Ieri in serata è morto a Rieti a 85 anni il vescovo Lorenzo Chiarinelli, amico mio di gioventù e poi sempre fratello maggiore nei giorni e nelle notti di tanti decenni. A ricordo immediato riporto nei commenti la prefazione che nel 2007 scrissi per un suo libro EDB intitolato “Padre, dimmi una parola”. “Come civetta che vede nella notte” era il titolo della mia prefazione.
Addio a Lorenzo Chiarinelli “civetta che vede nella notte”
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Signore che ami la notte. Prefazione 1
Il vescovo Lorenzo ama gli uccelli notturni e li raccoglie in
effigie. Ne ha più di un centinaio sulle mensole, sulle
scrivanie, sulle librerie del vescovado di Viterbo, riprodotti
in vetro e resine colorate, scolpiti nel legno e nella pietra,
modellati in terre cotte. Sono civette e barbagianni, allocchi e
assioli, gufi comuni, gufi di palude, gufi reali.
Mi spiega che sono una decina le specie degli strigidi, cioè
degli uccelli simili alla civetta (strige, dal latino strix) che,
come lei, vegliano e scrutano nella notte, presi a emblema
dalle comunità monastiche. Anche i monaci di Bose hanno la
civetta della vigilanza come simbolo della loro fraternità. La
realizzano in terracotta e la vendono insieme ai libri e alle
marmellate.
Consiglio al lettore che non conosca il vescovo Lorenzo
per altra sua impresa – ne ha molte, come diremo – di leggere
per prima la pagina 41 di questo volumetto, che è intitolata
“Notturno” e si presenta, come altre tre, in forma di poesia:
«Signore, che ami la notte:
a me desta oscuro stupore la notte.
Ma amo gli uccelli notturni,
perché nella notte sanno vedere,
hanno occhi capaci
di penetrare la tenebra fitta.
Di questi occhi
oggi c’è grande bisogno».
Fa che la mia notte non sia oscura. Prefazione 2
Il vescovo Lorenzo pensa molto al suo tempo, cioè ai
giorni nostri, li ama a motivo dei loro abitatori, trema per
loro. E dunque afferma che oggi, più che mai, abbiamo
bisogno di chi sappia vedere nel buio.
Lettore, è una pagina intensa quella che stiamo leggendo,
vediamo di non distrarci. In essa troviamo l’eco di una lunga
sofferenza dovuta a un’aggressiva malattia, ma ancor più
avvertiamo il dolore vivo di chi osserva ogni giorno l’errare
vagabondo o allucinato dell’’umanità contemporanea quasi
dimentica del vangelo. O che tale appare.
Insieme al segno di quelle sofferenze, in questa pagina
avvertiamo la gratitudine di chi un poco ha appreso a
scrutare la «tenebra fitta» dove il Signore continua «a creare,
a parlare, a risorgere» e dove può inaspettatamente rivelarsi
come «nube luminosa» e persino come «tenebra
abbagliante».
C’è in questa pagina la trepidazione di chi conosce lo
sconforto:
«Possibile Signore,
che tu ami la notte?».
E c’è l’invocazione a godere – nella perdurante oscurità – di
un baluginio quotidiano che valga a rischiarare l’occhio del
riguardante almeno quanto le stelle cadenti che sfavillano
lontane nella notte di San Lorenzo:
«Fa’, però, che la mia notte
– come quella del primo Lorenzo –
non sia oscura,
tessuta tutta di nero».
Della malattia e del mistero. Prefazione 3
E un bel notturno questo del vescovo Lorenzo, forse il più
popolato della Chiesa italiana d’oggi, assai somigliante
nell’interrogazione di partenza a quello di Dossetti, che
tredici anni addietro domandava con Isaia: «Sentinella,
quanto resta della notte?». Esercitati gli occhi su questa pagina
brunita, siamo forse pronti a leggere in ordine tutte le altre
dell’operetta, che è un’antologia degli spunti pubblicati ogni
domenica sul supplemento del quotidiano cattolico Avvenire
Lazio 7.
Oltre che della malattia e del mistero, la notte in questa
pagina è metafora del tempo umano e del nostro tempo in
particolare. Andando avanti nella lettura scopriamo che il
vescovo Lorenzo discute interminatamente con gli uomini e
le donne della sua epoca, cioè con sé e con noi, un momento
mescolandosi al popolo, un altro momento andando
all’ambone.
«Nella cultura contemporanea sembra mancare lo
stupore», leggiamo alla voce “Stupore”, dopo aver preso nota
della «curiosità infinita» che oggi sembra abitare il cuore di
molti. Alla voce “Pregare” c’è un buon elenco dei «fattori» che
oggi rendono la preghiera una «lotta», ma si riconosce anche
che «in questo stesso tempo è presente e diffusa l’aspirazione
alla calma, il fascino del silenzio». Alla voce “Avvento” si
riflette sulla difficoltà dell’uomo contemporaneo ad
«attendere» e ad «accogliere». Sotto il titolo “Rinnovata
Pentecoste” troviamo una domanda cristiana centrale: «Ma
oggi, lo Spirito parla ancora? E oggi c’è ancora capacità di
ascolto di questa voce misteriosa e di questi linguaggi
articolati?».
Colloquia amabilmente. Prefazione 4
Ecco dunque le due chiavi che suggerisco al lettore:
percorrere queste pagine alla ricerca dello sguardo che
scruta nel buio e di quanto in esso pur si riesce a individuare.
Conosco Lorenzo da molto prima che fosse vescovo, da
quando eravamo giovani nella Fuci. L’ho seguito in quasi
tutte le attività e le stagioni. Lettore colto e aggiornatissimo,
instancabile animatore di convegni e dibattiti, ottimo
predicatore di ritiri, sveglissimo vescovo prima di Sora Aquino Pontecorvo, poi di Aversa e infine di Viterbo, attivo
quant’altri mai nella CEI, a redigere catechismi, a presiedere
il “Comitato delle settimane sociali” e in cento altre faccende
che non voglio ricordare.
Il segno delle letture – indico solo il grande amore che
porta agli scritti di Charles de Foucauld – lo si rintraccia a
ogni pagina. Qua e là si ritrova qualcosa anche delle sue
attività, o meglio della sua attenzione all’umanità di oggi.
Frequente è l’emergere di un linguaggio forte, appreso
meditando le Scritture e i grandi cristiani: «Solo quando amo
esisto realmente», è scritto sotto la voce “L’essere e il nulla”.
Ma soprattutto in questo libretto incontriamo il vescovo
Lorenzo nel momento forse meglio fruibile a distanza della
sua comunicazione di pastore: quando colloquia con i
cristiani che ha intorno, deposti i paramenti e chiusi i libri
che affollano le sue stanze, prendendo spunto dalla varietà
della vita e dalle risorse del calendario liturgico, talvolta
dall’attualità. Colloquia amabilmente, mirando a dire «una
parola» a chi l’attende. Una parola a lungo covata nel cuore,
ma che ci raggiunge piana e senza pretese, fraterna,
consolatrice.
https://commentovangelodelgiorno.altervista.org/commento-vangelo-5-agosto-2020/
Di Don ( poi vescovo) Lorenzo Chiarinelli ho una conoscenza indiretta e legata alla stagione della Fuci che con Gigi ho condiviso negli anni 60-70.
Trasferitomi a Roma, ero stato sollecitato da Don Farias( assistente della FUCI di Reggio Cakabria a mettermi in contatto con Don Lorenzo per un’eventuale collaborazione ecclesiale. IL progetto non ebbe poi sviluppi per mia indolenza e “timidezza” ma ho sempre seguito il percorso ecclesiale di Don Lorenzo.
Tuttavia, il ricordo più vivo e significativo che ho di lui è una lezione/conversazione su pinocchio, captata in una notte d’insonnia su un canale televisivo. Si, proprio il burattino.In particolare in quella esposizione, molto colloquiale e affabulatrice , Don Lorenzo analizzava, con toni pacati e convincenti, la tenerezza di Geppetto nei confronti del figlio discolo e disobbediente per farne una metafora del rapporto tra Dio Padre ed i suoi figli.La cosa mi colpì molto e da allora ho guardato con un occhio più maturo le vicende de burattino di legno.Grazie Don Lorenzo
Non lo conoscevo, ma è bastato leggere queste profonde riflessioni perché subito la bella anima illuminasse quel buio amato e cercato, e arrivasse dritta dritta al mio cuore. In fondo, anche la fede è una luce che rifulge e proprio quando gli occhi e tutt’intorno non vi è che oscurità. Ed avviene il miracolo. Penso alla conversione straordinaria di Paolo sulla via di Damasco.Voglio approfondire la figura di questo Vescovo illuminato e carismatico che continuerà a convertire e ad ammaestrare per molto tempo ancora e lungamente e che, parafrasando la 2Timoteo, “ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa, ha conservato la fede. Ora gli resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, gli consegnerà ; e non solo a lui, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la Sua manifestazione”.
Grazie Luigi
Un sentito ringraziamento a Padre Giampaolo per il bel commento ad una delle pagine più enigmatiche e sconvolgenti del Vangelo di Mt 15, 21-28.