“Ho ritrovato la donna scomoda, affascinante per alcuni e repulsiva per altri che tutti ricordiamo, ma anche il profondo fulcro spirituale che avevo indovinato nelle mie letture giovanili e che ora ho potuto approfondire e spero mettere in luce, confortata da molte testimonianze. L’amicizia con padre Calati era conosciuta, meno o per niente quelle con i teologi Giannino Piana e Piero Coda”: così Mariangela Maraviglia, cultrice di memorie vive del mondo cattolico del Novecento, mi segnala che oggi sono dieci anni esatti dalla morte di Adriana, gattara ed eremita. Nei commenti ricordo la mia relazione d’amicizia con lei e segnalo il lavoro di approfondimento svolto da Mariangela.
Adriana Zarri la sua fede e i suoi gatti dieci anni dopo
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Adriana Zarri, scrittrice, eremita, amante dei gatti, se ne va nella notte tra il 17 e il 18 novembre 2010, a 91 anni. Ho conosciuto Adriana nel 1969 nella sua casa sull’Appia Nuova, a Roma. Io ero un giovane fucino, lei allora collaborava con l’Osservatore Romano, in atteggiamento quasi sempre conflittuale. L’ho poi seguita nelle sue collaborazioni e pubblicazioni spesso in disaccordo sulle sue posizioni trancianti ma sempre amando la sua libertà di parola, la sua femminina parresia (schiettezza) e la sua tenerezza per la natura, la montagna, i fiori e i gatti.
Per la sua tomba aveva scritto questa epigrafe:
Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e sulla croce,
la tua resurrezione.
E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba.
E dirà
che ho vissuto,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.
“Epigrafe” è alla pagina 99 del volume “Tu. Quasi preghiere” che Adriana aveva pubblicato da Gribaudi nel 1971. Don Ernesto Vavassori – che concelebrò la messa di addio per Adriana con il vescovo Luigi Bettazzi – mi disse allora che sulla tomba – che è nel cimitero di Crotte, la frazione di Strambino, Torino, dov’è l’eremo di Ca’Sassino dove lei abitava – è stato seminato del trifoglio nano, in obbedienza alla richiesta di Adriana di avere “un’epigrafe d’erba”. “Le abbiamo messo una gonna con roselline molto delicate, una camicetta chiara ed un gilet che richiamava il colore tenue delle roselline. In mano un ramo e poi la Bibbia aperta al brano della Samaritana come ci aveva chiesto”: così Bruna Pietranera, animatrice del gruppo Amici di Adriana, mi aveva informato allora su come Adriana era stata “vestita” in vista della sepoltura.
Mariangela Maraviglia, “Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri”, Il Mulino, Bologna 2020.
In un’intervista per Letture.org così Mariangela Maraviglia risponde alla domanda su quale sia l’eredita culturale e spirituale di Adriana Zarri: “In uno dei suoi libri più noti, ripubblicato in Un eremo non è un guscio di lumaca (Einaudi, 2011), Adriana scriveva di voler essere ricordata semplicemente come «una persona che vive».
Credo anch’io che l’eredità più vera di Adriana Zarri sia l’intensità e la persuasione della sua stessa vita, intrecciata con la necessità, per lei imprescindibile, della scrittura, del pensiero, della preghiera, in cui si possono rintracciare una gran varietà di trame culturali, spirituali, teologiche.
Al fondo si riconosce una concentrazione sulla ricerca di Dio che non diventa mai fuga dal mondo ma si fa alimento critico, potenziale di opposizione e di resistenza contro le sue storture; si individua uno sguardo contemplativo capace di prendersi cura della terra e delle sue creature, praticando con stile inconfondibile il linguaggio della bellezza e l’armonia di un’esistenza “ecologica”; si apprezza l’attitudine ad accogliere e rileggere il mistero cristiano con una libertà e una radicalità che fanno di lei una delle donne «assolute», «imperdonabili» che hanno attraversato la storia del Novecento.
Il teologo tedesco Karl Rahner, che Adriana amava e seguiva, in uno dei suoi detti più noti affermava: «Il cristianesimo del futuro o sarà mistico non sarà». Adriana è un esempio di questo «cristianesimo mistico» e, credo, una possibile fonte di ispirazione e confronto per i nostri tempi appiattiti sul materiale e l’esteriore ma animati da una silenziosa esigenza di spiritualità e di senso profondo delle cose.
Mariangela Maraviglia, dottore di ricerca in Scienze religiose, membro del Comitato scientifico della Fondazione don Primo Mazzolari e della rivista «Religioni e società», si è occupata di personalità del cristianesimo contemporaneo impegnate in ambito sociale e nel dialogo ecumenico. È autrice, tra l’altro, di David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992), Morcelliana, Brescia 2016; Don Primo Mazzolari. Con Dio e con il mondo, Qiqajon, Magnano 2010; e curatrice di Sorella Maria di Campello, Primo Mazzolari, L’ineffabile fraternità. Carteggio (1925-1959), Qiqajon, Magnano 2007.
https://www.letture.org/semplicemente-una-che-vive-vita-e-opere-di-adriana-zarri-mariangela-maraviglia
Fiorai per le tombe più care. Io proprio ieri stavo ricordando don Gianni Baget Bozzo a dieci anni dalla morte. Ora Mariangela mi ricorda che sono dieci anni anche per Adriana. Mariangela ed io, fiorai per le tombe più care.
https://gpcentofanti.altervista.org/gli-aiuti-chiave-della-mia-vita/
Una delle tante figure messe ai margini nell’inverno del postconcilio wojtyliano.
Ancora oggi in tanti la snobbano, ma la sua creatività nel vivere la fede resta un dono per tutta la Chiesa.
Alberto Farina
Mi unisco al compianto per Adriana Zarri. Una volta ho assistito a una sua coferenza (in presenza, naturalmente, ancora non c’erano quelle in remoto.
https://commentovangelodelgiorno.altervista.org/commento-vangelo-20-novembre-2020/
Rif. 18 novembre – ore 19.45 – Adriana, teologa
Sono tra quelli che chiamavano (alla fine) la Zarri teologhessa.
Però da “giovane giovane” avevo letto di lei Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità; e Teologia del probabile. Sicuramente ho scorso bene anche il Tu, quasi preghiere. Senza presunzione porto anch’io un esemplare di trifoglio sulla sua tomba.
La leggevo sempre su “Il Manifesto”: era (ed è) una grande figura della nostra Chiesa.
Roberto Caligaris
Troppo notte per essere vista
Novembre 20, 2020 / gpcentofanti
La storia di Gesù è anche la storia di una dittatura internazionale organizzata anche tramite burattini del posto. La differenza rispetto alla tirannide soft di oggi sta nel seme di ricerca integrale del vero, in quel tempo, che poneva alcuni in attesa del nuovo venire di Dio. Chi cerca oggi il vero ovunque ve ne sia possibile traccia? La fede è stata in molti casi neutralizzata confinandola in un’anima disincarnata. Pochi cristiani appaiono interessati ad un rinnovamento integrale, anche filosofico. La cultura è impastata di codici di apparato, ruoli, competenze, notorietà…
Chi cerca i semi del vero ovunque siano e da chiunque provengano? L’autentica, integrale ricerca del vero è spenta dal sistema suddetto. La conseguenza è che anche nel mondo della cultura, dell’informazione, non pochi sono ripiegati sui propri interessi, sulle proprie vedute di corto respiro. Facendo il gioco dei potenti. Ed in modo drammaticamente inconsapevole. Il tecnicismo ha distrutto radicalmente l’umano e quasi nessuno se ne avvede. Non basta fare cose controcorrente, bisogna rinnovare i cuori integrali, non le mere anime, cercare il vero ovunque e da chiunque. Brillerà la scintilla prima del crollo totale? E come se non si vede che è notte?
Grazie Luigi della libertà che c’è su questo blog.