Qui a Monglin vivo senza casa; m’alzo senza sveglia; mi lavo senza catino; prego senza chiesa; mangio senza tovaglia; vo’ a caccia senza licenza; viaggio senza soldi; imbroglio senza colpa; lavoro senza posa; vo’ a spasso senza scarpe; sono allegro senza teatro; studio lingue senza fine; non passo giorno senza fastidi; campo senza amici; sfamo quaranta ragazzi senza scrupoli; invecchio senza accorgermi. E di certo morrò senza rimorsi, ché uomo allegro il Ciel l’aiuta. E voi? Voi, così, non mai se non verrete, e presto, a tenermi compagnia!
E’ un testo del missionario del Pime Clemente Vismara (1897-1988), nativo di Agrate Brianza, proclamato beato il 26 giugno 2011 a Milano. Un testo scritto con grande godimento della lingua – egli era un ottimo scrittore: ha lasciato decine di volumi e il padre Piero Gheddo, suo biografo, ha raccolto 2.300 sue lettere e 700 articoli scritti per riviste missionarie – ma è anche una felice testimonianza di come le beatitudini evangeliche trovino nel nostro tempo una loro vitale attualità nell’impresa missionaria.
Quella gustosa interpretazione del paradosso cristiano il padre Clemente Vismara l’ha abbozzata nel volume Il bosco delle perle che scrisse nel 1927, quando si trovava già da quattro anni in Birmania, l’attuale Myanmar, dove sarebbe restato 65 anni, interrotti da un solo rientro in Italia.