Se il corvo Gabriele va sotto processo

 

Pubblicato da LIBERAL il 14 agosto 2012 a pagina 14 con il titolo “Processo al corvo”

Ora conosciamo i dettagli ma non sappiamo il fatto: è questa la sensazione provata dai giornalisti che ieri a mezzogiorno si sono visti consegnare in Sala Stampa vaticana due lunghi testi per un totale di una cinquantina di pagine riguardanti l’inchiesta sulla fuga dei documenti e cioè la requisitoria del promotore di giustizia e la sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore.

Come si prevedeva, abbiamo appreso che l’istruttoria è chiusa solo “parzialmente” con i due rinvii a giudizio disposti ieri. Gli inquirenti vaticani continueranno a cercare e non sarà sufficiente a chiarire la vicenda, probabilmente, neanche il processo a cui questi due rinvii a giudizio preludono e che si farà in autunno.

In sostanziale rispondenza a quanto già si sapeva per indiscrezione, o dalle dichiarazioni del portavoce vaticano e degli avvocati difensori di Paolo Gabriele, ora conosciamo i particolari delle perquisizioni di cui costui è stato oggetto e le diverse fasi della sua “collaborazione”, abbiamo le parole con cui ha giustificato il proprio comportamento, sappiamo che oltre a dei documenti si era “appropriato” anche di qualcos’altro, sappiamo che ha avuto almeno un “favoreggiatore” in un dipendente della Segreteria di Stato.

Ma non abbiamo il quadro in cui inserire questi elementi informativi: non sappiamo chi abbia aiutato, consigliato o protetto l’aiutante di camera; in particolare non sappiamo nulla di che cosa abbia appurato, nella sua più ampia indagine, la Commissione cardinalizia. Il risultato del lavoro della Commissione è stato consegnato al Papa ma non è stato ancora fornito ai media: per non condizionare il procedimento giudiziario, è stato detto, ma credo si possa immaginare che la consegna del riserbo sia stata suggerita anche dalla modestia delle risultanze.

Per dirla in breve, al momento dovremmo credere che davvero Paolo Gabriele abbia fatto tutto da solo, sia pure consigliandosi con un “padre spirituale” (di cui non è detto il nome ma che è stato interrogato dagli inquirenti) e confidandosi con un addetto informatico della Segreteria di Stato. Da solo avrebbe raccolto la documentazione, di sua iniziativa avrebbe preso contatto con il giornalista Gianluigi Nuzzi e gli avrebbe passato una montagna di testi credendo di fare il bene della Chiesa; consigliato dal “padre spirituale” avrebbe in un primo tempo negato le proprie responsabilità, convinto che sarebbe stato tenuto – in coscienza – a dire il vero solo se interrogato di persona dal Papa.

Magari è andata proprio così, tante volte la realtà è fantasiosa e minimizzante. Ma certo sarebbe utile conoscere il rapporto dei tre cardinali che hanno condotto l’inchiesta per capire se questa conclusione in coda di pesce sia condivisa dai capi-dicastero e dagli altri responsabili della Santa Sede che loro hanno interrogato. Di sicuro nell’opinione pubblica ben pochi la riterranno credibile. Resta l’attesa di nuove acquisizioni.

Il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet – dunque – accogliendo le richieste del promotore di giustizia Nicola Picardi rinvia a giudizio due persone: Paolo Gabriele, aiutante di camera di Benedetto XVI, accusato di furto aggravato, e Claudio Sciarpelletti, dipendente della Segreteria di Stato, accusato di favoreggiamento.

Sciarpelletti, 48 anni, dipendente della Segreteria di Stato in qualità di “analista programmatore” – insomma: un tecnico informatico – arrestato il 25 maggio e posto in libertà provvisoria il giorno dopo previa cauzione e con l’obbligo di osservare alcune prescrizioni: fino a ieri non si sapeva del suo coinvolgimento e neanche del suo arresto.

Questo Sciarpelletti ha avuto “numerosi contatti” con Gabriele e nella sua scrivania è stata rinvenuta una busta con materiale pubblicato dal giornalista Gianluigi Nuzzi. Il suo ruolo appare tuttavia marginale e sarà processato solo per favoreggiamento, in una posizione – ha chiarito il padre Lombardi – che è risultata “meno grave” rispetto a quella del principale imputato.

Paolo Gabriele, sul quale si concentrano i sospetti della Gendarmeria dopo la pubblicazione del libro di Nuzzi “Sua Santità”, dapprima nega e poi confessa. Nega tutto durante un incontro della “Famiglia pontificia”, cioè delle persone operanti nell’Appartamento papale, rispondendo in particolare a una domanda del segretario di Benedetto XVI, don Georg Gänwein: “Non soltanto ha negato in modo fermo e deciso ogni sua responsabilità ma ha chiesto con molta meraviglia come questi sospetti fossero potuti nascere nella mente di monsignor Gänswein”.

Interessante la reazione di Gabriele alla comunicazione di una prima sanzione, secondo la narrazione che Gänswein ne ha fatto agli inquirenti: “L’ho allora chiamato davanti alle altre persone della Casa Pontificia e gli ho comunicato la sospensione ad cautelam. Lui ha allora detto che in questo modo era stato trovato il capro espiatorio della situazione. Molto freddamente mi ha poi detto che era tranquillo e sereno avendo a posto la coscienza, avendo avuto un colloquio con il suo Padre spirituale”.

Gabriele confessa durante i successivi interrogatori e riconosce di aver fornito il materiale a Nuzzi, ma senza ricevere denaro o altri benefici. Motiva la sua azione, che sapeva bene essere illecita, col fatto di ritenere il Pontefice non correttamente informato di fronte al male e alla corruzione che lui vedeva nella Chiesa: ero sicuro – afferma – che “uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel giusto binario”.

In particolare l’addetto di camera del Papa ha detto al magistrato che l’interrogava di essersi sentito come uno strumento dell’azione divina per la purificazione della Chiesa: “In qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato”. Sono sue parole registrate in un verbale del 5 giugno 2012, citato nella sentenza pubblicata ieri. E ancora: “In questo contesto [fui] spinto anche dalla mia fede profonda e dal desiderio che nella Chiesa si dovesse far luce su ogni fatto”.

Perché allora avrebbe dapprima negato le proprie responsabilità? “Questo mio atteggiamento di negazione – ha risposto – seguiva anche le indicazioni del mio Padre Spirituale che mi aveva detto di attendere le circostanze e – salvo che fosse stato il Santo Padre a chiedermelo di persona – di non affermare ancora questa mia responsabilità”.

Le giustificazione dell’aiutante di camera sono un punto decisivo dell’intera questione: “Sono stato suggestionato da circostanze ambientali, in particolare dalla situazione di uno Stato nel quale c’erano delle condizioni che determinavano scandalo per la fede, che alimentavano una serie di misteri non risolti e che destavano diffusi malumori”, confida ai magistrati. E ancora: “Vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa, sono arrivato negli ultimi tempi, quelli della degenerazione, ad un punto di non ritorno, essendomi venuti meno i freni inibitori”.

Durante le perquisizioni nella sua abitazione sono stati rinvenuti non solo documenti riservati in grande numero – “una enorme quantità” dice la requisitoria – ma anche un assegno bancario di centomila euro intestato al Papa e proveniente dall’Università Cattolica San Antonio di Guadalupe, una pepita “presunta d’oro” anch’essa destinata al Papa, e una traduzione dell’Eneide a cura di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, cioè un terzo dono per Benedetto XVI. Di questi “doni offerti al Papa” egli assicura di essere venuto a trovarsi in possesso casualmente, essendo che gli venivano “dati in mano” durante le udienze e lui magari poi “dimenticava” di consegnarli a chi avrebbe dovuto inventariarli e destinarli. Attribuisce tali distrazioni alla “confusione” in cui versava il suo ufficio. L’assegno di centomila euro appare come una “dimenticanza” inverosimile, ma sta di fatto che non risulta nessun suo tentativo di riscuoterlo, nè era immaginabile una qualche via per farlo.

Gabriele è stato sottoposto a due perizie psichiatriche che hanno dato risultati opposti sulla sua capacità di intendere e volere. La prima guidata da Roberto Tatarelli dell’Università La Sapienza di Roma, arrivata alla conclusione che i disturbi psichici emersi dalle perizie “non aboliscano la coscienza e la libertà dei propri atti da parte dell’indagato”; e una seconda coordinata da Tonino Cantelmi della Gregoriana che ritiene il contrario. Sia Picardi che Bonnet hanno ritenuto plausibile la prima perizia.

In particolare Tatarelli afferma che Paolo Gabriele è “affetto da un’ideazione paranoide con sfondo di persecutorietà”: la sua personalità – sottolinea – è fragile e insicura e “si caratterizza anche per un profondo bisogno di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri” e dunque può essere soggetta a manipolazioni. Tuttavia queste condizioni non configurano “un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti”.

Per Cantelmi la personalità di Gabriele è “affetta da un’identità incompleta ed instabile, da suggestionabilità, da sentimenti di grandiosità, da alterata rigidità morale con un personale ideale di giustizia, nonché da un pervasivo bisogno di essere apprezzato e stimato”. Secondo Cantelmi “la deformazione dei processi ideativi del Gabriele” porta ad una incapacità d’intendere e di volere.

Il Padre Lombardi ha dichiarato che è sempre stata “chiara” l’intenzione del Papa di rispettare “il lavoro della magistratura e ciò spiega la non pubblicazione delle risultanze della commissione cardinalizia, per non condizionare il lavoro dei magistrati”. Costoro con la requisitoria e la sentenza pubblicate oggi “non affermano, ma neppure escludono la possibilità di continuare le indagini su eventuali complici di Paolo Gabriele”, procedendo magari anche con “rogatorie internazionali” nel caso ci fosse da indagare su persone che non siano cittadini o dipendenti vaticani.

Questa la conclusione del portavoce: “L’istruttoria va avanti, anche con tempi consistenti per la sua meticolosità. Nuovi sviluppi non si dovrebbero avere prima del 20 settembre”. Se ha senso aggiungere l’impressione di un giornalista, io direi che è stata cosa ottima pubblicare ieri i due documenti e che sarà bene pubblicare al più presto il rapporto della Commissione cardinalizia. Al momento l’incertezza è grande sotto il cielo e favorisce chi pensa male.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Commento

  1. […] Può un corvo fare da colomba? Il corvo vaticano Paolo Gabriele ha confidato ai magistrati di essersi azzardato a tanto – cioè a “rubare” documenti dalla scrivania del Papa e a passarli al giornalista Nuzzi – perché si sentiva investito di una missione per la purificazione della Comunità cattolica: “Ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario. Inoltre nei miei interessi c’è sempre stato quello per l’intelligence, in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato”. Un infiltrato dello Spirito Santo con la passione dell’intelligence: e quella per l’intelligenza? Una colomba che si fa corvo o un corvo che si fa colomba? Ieri come tutti i vaticanisti ho tribolato sulle carte della magistratura vaticana, ma quelle quattro righe mi hanno rinsanguato. Qui puoi leggere l’articolo che ne ho cavato per LIBERAL, pubblicato oggi a pagina 14 con il titolo Processo al corvo. […]

    14 Agosto, 2012 - 11:00

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