Maria Laura Mainetti prima di farsi suora si chiama Teresina Elsa Mainetti: nasce a Colico, Lecco, il 20 agosto 1939 e viene uccisa a Chiavenna il 6 giugno 2000, accoltellata da tre ragazze minorenni che la tirano al loro agguato fingendosi bisognose d’aiuto. La proclamazione a beata con il titolo di martire è avvenuta il 6 giugno 2021, nel giorno del suo compleanno. Apparteneva alla congregazione delle Figlie della Croce, Suore di Sant’Andrea. Aperto nel 2005, il processo di canonizzazione ha portato al riconoscimento del martirio in data 19 giugno 2020. La celebrazione della beatificazione è stata presieduta a Chiavenna dal cardinale Marcello Semeraro.
La personalità di Maria Laura e le circostanze del martirio sono ricostruite nel testo che segue da me redatto del 2005.
Per saperne di più:
Beniamina Mariani, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, San Paolo, 2005, ISBN 978-88-215-5319-6.
Michele Cervati, In nome di Satana. Il demoniaco nell’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, Faust Edizioni, 2016.
Maria Laura Mainetti, la suora di Chiavenna (Sondrio) uccisa con diciannove coltellate da tre ragazze minorenni, il 6 giugno 2000, ora sappiamo che donna era: una cristiana tutta presa dalla vocazione a incontrare Gesù negli ultimi, compresi gli sconosciuti, i disturbatori, gli inopportuni.
La forza della sua carità splende dalle pagine di diario e dalle lettere che sono state studiate e pubblicate – in parte – dalla consorella Beniamina Mariani, nel volume Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna (Edizioni San Paolo, pp. 142, 10 Euro). Esse ci mostrano la tenacia con cui Maria Laura si impegna a considerare come “il dono più grande” quello di “scoprire Cristo nel fratello importuno”. Una tenacia che è all’origine del suo martirio: muore per soccorrere quella che crede una ragazza madre, la quale invece approfitta della sua generosità per portarla lontano dal convento e per aggredirla in solitudine.
Eccola dunque Maria Laura, sessant’anni, nativa di Lecco, educatrice di adolescenti e maestra elementare, che esce di notte per fare del bene ed è uccisa da Ambra, Milena e Veronica, tre ragazze che lei non conosceva e che l’avevano scelta come figura indifesa, volendo “sacrificare a Satana una vittima innocente” (come diranno in tribunale). Muore invocando per loro il perdono del cielo.
Le tre – hanno ricostruito i magistrati – “avevano quale loro esclusivo interesse la finalità di incontrare Satana e avere dallo stesso una dimostrazione della sua esistenza e potenza” (Sentenza di appello). Non facevano parte di un “gruppo satanico”, come pure ne esistono, ma si erano improvvisate “sataniste” con un “giuramento di sangue” scambiato tra loro: bevendo acqua benedetta e gocce del proprio sangue, cavato con un taglio alla mano.
Per entrare in contatto con Satana progettano un delitto che il “principe del male” possa gradire: profanare una tomba, immolare un bimbo, una donna incinta, un prete, una suora. La scelta cade su suor Maria Laura.
Una di loro, Milena, la chiama al telefono, presentandosi come una ragazza violentata che chiede di essere aiutata a non abortire. Avviene un primo contatto il 3 giugno e il secondo, quello mortale, tre giorni dopo.
Il telefono squilla alle 21.45. Maria Laura esce sollecita e va all’appuntamento in piazza Castello. La ragazza le dice che ha il proprio bagaglio – che porterebbe con sé in convento, dove “accetta” di rifugiarsi – in una viuzza poco lontano.
La suora la segue. Vengono raggiunte dalle altre due, che si fingono amiche solidali. Giunte in una viuzza deserta aggrediscono la suora, costringendola a inginocchiarsi, la colpiscono con una pietra e con un coltello da cucina: se lo passano, la feriscono diciannove volte. Gridano: “Bastarda, devi morire”. Lei chiede pietà, poi mormora “Signore, perdonale”: lo riferiranno in tribunale.
Saranno loro stesse a rivelare la finalità satanista del delitto, che sorprende, ma che non è rara: è appena uscito un volume di due giornalisti – David Murgia e Fabio di Chio – intitolato Satana in tribunale (San Paolo) che documenta come tali mostruosità si siano raddoppiate, in Italia, lungo l’ultimo decennio.
Tra gli appunti della suora ce n’è uno che dice: “I giovani non hanno punti di riferimento. Gesù, fa’ qualcosa!!”. Viene da pensare che il suo martirio sia stata la risposta a quell’implorazione. In un altro appunto aveva definito i giovani “unico scopo della mia vita”.
Ma sono impressionanti soprattutto le riflessioni sulla prontezza ad accogliere ognuno, quella disponibilità che l’ha messa in balia delle tre giovanissime “sataniste”: “Dobbiamo immergerci nel quotidiano, disponibili a chi bussa alla nostra porta, aperte a ogni sofferenza”. E ancora: “Impegnarci a vivere l’accoglienza tra noi – con chi bussa – con chi telefona – con chi ci disturba”. Infine: “Il dono più grande è scoprire Gesù nel fratello importuno”. In un’occasione importante aveva così definito la finalità della “Congregazione delle figlie della Croce”, alla quale apparteneva: “Annunciare con la vita la salvezza che viene dalla croce”.
La vocazione a servire Dio nel prossimo la rendeva contenta, come scriveva in una lettera del novembre del 1997: “Io sto benissimo… Felicissima, soprattutto perché ogni giorno scopro l’amore di Dio per me, malgrado i miei limiti, e poi perché cerco di scorgerlo nel volto dei fratelli che incontro nella ferialità, con un’attenzione particolare ai più disagiati o in difficoltà”.
“Se il chicco di grano muore porta molto frutto” è stato scritto sulla lapide posta nel luogo della morte. E’ il frutto del martirio, perché Maria Laura di certo è una martire. Forse una martire della fede, poichè fu scelta come “vittima sacrificale” in quanto persona consacrata, e dunque in odio alla religione. O più probabilmente è una “martire della carità” nel senso pieno di questa espressione, che fu usata da Paolo VI per Maximilian Kolbe: ha dato cioè la vita per compiere un gesto d’amore.
La qualifica evangelica del suo martirio è nelle parole di Gesù: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Tra essi può esservi anche chi si finge amico.
Il “buon samaritano” sa di rischiare la vita. Se vedi a terra un uomo mezzo morto, se vedi due che si gridano contro – come avviene sempre più di frequente nelle nostre città rifatte violente – sai bene che devi passare oltre, se ti riesce, tenendoti dall’altra parte. Tutt’al più, chiami la polizia.
Non così sì comportò il samaritano della parabola. Quell’uomo “mezzo morto” abbandonato sulla strada poteva essere un’esca. Magari intorno c’erano ancora i briganti. Eppure si fermò, versò olio e vino, fasciò quelle ferite a rischio della propria vita.
Anche suor Maria Laura fu evangelicamente imprudente: una suora non esce di notte e non esce da sola, neanche se ciò le viene richiesto da chi è nel bisogno. Se lo fa è perché mette la carità sopra ogni altra considerazione, compresa quella della regola e quella della vita.
A volte il poveretto è un poveraccio, o nasconde un cuore da Caino. E il buon samaritano paga con la vita la prontezza ad avvicinarsi, cioè a farsi prossimo. Tanta violenza ci sgomenta, ma tanta generosità ci conforta.
Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 4/2005