Relazione di Luigi ACCATTOLI
Corso di aggiornamento della diocesi di Fiesole
Auditorium del Centro Congressi della Cittadella dei Focolarini
Giovedì 12 gennaio 2012 – ore 9.30, 11.00, 19.00, 21.00
Divido la riflessione in quattro punti: il perdono nel foro interno, nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Agli ambiti che mi erano stati chiesti – famiglia, società e Chiesa – aggiungo a mo’ di prologo “il perdono nel foro interno” che propongo come invocazione, scuola e pedagogia personale e soggettiva della misericordia del Signore e della capacità di accettare e di offrire il perdono ai fratelli.
Il perdono nel foro interno ovvero l’invocazione del perdono
Prima di ogni pratica del perdono viene l’esigenza di invocarne il dono e di apprenderne la regola evangelica mettendoci alla scuola di Gesù e dei Vangeli.
Indico tre possibili tempi di questa scuola del perdono nel foro interno: individuare le ferite non guarite che si sono accumulate nella nostra vita, curarle con le parole di Gesù, cercare il fratello che ha provocato o ricevuto le ferite.
Le ferite non guarite che si sono accumulate nella nostra vita e delle quali dovremmo metterci alla ricerca sono sia quelle che abbiamo ricevuto – e quelle magari le ricordiamo bene – sia quelle che abbiamo inferto, o comunque procurato agli altri, o che non abbiamo saputo risparmiare loro. Magari senza rendercene conto, come può ben essere che chi ci ha ferito non l’abbia percepito.
E’ importante l’esercizio di rintracciarle, queste ferite, le une e le altre, per avvertire l’esigenza di medicarle: cioè l’esigenza del perdono. E per renderci conto che il perdono è vocazione universale e riguarda tutti: non solo chi è vittima o protagonista di casi estremi – tipo uccisioni, o tradimenti nel matrimonio – ma ogni vita intrecciata al prossimo.
Abbiamo subito frodi, siamo stati scippati o derubati, abbiamo fatto prestiti che non sono stati retribuiti, ci hanno svaligiato la casa, sono state spedite lettere anonime contro di noi, siamo stati danneggiati nell’eredità o nella carriera – e specularmente: abbiamo fatto la nostra strada senza guardare in faccia a nessuno, per un piccolo sgarbo abbiamo tolto il saluto a più d’uno, abbiamo approfittato di un errore o di una parola sbagliata di qualcuno per denunciarlo e chiedere risarcimenti in realtà non dovuti.
Una volta rintracciati nella memoria coloro a cui dobbiamo una scusa o che – secondo noi – ci dovrebbero delle scuse, ci eserciteremo a guardare a ognuno di loro con i sentimenti di Gesù. Proveremo a pensarli con affetto. Ci chiederemo che cosa potremmo fare per chi ci è stato o ci è avverso.
Le parole di Gesù e della Scrittura a cui fare riferimento potrebbero essere queste:
“Perdonate e sarete perdonati” (Luca 6, 37).
“Perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore” (Luca 11,4).
“Non ti dico fino a sette volte ma fino a settanta volte sette” (Matteo 18, 22).
“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Luca 23, 34)
“La carità non tiene conto del male ricevuto” (1 Corinti 13, 5).
“Non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Efesini 4, 26)
“Va prima a riconciliarti con il tuo fratello” (Matteo 5,24) possiamo applicarlo – oltre che al culto – alla morte: riconciliarci con ogni fratello prima di presentarci al giudizio di Dio. Che linguaggio, gente: “prima di morire, prima del giudizio”. Linguaggio forse un poco dimenticato: rimettiamolo in onore.
Una volta guarite le ferite in me cercherò il feritore – o colui che ho ferito – per dirglielo. Per comunicargli il balsamo che mi ha sanato. Magari colui non c’è più e andremo alla sua tomba. Ma se c’è, festeggeremo la riconciliazione.
Porsi l’obiettivo di riconciliarsi con tutti prima di morire.
Il perdono in famiglia
Lo tratto in cinque punti: l’attestazione familiare del perdono esterno alla famiglia, il perdono genitori-figli, tra fratelli, figli-genitori, nella coppia.
L’attenzione in famiglia a eventi di perdono extrafamiliari l’intendo anzitutto come esercizio di narrazione e ammirazione di gesti, atti, parole di riconciliazione tra persone lontane o vicine a noi che siano; ma senza rifuggire dal fare riferimento, se del caso, a “perdoni” offerti o accolti da noi, piccoli o grandi, oggi o in passato. Metto in questo primo punto anche il concreto coinvolgimento dei figli in gesti nostri di perdono o riconciliazione: per esempio discutendo con loro la decisione di non fare causa a chi non ci abbia restituito un prestito, o di cedere – per ragioni di pace interiore e sociale – alle rivendicazioni di qualcuno che minaccia di portarci in tribunale per una qualche contesa.
Il perdono dei genitori verso i figli potrebbe essere illustrato con le successive interpretazioni che abbiamo avuto nella storia della parabola prima detta del “figlio prodigo”, poi del “padre misericordioso”, infine dei “due figli”. Attualità di quell’insegnamento oggi che i figli fuggiaschi sono grandemente aumentati di numero.
A questo punto narro due storie che mi sono capitate e che propongo come parabole fattuali dei nostri giorni: una che ho denominato del “Figlio in carcere a Londra” e del padre che da Roma corre a soccorrerlo; l’altra che chiamo delle “Due figlie” dove la minore chiede ai genitori di rompere con la maggiore che è implicata in una vicenda di droga e che già due volte è stata perdonata e recuperata e ora è di nuovo fuggita. I genitori non solo tengono sempre aperta la porta di casa e del cuore, ma anche sono sempre disposti a compiere il primo passo per il recupero dei figli fuggiaschi. Oggi come al tempo di Gesù.
Il perdono tra fratelli, che potrebbe già essere narrato a sufficienza con la parabola del “Figlio prodigo”, o con la mia appena citata delle “Due figlie”. Il reciproco perdono come scuola per la crescita nella vera fraternità. Lo scoglio terribile delle liti per l’eredità. Contrariamente al detto tradizionale “non si parla di denaro e di eredità con i ragazzi”, io credo che sia bene prendere spunto dalla cronaca e parlarne in casa mettendo in luce la negatività di tali vicende in modo da aiutare la crescita dei figli in un giusto timore delle liti per interesse.
Il perdono dei figli verso i genitori: perché non c’erano mai quando ne avevamo bisogno, perché ci lasciavano soli con i nonni, perché erano troppo severi o troppo accomodanti, perchè si sono separati, perché si sono risposati, per come hanno diviso l’eredità, perché hanno infangato il nostro cognome. Vastissima è la lamentazione verso i genitori che generalmente si acquieta con la loro morte: sarebbe bene realizzare una piena riconciliazione prima che ci lascino, magari aiutati dall’aver avuto a nostra volta dei figli e dall’aver capito che tra le generazioni molte incomprensioni si determinano indipendentemente dalla volontà dei soggetti. Buono spunto può venire da una frase felice che ha avuto Papa Benedetto all’Angelus della domenica 8 gennaio 2012: “Non tutti siamo genitori ma tutti siamo figli” e sarà dunque bene che tutti apprendiamo a “diventare ciò che già siamo: diventare figli”. Diventare figli comporta il perdono, se del caso e l’acquisizione di un atteggiamento di riconoscenza verso i genitori.
Il perdono nella coppia, infine. L’arte di fare il primo passo per il recupero di un rapporto incrinato. La necessità di non dare mai per chiusa la partita. Ma durando – poniamo – la separazione, quando potrò dire di aver maturato un atteggiamento di vero perdono? Quando riuscirò a non denigrare il partner presso i figli, quando non li userò contro di lui, quando li aiuterò a maturare un vero rispetto per l’altro genitore. Si può applicare a questa difficile vocazione la parola di Paolo riguardo alla “carità” che “tutto sopporta” (1 Corinti 14, 7).
Il perdono nella società
Rapida presentazione di nove storie di perdono e più ampia di una decima, riguardanti tutte il perdono per l’uccisione dei parenti.
Giovanni Bachelet che dichiara a nome della famiglia di perdonare i terroristi che hanno ucciso il suo papà Vittorio, pur riconoscendo la necessità che la giustizia faccia il suo corso (1980).
Stella Tobagi che perdona gli uccisori del marito Walter e li visita in carcere e fa da testimone per le nozze di uno di loro (1980).
Bianca Taliercio per il padre Giuseppe (1981), Agnese Borsellino per il marito Paolo (1982).
I casi di perdono nelle vicende del terrorismo e della mafia sono molto più numerosi, mi limito a richiamare questi per il loro carattere esemplare. Ma uno può obiettare che si tratta di famiglie particolari, preparate, non rappresentative della nostra comune umanità. E allora cito altri casi in cui il miracolo del perdono è attestato in famiglie del tutto comuni e di fronte a delitti della criminalità comune.
Le sorelle di Pietro Maso, che uccide i genitori nel 1991 e loro – Laura e Nadia – che non l’abbandonano nel suo carcere ma lo frequentano e contribuiscono alla sua redenzione.
Margherita Coletta, una delle vedove dei carabinieri morti a Nassiriya (2003). Carlo Castagna che afferma subito e conferma più tardi e più volte di perdonare gli uccisori della moglie, della figlia e del nipotino nella strage di Erba (2006). Teresina Natalino di Lametia Terme che ha parole di pietà per il tunisino responsabile della morte del marito che ha travolto con la sua automobile (2010). Carolino Porcaro, di Monza, che fa leggere un suo appello a rapporti non violenti tra i giovani durante la messa di addio per il figlio diciottenne ucciso da un coetaneo in una rissa da bar (2011).
Il fatto che merita una più ampia narrazione è quello di cui è protagonista Romolo Rampini di San Giovanni Incarico, Frosinone, che fa una preghiera di perdono alla messa di addio dei genitori e della sorella uccisi da un pazzerello del paese nel 1984; e che io ho avuto modo di rintracciare e di intervistare per il mio volume Cerco fatti di Vangelo 2 (EDB 2011). Egli a distanza di 26 anni conferma la scelta compiuta allora e afferma che quella scommessa sulla parola di Gesù l’ha accompagnato in tutti questi anni e su di essa intende basare le scelte educative che viene compiendo nei confronti dei figli.
L’attestazione del perdono nella nostra vita pubblica è un dono dello Spirito per la nostra epoca. Frequente oggi più che in passato. Dunque un dono rivelatore che può aiutarci a intendere la nostra situazione spirituale. Un dono che ha aiutato la nostra società a non imbarbarirsi nelle prove difficili che ha affrontato con il terrorismo, l’esplodere della criminalità organizzare, il montare della criminalità comune e di quella minuta legata alla droga e all’immigrazione.
Quando sentiamo domandare nei telegiornali, da giornalisti rozzi, “lei perdona” insieme alla deprecazione per quella banalizzazione di un cammino e una decisione che esige tempo e silenzio – insieme dicevo a quella ragionevole reazione dovremmo anche avvertire il significato di quella domanda grossolana: essa non verrebbe posta se quel giornalista ignorantissimo non avesse percepito che il perdono è evento raro e dirompente. E quella percezione egli l’ha avuto perché i cristiani d’Italia hanno rimesso in onore con la loro testimonianza il comandamento evangelico del perdono nell’Italia di oggi.
Il perdono nella Chiesa
Il perdono nella Chiesa l’intendo in due modi: come predicazione e attestazione del perdono nella vita familiare e sociale – e qui le cose vanno bene; come riconciliazione tra componenti e fazioni interne alla Chiesa – e qui le cose vanno male.
C’è profonda divisione nella Chiesa di oggi. Come sempre. “Tutti leticarono in vita e così per i secoli verso l’eterno” possiamo dire dei nostri “padri” parafrasando Carlo Emilio Gadda (capitolo La Chiesa antica, nel volume Il Castello di Udine, 1934).
Potremmo dirlo della Chiesa locale come della Chiesa universale. Per questioni ideologiche e per vicende di governo. Si direbbe che a ogni generazione, ma anche meno, sia necessaria una riconciliazione.
Stante la struttura rigida e verticale della Chiesa Cattolica possono verificarsi anche oggi – benchè meno di ieri: si pensi alla stagione del Modernismo – soprusi e torti anche corposi, a volte ferite profonde che vanno in qualche modo medicate e a volte il superamento dei contrasti può richiedere anche un momento di verità.
Il perdono non è un perdonismo. Come per l’uccisione dei parenti l’atteggiamento di misericordia verso gli assassini viene affermato “senza nulla togliere alla giustizia che deve fare il suo corso” (così fu detto dai Bachelet e ripetuto da tanti), così per sanare le discordie ecclesiali sarà necessario anche dare corso a un’acquisizione della verità dei fatti, in modo da arrivare a una memoria condivisa. Anche qui si potrà parlare di “purificazione della memoria”, termine usato da Giovanni Paolo II per le “colpe del passato”.
Più frequente delle discordie per questioni legate alla conduzione della comunità è il conflitto ideologico che infuria nella Chiesa, oggi più aperto che mai. A differenza di ieri oggi la disputa contagia la moltitudine: ne sono testimonianza molti siti internet a matrice cristiana nei quali si svolgono dispute feroci.
Ho un’esperienza di sei anni di gestione di un blog nel quale non puoi nominare il cardinale Martini, Adriana Zarri, Enzo Bianchi senza che si levi da destra un coro di deprecazioni e di contumelie. Altrettanto succede da sinistra se nomini i cardinali Biffi e Scola, o Medjugorjie, o l’Opus Dei.
Io ho scelto di sparigliare e di dispiacere a tutti, come fa il governo Monti. Sono infatti convinto che occorra ampliare l’area di tolleranza reciproca all’interno della Chiesa.
Sono anche convinto che mai come oggi vi sia stata nella nostra Chiesa una così grande sopravvalutazione del fattore governo e del conflitto delle interpretazioni che a esso è legato, sia da parte di chi esercita l’autorità, sia da parte di chi la contesta. Per aiutarci ad amare la nostra Chiesa dovremmo compiere un’operazione di riequilibrio, dentro di noi e nella pedagogia comunitaria: ridimensionare da una parte l’importanza del fattore governo; e prestare attenzione – dall’altra – ai segni dell’amore di Dio nel mondo di oggi, cioè alle testimonianze di fede e di carità, ai “fatti di Vangelo” che hanno sempre una forte carica riconciliante.