiare di versi ..mah…francamente …non riesco a comprendere il suo sentimento religioso men che meno la sua capacità di discernimento…
comunque, de gustibus non est disputandum !
Bella anche la poesia riportata da Fiorenza, ma non meno bella quella di A.Zarri. Hanno significato diverso, ed è questione di gusti.
Tanto per dire, una stessa poesia di Leopardi può essere molto bella per me e non esserlo per un’altra persona; così come un poeta che piace a me può non piacere ad altri.
I versi di qualsiasi poeta hanno risonanze diverse a seconda della diversa sensibilità di chi li legge.
“Ma perché la poesia per essere bella deve essere triste e malinconica?” osserva Marco.
Forse perché la tristezza e la malinconia toccano corde più intime, che riecheggiano nostalgia e domande sulla nostra fragilità e sulla bellezza di una vita destinata a sfiorire, a “declinare” appunto.
La poesia di Adriana, però, a differenza di quella di W. Stevens, apre lo sguardo sul “dopo”, ed è Speranza. Quella dell’incontro con Dio.
Per questo è bella e consolante. Una preghiera, appunto.
L’eterno femminino all’opera…
Non credo che il parere espresso da Fiorenza tolga o neghi la profondità delle parole di Zarri, che tuttavia non mi sembra fosse principalmente una poetessa.
Anch’io scrivo versi, forse profondi finché si vuole, ma certo non paragonabili per bellezza a quelli di chi poeta lo è sul serio.
E se il poeta è un debosciato, questo nulla toglie alla grandezza del suo poetare.
Ma anche questo è un parere. Grazie a Dio ci sono cose in cui si possono avere pareri diversi senza per questo apprezzarsi di meno l’un l’altro.
Ho sentito in un convegno Adriana Zarri parlare della sua personale forma liturgica. Ieri sera ho partecipato ad una liturgia eucaristica post-conciliare che non descrivo per non suscitare i soliti commenti. Stamattina il cardinale Burke, con tanto di coda rossa, ha celebrato un pontificale tridentino per riaprire, dopo i restauri, la chiesa di Santa Chiara alle Murate della mia città. Oltre al canto gregoriano, c’era la balaustra con tovaglie candide, e non mi vergogno di dire che ho indossato il velo nero della mamma. Troppo sincretismo? Ho pregato bene sia con l’una che con l’altra modalità dello stesso rito. La fede non è cambiata. Questo è importante.
Certo alla Chiesa di oggi sono più adatte le catacombe che i pontificali al trono. Ma è bello anche riscoprire il passato.
Nico, cosa significa “poeta lo è sul serio”? Anche i tuoi versi potrebbero essere poetici e molto belli. Basta non ritenere “poesia” solo quella che risponde a determinati canoni ritmici. In questo senso anche certa prosa è poesia.
Conosci le poesie di Cesare Pavese? Prosa di grande profondità.
E le poesie degli ermetici? E i salmi?
Conosco, Marilisa…
Ma non è un canone stilistico ciò intorno a cui voglio discutere, ma l’infinita gamma di significati, quasi inesauribili, che una poesia dischiude.
A mio parere Zarri ha scritto non una poesia ma una intensa, magnifica preghiera. Che non può essere altro e che, non a caso, rientra in una raccolta di preghiere.
Giusto per “infiorare” il tuo intervento a suggello di quanto testé appena detto,cara mary, ti cito Rainer Maria Rilk..e non è un copia incolla, la conosca a menadito. Si intitola: Dimmi qual’è il tuo compito, Poeta?
Dimmi, qual’è il tuo compito poeta?
-Io celebro
Ma il mostruoso, il micidiale
come lo accetti, come lo sopporti
-Io celebro
Ma il Senzanome, l’Anonimo
come, poeta, tuttavia lo nomini?
-Io celebro
Donde trai il tuo diritto d’esser vero
in ogni maschera, in ogni costume?
-Io celebro
E, come può la quiete ed il furore conoscerti?
E la stella, e la tempesta?
– Perché Io celebro
La poesia non ha bisogno di tecniche, sgorga da una sensazione profonda e da un sentimento indelebile. Così una persona certamente non colta mi ha descritto l’arrivo delle truppe inglesi nel 1944 (allora era un bambino, quando raccontava era un anziano):
“Dal Col di Giano ci siamo di nuovo diretti alla Cima del Tesoro, dove sentivamo provenire dalla valle COME UN TEMPORALE LONTANO, COME UN URAGANO INVISIBILE: erano i carri armati alleati che si avvicinavano”.
Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano
logorare un po’ la propria soglia di casa già alquanto
consunta
anche loro, dopo dei tanti di prima,
e prima di quelli di dopo… leggermente
(R. M. Rilke – Nona elegia)
…e di fronte a Rilke non mi resta che tacere…
E in una delle sue lettere [ma non in quelle ad un giovane poeta] Rilke dice una frase indimenticabile che ho fatto mia
«…ancora e sempre, anche se conosciamo il paesaggio dell’amore… ancora e sempre usciamo in due/sotto gli alberi antichi, ancora e sempre ci sdraiamo in mezzo ai fiori, di fronte al cielo. Noi siamo le Api dell’Invisibile. Bottiniamo perdutamente il miele del visibile per accumularlo nella grande arnia d’oro dell’Invisibile»….
Trovo stupenda questa frase …
Nico, non sono d’accordo, scusami. Non è sempre come tu dici. Le poesie classiche, per esempio, non hanno una “infinita gamma di significati”. Per ritornare al già citato (da me) Leopardi, la poesia “A Silvia”, per esemplificare, ha un profondo significato unico; e quasi tutte le poesie, anche moderne, sono costruite su un concetto basilare attorno a cui si articolano varie immagini espresse con parole diverse e suggestive, e con metafore, che rispondono all’urgenza del poeta di espandere e arricchire quel determinato concetto di fondo.
“Celebrare” nel senso di dare particolare risalto ad un pensiero, ad una emozione, ad una forte ispirazione, mi sembra il verbo appropriato.
E dice bene Antonella Lignani quando afferma: “la poesia…sgorga da una sensazione profonda e da un sentimento indelebile”.
Ci sono anche canzoni che sono poesia pura. Penso, per esempio, a quelle di Fabrizio De André. Qualcuno può confutare che molte di esse sono poesia? Non credo.
Del resto, non è detto che la semplicità non possa significare espressione poetica dei sentimenti.
Tornando ad Adriana Zarri, è certo che non fosse “principalmente una poetessa”.
Ma come non definire poesia questi versi:
presto sarà la neve
come un immenso fiore bianco,
grande quanto la terra.
Il mondo è sbocciato di gelo
e il bianco è la somma dei colori
…………………………
facci danzare coi beati
e guardare i tuoi occhi:
più vasti
di una pianura innevata
più bianchi
di un gelido novembre
più caldi
di un fuoco acceso
in una notte d’inverno.
Io li leggo come una preghiera delicata e poetica. E rasserenante. Tutta la poesia-preghiera ha toccato il mio cuore. Per questo ho definito di getto “stupendi” i versi di A. Zarri, niente togliendo ad altri versi, stilisticamente più complessi e molto significativi, proposti successivamente.
Marilisa, continuiamo ad avere prospettive diverse, ma va bene così.
Buona serata
🙂
Leggo ora, e condivido con voi, da Vinonuovo, un “fulminante guizzo poetico” di Alda Merini, in una lettera al Papa:
“Abbracci le donne, sono fredde come il ghiaccio”.
Di ghiaccio? Mettile una di fronte all’altra e vedrai che fuochi…
La “Messa secca” di Adriana Zarri. “Al mattino celebro la liturgia (…) quella che gli antichi chiamavano missa sicca, messa secca. Ho già con me l’Eucarestia, seguo tutto il rito della Messa e al racconto della Cena porto sull’altare l’Eucarestia, che conservo nella riserva, e poi faccio la comunione” (Marco Politi, Il ritorno di Dio. Viaggio tra i cattolici d’Italia, Mondadori 2004, p. 171).
Ancora sulla “Messa secca” di Adriana Zarri. “Ricordo la cappella: sobria, illuminata da un lucernario. Ma lei amava questo luogo. Ogni tanto, dopo aver celebrato la messa, il sacerdote lasciava il pane e il vino consacrati e lei si ritirava qui in silenzio. Quotidianamente ‘celebrava’ la ‘Messa secca’: per intendersi, lo stesso iter di una celebrazione eucaristica, con letture e preghiere identiche, ma senza la consacrazione. ‘Mi comunico con il pane e il vino della riserva eucaristica’, aggiunse: ‘fanno così molti anacoreti'” (Francesco Antonioli, Un eremo è il cuore del mondo, Piemme 2011, p. 206).
Annalena Tonelli e l’Eucarestia. “Nel 1971 Annalena aveva ottenuto dal vescovo di Garissa, nel Nord-Est del Kenya, il privilegio di tenere con sè il Santissimo Sacramento. Il mio predecessore a Mogadiscio, Mons. Salvatore Colombo, le concesse lo stesso privilegio. Ricordo che P. Venanzio Tresoldi ofm andava di quando in quando da Mogadiscio a Belet Weyn per celebrare la Messa soprattutto per lei. Lo stesso continuai a fare anch’io quando, diventato amministratore apostolico, Annalena me lo chiese, sia a Merca che a Boroma. L’ultima Messa che celebrai con lei fu all’inizio di Agosto 2003 quando mi recai a Boroma. Al termine della Messa, eravamo solo io e lei, cambiai l’ostia consacrata precedente e in un purificatoio le lasciai una parte dell’Ostia grande con la quale avevamo celebrato la Messa. E’ questa Ostia che tra la fine di Ottobre e l’inizio di Novembre 2003, dopo l’uccisione di Annalena, P. Sandro, mio vicario generale a Gibuti, ritrovo’ dopo una attenta ricerca, come ci dice il libro “Io sono nessuno”, a pag. 15 : “Dentro un armadio, in un sacchetto di pelle morbida c’é una croce francescana e un purificatoio nel quale c’é l’Ostia consacrata …un po’ consumata dal tempo e spezzata in più punti ma completa. Dopo aver ottenuto la facoltà di conservare il Santissimo Sacramento nell’abitazione dove viveva con alcune delle sue compagne a Wajir, Annalena scrive cosi’ : :”Ora la casa ha il suo Padrone. La sicurezza e la pace che dà la sua presenza stanno diventando la forza e l’equilibrio della mia vita” (Io sono nessuno, pag. 126)”. Così Giorgio Bertin vescovo di Gibuti al Congresso Eucaristico di Bari il 25 maggio 2005: http://www.chiesacattolica.it/congrec/25/Bertin.doc
Suvvia Luigi, un po’ di decoro!
Distingue frequenter. La condizione di Annalena Tonelli, in Somalia (in Somalia!), non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella della pretessa gattara in Italia.
Caro Luigi, è la prima volta che – dacchè leggo libri di liturgia – sento lodare la missa sicca. Quandoque bonus…
Lyco non lodavo. Fornivo gli elementi per intendere il fatto.
Molto bella. Ma dalla mia adolescenza mi ha sempre colpito anche questa bella poesia di Ada Negri:
Come le foglie in autunno
Fammi uguale,Signore ,a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano,sì,ma non di pena: è tanto
limpido il sole,e dolce il distaccarsi
dal ramo per congiungersi alla terra.
S’accendono alla luce ultima,cuori
pronti all’offerta; e l’agonia ,per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così,senza lamento,
penetrata di Te come del sole.
Ada Negri, Mia giovinezza
Soldati (G. Ungaretti)
Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie.
La medesima immagine, ma quanto diversa…
Che bella Ada Negri , quante poesie di questa autrice ho studiato, quante!!! Grazie prof Savigni, è bellissima!
Poesie che fanno parte di quel ” sacro calato tra l’umile e sublime” di un “Novecento discontinuo ma non estraneo che apre con le citazioni bibliche di D’Annunzio e gli approfonditi passi e passaggi da Ada Negri ad Antonia Pozzi, da Cristina Campo ad Alda Merini, donne diversamente ma profondamente toccate dal testo biblico – che dell’imprendibilità del Verbo hanno fatto prensile poesia”
“Sacro calato tra l’umile e il sublime”: che bello Clo, grazie.