“Il 18 giugno del 1974 vengo al mondo senza braccia: sono rimaste in cielo. Quando la mia mamma si è svegliata dal cesareo e ha visto i volti cupi degli infermieri, che non le lasciavano vedere la sua bambina, è stata malissimo. Poi ha saputo che invece ero sana e salva, soltanto mi mancavano le braccia. Mamma e papà si sono abbracciati e hanno subito deciso il da farsi: mi avrebbero insegnato a prendere il ciuccio con i piedini. Nella vita bisogna guardare quello che c’è, non lamentarsi per ciò che non abbiamo. Qualcosa, tanto, manca a tutti, anche a chi ha braccia e gambe in regola: l’esteriorità si nota prima, ma se il vuoto è interiore il dolore è più straziante. Ringrazio il Signore non per la vita in generale, ma per avermi disegnata esattamente così”: parole di Simona Aztori, ballerina e pittrice, intervistata da Avvenire per l’uscita del libro in cui narra la sua vita: Cosa ti manca per essere felice? (Mondadori, 189 pagine, 17€). Nel primo commento altre notizie.
A Simona Atzori non manca nulla per essere felice
10 Comments
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L’intervista di Avvenire è firmata da Lucia Bellaspiga ed è intitolata Dio mi ha disegnata senza braccia. E io danzo per lui. Avevo conosciuto la parabola di Simona – milanese, 37 anni, stella della danza – leggendo nel 2005 il profilo che ne aveva tracciato il collega Candido Cannavò nel volume E li chiamano disabili (Rizzoli). Candido non c’è più ma quel libro resta un dono per tutti. Un dono è stata anche la pagina che Avvenire ha dedicato a Simona mercoledì 23 novembre.
“Nella vita bisogna guardare quello che c’è, non lamentarsi per ciò che non abbiamo. Qualcosa, tanto, manca a tutti, anche a chi ha braccia e gambe in regola”
Meraviglioso pensiero! Voglio farlo mio per questo periodo di Avvento!
OT ….
Che belli, Luigi, questi ultimi post lontani dalle dispute politiche e densi di vero senso cristiano. Grazie!
Per chi, come Simona Aztori, ha avuto tutto dalla vita, è facile dispensare saggi consigli. Lo dice lei, ha ragione, che c’è di peggio che mancare delle braccia. Non credo nella libertà dell’uomo, neanche un po’, non ci trovo meriti nella bontà né demeriti nella cattiveria (se proprio vogliamo parlare in questi termini). La responsabilità è una geniale invenzione per garantire un minimo di convivenza fra le persone e i disabili che “ce l’hanno fatta” non mi ispirano particolare simpatia, non per colpa loro ma grazie a chi ne vuole fare a tutti i costi luminosi esempi. Capisco che per chi parte da presupposti diversi sia naturale arrivare a diverse conclusioni, ma io la penso così.
Ti capisco Leopoldo.
Anche per me è così. Senza giudizio alcuno su nessuno di loro
né su altri, ma mi fa lo stesso effetto.
“Nella vita bisogna guardare quello che c’è, non lamentarsi per ciò che non abbiamo.”
Chissà perché allora il papa si lamenta perché non ha un suo vescovo in Cina, basta che ce ne sia uno che faccia bene il suo mestiere no ? Poi suo o di un altro che importa !
Chissà perché Verzé si lamenta e “intrallazza” per avere ciò che non ha. Basta che lo abbia qualcuno, suo o di un altro che importa.
Chissà perché Bertone non è contento se c’è il laicismo. Basta che le persone si comportino “bene” poi cattoliche o laiche che importa.
Chissà perché Bagnasco si lamenta se i politici non sono cattolici, basta che facciamo l’interesse della comunità non quelli di chi non sa rinunciare a qualcosa di irrinunciabile- Quindi che importa ?
Ma perché proprio coloro che dovrebbero essere felici per coloro a cui non importa se gli manca qualcosa si lamentano perché gli manca qualcosa a cui non possono rinunciare.
“Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti! perché attraversate mare e terra per fare un proselito, e quando lo è diventato lo rendete soggetto alla Geenna il doppio di voi.” ( Mt. 23.15)
Chissà con chi ce l’ha, i farisei non esistono più !
“Per chi, come Simona Aztori, ha avuto tutto dalla vita, è facile dispensare saggi consigli”.
Leggo e rileggo, Leopoldo, ma proprio non riesco a digerirla, questa!
Nel post precedente si parlava di santità. Ognuno percorre quel cammino nelle condizioni di vita in cui il Signore lo ha posto.
Credi che esempi come quelli che abbiamo in questo spazio siano “normali”? E che abbiano risonanza solo grazie a chi maneggia per “farne luminosi esempi”? Non ti pare piuttosto che “bonum est diffusivum sui” e che chi li incontra non possa in alcun modo tacere? Perchè proprio non ce la fa a tenere per sé qualcosa che ha tutti i caratteri della extra-ordinarietà?
Mi permetto di riportare il “Mattutino” di Ravasi di domenica (non è un OT).
“Non aver paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che non possa mai cominciare davvero”.
Ho l’onore di portare oggi il suo stesso titolo cardinalizio, quello della mirabile chiesa romana di S.Giorgio in Velabro: John Henry Newman, grande intellettuale ottocentesco anglicano passato al cattolicesimo e divenuto cardinale e beatificato lo scorso anno in Inghilterra da Benedetto XVI, ha lasciato pagine altissime di filosofia e teologia, poesie e anche note semplici e incisive come questa sulla vita e sulla morte. L’incubo del morire è iscritto nel nostro stesso vivere. Eppure non ci rende saggi nel dare calore, colore e valore alla nostra esistenza. Al massimo lo esorcizziamo annegandolo nella superficialità. E alla fine ci troviamo come quei due personaggi di Woody Allen che discutono animatamente: «Secondo te esiste una vita dopo la morte?», domanda l’uno. L’altro si concede una pausa di riflessione e poi replica: «E secondo te, esiste una vita prima della morte?».
Bella testimonianza, assolutamente in controtendenza.
Oggi per difetti e menomazioni molto meno “invalidanti” si consiglia l’aborto, per il “bene del bambino”.
Una storia come questa di Simona può dare speranza a tante famiglie e a tanti genitori indecisi.
Elsa: Che belli questi ultimi post lontani dalle dispute politiche e densi di vero senso cristiano. Grazie Elsa dell’apprezzamento. Ma alla politica bisognerà pur tornare. Cercando l’intesa attraverso la disputa, adoperandosi di avvicinare i lontani. Senza tuttavia sottrarsi alla prova. Così io l’intendo. Mi occupo d’altro ma occasionalmente anche di politica. Uno alleva cavalli, un altro coltiva la vite o l’ulivo, ma tutti si occupano della polis. E cioè fanno politica.
Toccare temi politici per avvicinare i lontani può sembrare paradossale, stante il grido allontanante che ogni toccata scatena. Ma io non mi riferisco tanto ai commenti che vengono postati quanto a chi legge in silenzio. Conosco l’arte dell’avvicinamento. E ho qualche riscontro della sua efficacia.