«Dovreste vederli, i miei alunni, quando mi incontrano ogni tanto, come si emozionano e sorridono e scherzano e tutti hanno lo stesso sguardo felice per gratitudine»: parole di Armando Rossitto, preside a Lentini, Siracusa, che lascia l’incarico e saluta alunni e colleghi. A lui – e a tutti i giusti della scuola che mai sapremo ricompensare – offro un bicchiere di Vino Nuovo.
Ad Armando e a tutti i giusti della scuola
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Di Armando Rossitto già parlava un post del 27 agosto 2006 intitolato “Sbulla la città di Lentini” .
Essere un giusto della scuola, questo soprattutto ho desiderato. Non sempre ci sono riuscita … che rammarico.
Molti dei miei professori sono stati veramente dei “giusti della scuola”. Solo che ce ne siamo accorti solo tanti anni dopo, quando li avevamo persi di vista, erano irrimediabilmente invecchiati o addirittura scomparsi da questo mondo.
Bello fare l’insegnante. Bello e difficile. Stare a contatto con i bambini, con i giovani, è meraviglioso: ci si sente più giovani, si imparano la loro apertura alla vita, le loro curiosità, le loro preferenze in materia di sport e di musica, i loro problemi al di fuori dello studio, le loro furberie e le birichinate. Ci si lascia contagiare– senza farlo apparire troppo– dalle loro risate, dagli scherzi, da un loro linguaggio criptato a loro uso e consumo, che ti fa sfuggire i commenti salaci nei tuoi riguardi, indecifrabili a meno di una benevola confidenza di qualcuno di loro.
Tutto idilliaco, dunque ? Neanche un po’.
Le difficoltà nel mondo della scuola non saranno capite, nella loro realtà, da chi non ha mai insegnato e magari si trova ad “invidiare” chi esercita questa professione, pensando irrealisticamente che si tratti di un lavoro leggero, che lascia molto tempo a disposizione; ciò che è considerata un’ ingiustizia a fronte delle molte ore di servizio di chi opera in un altro settore. E sarebbe vero se non fosse una leggenda metropolitana.
Vai e fa’ capire che insegnare significa anche impiegare molte ore in colloqui, corsi di aggiornamento, riunioni di consigli di classe e di Istituto, verbali, assemblee sindacali, corsi di recupero e via dicendo.
Prova a far capire che insegnare significa anche sacrificare buona parte della giornata– e quindi lavorare– agli impegni scolastici fuori dell’aula ( leggi, per es., preparazione delle lezioni) e rinunciare spesso ad una fine settimana fuori città perché ti attendono pile di compiti da correggere. Tutto ciò è davvero invidiabile?
Trascurabile se si pensa che gli alunni, però, ti trasmettono una vitalità che ti galvanizza. O sarebbe meglio dire che a volte ti tramortisce? Che dire delle fatiche che inducono a spremerti fino all’eccesso per indurli all’attenzione, a persuaderli all’impegno scolastico in classe, allo studio a cui la gran parte di loro dedica al massimo ( e forse è troppo) un paio d’ore al giorno per molte discipline. Già, perché dopo, per il resto della serata, li aspetta per molte ore facebook o l’allenamento in una qualsiasi attività sportiva (tutti iscritti a varie squadrette di calcio) o la combriccola di amici con cui andare ad una manifestazione musicale o ad una festa qualsiasi, e via discorrendo. Ma li si deve capire, perché non sono mummie; sono giovani che devono esprimere la loro gioia di vita. Se non ora quando? La scuola può aspettare, in fondo. Resta il fatto che la promozione deve essere assicurata comunque, il lasciapassare deve essere rilasciato a tutti i costi. Che importa se domani qualcuno rileverà che, con un diploma o con la laurea, hanno troppe carenze? Lo scaricabarile facile è sempre lì: la scuola italiana non funziona. Gli insegnanti o sono dei cani che hanno in antipatia determinati alunni o sono dei rammolliti che non sanno tenere la disciplina. Sono noiosi, non sanno essere comprensivi, pretendono troppo e così via. Quasi tutti da buttare a mare. E pensare che guadagnano tanto e poi tanto per quel poco che fanno; e con tutte le vacanze che hanno, perbacco!
Il preside Armando Rossitto, che lascia l’incarico, manifesta grande entusiasmo nei confronti dei suoi alunni. Posso capirlo alla luce di quella nostalgia che già si sta facendo sentire in lui. Capita sempre. Quando si lascia una vita di lavoro, coesistono due sentimenti: una sorta di liberazione ed un senso di malinconia nell’abbandonare per sempre una gran parte della tua vita e il luogo fisico in cui si è svolta. E c’è una particolare benevolenza per quei compagni di vita che sono stati con te per tanto tempo e con i quali a volte non ci si trovava d’accordo; ed è tenerezza nei confronti dei ragazzi, che inconsapevolmente la suscitano e che spesso hai considerato figli.
Più tardi accadrà che un incontro casuale fra preside o insegnante e alunni li porterà ad un saluto affettuoso, con spontanei e sentiti abbracci e baci, dimenticandosi, entrambe le parti, dei dissapori che talvolta li avevano divisi. Ma è certo che gli ex alunni non ritornerebbero indietro.
È l’eterno gioco della nostalgia dei tempi andati, che fa sembrare bello anche ciò che, allora, non lo era poi tanto.
Al preside Rossitto direi di non farsi prendere troppo dalla nostalgia; esiste sempre il volontariato ed esistono gli oratori. In quanto a Marilisa ha ragione quando dice che i ragazzi “lasciano tramortiti”. Gli insegnanti guadagnano troppo? Ma quando mai? E poi ora con la svalutazione … Comunque non cambierei l’oratorio per tutte le Università della Terza età che esistono, fosse pure per diventarne rettore magnifico.