Sono alla messa del papa a Cracovia, nel parco di Blonie, sulla tribuna stampa, davanti allo spettacolo – si direbbe infinito – di ciò che mai può essere un milione di volti riuniti in unità di luogo e – chissà – di sentimento. Rivedo il tassista che mi ha detto, portandomi a Fiumicino, “preghi per me alla messa del papa”. Una donna che mi ha mandato, quand’ero qua, un sms che diceva “sono disperata”. I cinque figli che mi chiedono tutto meno che di pregare e dunque io ritengo che si aspettino anche questo. La mia sposa che ogni tanto mi fa: ti ho pensato e dicevo con te un’Ave Maria. Fratelli e sorelle nella carne, doloranti per età e altro. Tutti i ragazzi che conosco e voglio guardare come figli. Il papa tedesco che oggi pomeriggio entrerà nel campo di Auschwitz. La collega americana appena conosciuta, che corre al suo lavoro e ha tre figli e subito corre da loro. Lettori e persone che nomino negli articoli e che magari maltratto senza saperlo. Chi ho dimenticato, chi ho offeso. Chi non ho saputo ascoltare. Chi non so e non vedo e non vedrò. A nome di tutti dico “Padre nostro”.